Miami, un pazzo amore di Paolo Guzzanti

Miami, un pano amore Miami, un pano amore Sedotto dagli eccessi della città MIAMI BEACH I Miami e di Miami Beach Gianni Versace amava tutto: la follia, l'eccessivo colore, la forte presenza cubana, i bassifondi in cui si comprano e vendono armi, l'insonnia, l'oceano che batte una spiaggia bianca e impalpabile al di là di un basso muro che segna il limite con una strada, l'Ocean Drive, perennemente intasata, pulsante, gonfia di vita e di sentimenti contrastanti, in una dimensione urbana che riflette i Caraibi e l'anima statunitense, la musica, una cucina sapida di sapori marini diversissimi dai nostri mediterranei, un'atmosfera in cui l'odore del pesce cucinato è naturale quanto quello delle piante tropicali, della puzza dei gas di scarico, dell'unto che copre i corpi dei turisti e delle ragazze che cor¬ rono sulle auto decappottate. Ho chiesto al console generale per l'Italia a Miami, Giovan Battista Campagnola, quale fosse l'idea degli investigatori: se cioè ci troviamo di fronte a un delitto mostruoso sì, ma in qualche modo tragicamente sensato, oppure di fronte a uno dei tanti orribili delitti casuali tipici della Florida. Il console non era ancora in grado di rispondere, ma ha voluto sottolineare che la polizia di Miami in questi anni ha fatto un lavoro eccellente, radicale, e che la criminalità ora è sotto controllo. Una osservazione, ci è sembrato, che implicitamente avalla l'ipotesi di un delitto maturato non nella criminalità comune, ma nell'entourage della stessa vittima. Quest'italiano così univer¬ sale, calabrese e rinascimentale, è caduto nell'agguato del suo assassino alle nove, dopo aver comperato cinque settimanali all'edicola vicina ed essersi andato a sedere al «News Cafè» alle 8,30, uno dei più noti di South Beach. A Miami l'uso e l'abuso della caffetteria, così vicina al gusto latino e cubano (e italiano) prevale su quello per il pub e la birra. Al caffè si va per leggere e infatti ieri Versace ha letto e non ha consumato nulla. Ha sfogliato le riviste ed ha preso la strada di casa. Le sue erano abitudini comuni, consuete, tipiche di una persona che non pensa lontanamente di poter subire una aggressione. Tuttavia la sua villa era una fortezza, impossibile parcheggiare nei paraggi, vietato sostare da¬ vanti ai suoi cancelli, come se la sorveglianza della polizia alludesse a qualcosa di sinistro che andava al di là della protezione dovuta ad un uomo molto importante, ricco e stimato, un uomo il cui impero sarebbe stato quotato in Borsa fra meno d'un anno sia a Wall Street che a Milano. Restano di lui sui gradini bave di sangue che si sono subito fatte nere e coperte di formiche. E alcune rose i cui petali sono stati aggrediti e dispersi dalle raffiche di vento che viene dal mare che batte Ocean Drive. Su un marciapiede che è la passerella delle bellezze di Miami Beach, zona Sud, la più elegante, la più pettegola raccolta intorno al Pelikan di Renzo Rosso, un quartiere fantastico, quello del «Déco Drive» dove gli occhi frugano e tro¬ vano corpi umani, follie, forme perfette e imperfette fra case d'inizio secolo e Anni Venti, vetrate colorate rifinite a piombo. Restano adesso di lui i nastri gialli disposti dalla polizia con sopra scritto Scena del Crimine, resta di lui uno shock generale e feroce che passa attraverso le immagini di quel corpo riverso, quella testa esplosa, la disperata e inutile forza della mano dell'infermiere che prendeva a pugni il suo cuore per convincerlo a non mollare. Ma non c'era niente da fare: i medici del «Jackson Memorial Hospital» hanno detto che le funzioni cerebrali erano a zero quando è arrivato con l'ambulanza e a zero anche le funzioni degli organi vitali. Morto. Gianni Versace è morto: il suo cervello abitava in quella bella testa da greco con capelli corti come la barba, che l'assassino ha trasformato in una poltiglia. Un atto di violenza contro la capacità di creare, un delitto miserrimo e infinitamente codardo. Versace era pazzo dell'America, dell'umore americano, del gusto e della democrazia americana. E gli americani lo consideravano e lo considerano uno dei loro: lo chia- mano «Vessacci» e non dicono che è un italiano, ma uno venuto dall'Italia, arrivato per restare. E infatti «Vessacci» qui aveva piantato le tende, si era comperato questa villa moresca che sembra una reggia eccessiva e un po' pacchiana (ma che aveva restaurato con frenata grandiosità) e viveva solo, anche se non isolato. Aveva imposto l'idea della moda non leccata, non formalmente elegante, e questa nota «anti» era molto piaciuta agli americani, che cercano sempre un modo di vestire che possa competere con la spocchia europea, piuttosto che copiarla e assimilarla. La bella favola di amore ricambiato fra Versace e l'America è finita. Sono andati a prenderlo i suoi cari, i fratelli, le modelle, che stanno volando per Miami, la città amata, la città assassina. Paolo Guzzanti Una folla di curiosi si è assiepata ieri pomeriggio davanti all'atelier dello stilista, in via Montenapoleone, a Milano

Persone citate: Gianni Versace, Giovan Battista, Renzo Rosso, South Beach, Versace