Baraldini, rinviato il sogno di libertà

L'ex ministro Conso: Washington può cambiare la decisione. Corteo a Roma davanti all'ambasciata L'ex ministro Conso: Washington può cambiare la decisione. Corteo a Roma davanti all'ambasciata Bqruldini, rinviato il sogno di libertà Negata la scarcerazione, ma si apre uno spiraglio DANBURY. Silvia Baraldini resta in carcere. La cittadina italiana condannata negli Usa a 43 anni di prigione senza aver commesso reati di sangue non ha ottenuto per ora la libertà vigilata dal «Parole board», la commissione per la revisione delle pene, anche se la sua posizione giudiziaria è migliorata. L'udienza si è svolta a porte chiuse nel carcere di Danbury, dove da tre anni la Baraldini è reclusa. «E' stata un'udienza solo preliminare, il giudizio finale sarà espresso da Washington entro agosto ed è impugnabile», ha dichiarato l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, che ha partecipato all'udienza, assieme al giudice Giuseppe Di Gennaro, a nome del governo italiano. L'udienza è cominciata alle 11 di ieri (le 17 italiane) ed è durata fino alle 23, ora italiana. La Baraldini ha 49 anni, ne aveva 34 quando è entrata in prigione. E' la prima volta che chiede la libertà «sulla parola», nonostante da oltre dieci anni ne avesse diritto. All'«examiner» del «Parole board» la detenuta ha consegnato ieri un assegno da 50 mila dollari: l'ammontare della multa che costituiva parte integrante della sua pena. Ha presentato anche una lettera in cui riesamina il suo passato ed esprime partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime di atti di terrorismo riconducibili alle sue convinzioni ideologiche. Conso ha così sintetizzato l'udienza: «L'examiner ha trasferito la classificazione della Baraldini dalla "categoria 8", che preclude la libertà vigilata, alla "categoria 7", che apre tale possibilità. Ha raccomandato però di non considerare questa revisione con eccessivo ottimismo per via dei dubbi che restano sulla partecipazione di Silvia Baraldini a ulteriori episodi di sangue che non risultano in sentenza». Era dallo scorso febbraio, dopo aver maturato 15 anni di reclusione, che la Baraldini aveva deciso di presentarsi davanti ai commissari del «Parole board»: «Dopo 15 anni di carcere mi sono assunta le mie responsabilità sul passato politico, ma ritengo di aver saldato il mio debito nei confronti della società» ha dichiarato. Poco ottimista alla vigilia era stato il legale italiano della Bkraldini Guido Calvi: «Le possibilità sono assai modeste, perché gli Stati Uniti hanno mostrato anche in questa occasione ima resistenza molto significativa, tanto è vero che hanno inviato nuovi documenti e hanno chiesto di essere presenti all'udienza con magistrati ed esponenti dell'Fbi». Tuttavia, ha aggiunto Calvi, «gli argomenti che abbiamo preparato sono argomenti di grosso spessore giuridico che consentono veramente di rispondere a tutte le obiezioni che hanno fatto le autorità americane». La sentenza non è definitiva. Il verdetto finale spetterà al «Parole Board» centrale, dopo aver esaminato la relazione inviata dai giudici del carcere di Danbury. Nel migliore dei casi, la commissione centrale potrà decidere che i 15 anni di carcere scontati finora sono sufficienti. A questo punto scatterebbe l'espulsione dagli Stati Uniti, che consentirebbe alla Baraldini di tornare in Italia. Una decisione che viene ritenuta poco verosimile, data la se¬ verità del «Parole Board», ma che comunque non si conoscerà prima di due mesi. La stessa Baraldini, stando a quanto riferisce chi l'ha contattata in questi giorni, non era ottimista sull'esito di questa procedura. Ma l'audizione davanti al «Parole Board» non è l'unica strada possibile per il rientro in Italia. Resta ancora praticabile l'applicazione della convenzione di Strasburgo, che prevede la possibilità di scontare nel proprio Paese la condanna inflitta in uno Stato straniero. Una richiesta avanzata a maggio per la quinta volta, dopo che l'Italia aveva collezionato quattro rifiuti su quattro domande. Ieri centinaia di persone hanno partecipato ad una manifestazione a Roma, davanti alla sede dell'ambasciata americana. A promuovere il sit-in per la donna, che in questi anni di detenzione ha subito due operazioni chinirgiche e la morte prematura della sorella Marina in missione umanitaria in Africa, è stato il comitato nazionale Silvia Baraldini, che ha chiamato a raccolta i Comuni aderenti, tra cui Grosseto, Fidenza, Falconara, Fabriano, Rovigo, Civitavecchia, Chieti, Palermo. «Chiediamo il rispetto della giustizia e dell'umanità. E' giusto che sia data a Silvia - dice Gianni Troiano, leader del coordinamento - la possibilità di rientrare in Italia, di stare accanto a sua madre». Sugli striscioni «Silvia deve tornare!», e «No blood on her hands» (Niente sangue sulle sue mani). Alla manifestazione hanno aderito monsignor Di Liegro della Caritas, il vescovo di Caserta Nogaro, i parlamentari De Luca, Pistone e Russo Spena, i parlamentari europei Manisco e Ripa di Meana, la Rete antirazzista Senzaconfine, l'associazione Malcohn X, il Centro culturale Casale Garibaldi di Roma, l'Arci, la Cgil, il Centro Donna, il Tribunale dei diritti del malato. [r. cri.] davanti all'ambasciata i libertà no spiraglio Accanto: Baraldini, negli Usa Silvia in cella dall'83 Accanto: Baraldini, negli Usa Silvia in cella dall'83