Milosevic il golpe di mezzogiorno di Giuseppe Zaccaria

Il leader serbo convoca il Parlamento durante l'intervallo del pranzo e beffa i rivali del Montenegro Il leader serbo convoca il Parlamento durante l'intervallo del pranzo e beffa i rivali del Montenegro Milosevic, il golpe di mezzogiorno Anticipa i tempi e si fa eleggere presidente BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Da ieri Slobodan Milosevic è il presidente federale di una Jugoslavia strabica. Presidente annunciato, ma che per farsi eleggere ha dovuto ricorrere ad un colpo di mano. In pochi minuti due Camere e le rispettive maggioranze hanno trasformato una pigra seduta estiva nel giorno che ha deciso i giochi di potere. «Slobodan, ti amiano», canta adesso il Parlamento di Serbia in un coro che non ammette stonature. Nei circoli del Montenegro il testo si traduce in «Slobodan, ci hai fregati tutti». Da .sei anni, da quando la «piccola Jugoslavia» era nata, s'è usato dire che «Serbia e Montenegro sono i due occhi della stessa testa». Adesso uno degli occhi appare orbato, lo sguardo di Milosevic è come quello di Polifemo e capire dove si dirigerà comincia ad essere difficile. La piccola Repubblica adriatica, teorica metà della federazione, si apprestava ad una durissima lotta parlamentare ma ne aveva calcolato male tempi e modi. Per il 22 luglio prossimo era fissata una riunione in cui i montenegrini avrebbero dichiarato che l'elezione di Milosevic avrebbe «fermato le riforme politiche ed economiche, allontanato ancora Serbia e Montenegro dalla comunità internazionale, condotto la crisi economica fino alla catastrofe». Adesso non c'è più tempo per una simile dissociazione. Ieri a Belgrado pioveva, la città non era molto popolata, molti componenti del Parlamento federale erano rimasti al mare. Nell'ora che in genere si dedica all'intervallo di pranzo, su sollecitazione dell'onnipotente partito socialista un'assemblea riunita per adempimenti formali prima ha deciso una «se- duta straordinaria», poi l'improvvisa elezione, anzi il plebiscito. In teoria i candidati erano sei: oltre a Milosevic, un giornalista di «Demokratje» ed altri quattro cani sciolti. Sgombrato il campo dagli indesiderati, al «Consiglio delle Repubbliche» (una sorta di Senato federale) sono bastati pochi minuti per eleggere Milosevic coi voti di 29 dei 31 presenti. Il «Consiglio dei cittadini», la Camera bassa, ha subito ratificato la nomina con 88 sì su 99 dei 138 componenti. Una maggioranza schiacciante, anche se ottenuta grazie all'ennesimo bizantinismo. La legge preede infatti che dal momento delle candidature ufficiali (cioè ieri) debbano trascorrere cinque giorni prima della votazione, ma un codicillo approvato nel '92 fa sì che questo termine possa anche essere anticipato. Forse ai montenegrini la sottigliezza era sfuggita ma ormai i giochi sono fatti, tutto è stato deciso ed in base al vecchio assioma «dove c'è Slobo c'è il potere», la presidenza della Federazione di Jugoslavia si appresta a trasfor¬ marsi da luogo di mera rappresentanza a centro delle decisioni. Milcsevic lavora a modifiche della Costituzione, da oggi in poi cercherà di costruire la necessaria maggioranza dei due terzi, l'impresa che si prefigge è anzitutto quella di portare i servizi segreti e la polizia sotto il suo diretto controllo, in Serbia come in Montenegro. «Vogliono trasformare le nostre forze armate in altrettante pattuglie di vigili urbani», era la reazione dei montenegrini. Da oggi si tratta di vedere se questa reazione riuscirà ad articolarsi in forme più concrete o se il gruppo dei «modernisti» di Podgorica, la ex Titograd, non finirà schiacciato da giochi interni di «clan» e dalla sua stessa imprevidenza. Milo Djukanovic, 35 anni, premier socialista del Montenegro, è stato a lungo il più giovane primo ministro d'Europa. Eletto per la prima volta sette anni fa, al momento di riempire i moduli ufficiali alla voce «lavoro precedente» scrisse «disoccupato». Da quel mo- mento ha preso a impegnarsi in maniera frenetica. La sua è una singolare figura di post-socialista, un impasto fra modernismo e dominio delle vecchie strutture socialiste, spirito mediterraneo e tatticismo balcanico. Il Montenegro che ha in mente è mio staterello che dopo aver ottenuto il massimo dall'unione federale (in teoria Podgorica conta come Belgrado, uno Stato di 600 mila abitanti quanto i 10 milioni di serbi) adesso avverte il peso di questo matrimonio e cerca l'autonomia. Autonomia finanziaria, anzitut- to. Gli anni dell'«embargo» e del contrabbando n^n hanno significato solo arrivo di petrolio e sigarette ma l'apertura di un cordone ombelicale che ha consentito alla Jugoslavia di sopravvivere. Oggi Djukanovic ed i suoi - un gruppo molto unito, molto giovane, molto «europeo» - cerca di riscuotere. Il Montenegro che sognano è una sorta di Montecarlo adriatica sganciata dal dinaro e dal plumbeo potere dei serbi, aperta al turismo ed agli investimenti e bisognosa anzitutto di una radicale pulizia interna. Pochi giorni fa Milo Djukanovic era riuscito a sbarazzarsi almeno temporaneamente del rivale più diretto, il presidente della Repubblica Momir Bulatovic, amico di Milosevic ed espulso dal Dps, partito socialista locale. Anche il capo della tv pubblica era stato sosti¬ tuito. Adesso le cose si complicano in modo assolutamente imprevisto. Girava una battuta, in questi giorni, che sommando i nomi dei due rivali disegnava un futuro improbabile: «Milo Milosevic for president», Questa sintesi non ci sarà: da ieri in Montenegro Milo Djukanovic è nella posizione di un duca riottoso, per lui sarà pericolosissimo alzare il tiro. Nel frattempo a Belgrado il re è diventato imperatore. Giuseppe Zaccaria Per la legge si sarebbe dovuto votare tra 5 giorni E esplode la polemica La «riunione straordinaria» per designare la guida della Jugoslavia diventa un plebiscito A destra Slobodan Milosevic Qui sotto Momir Bulatovic