«Washington ha messo le bombe»

«Washington ha messo le bombe» «Washington ha messo le bombe» Accuse da Cuba nel giorno della flottiglia anti-Fidel NEW YORK. E' cominciata male la «spedizione» verso Cuba di un gruppo di imbarcazioni di anticastristi. Anzi, per il suo organizzatore non è cominciata per niente. Ieri mattina presto, poco dopo che Ramon Saul Sanchez, leader del gruppo «Movimiento democratico», era salpato con il suo battello da Key West, l'isola della Florida più vicina a Cuba, è arrivata la Guardia costiera americana e ha sequestrato l'imbarcazione, che si chiama «Democracia». La ragione? Quando le autorità americane avevano ammonito i cubani in partenza a non attraversare il limite delle acque territoriali cubane, Sanchez aveva risposto che lui, invece, lo avrebbe fatto. Il suo progetto, aveva spiegato, era di guidare con il suo «Democracia» la spedizione fino al limite delle acque territoriali, ma una volta giunti lì tutti si sarebbero fermati tranne lui, che con un gommone a motore avrebbe proseguito fino al punto in cui nel 1994 i cubani attaccarono un'imbarcazione di fuggitivi e l'affondaro¬ no, provocando la morte di 41 persone. Una volta arrivato in quel punto, aveva ancora spiegato Sanchez, lui avrebbe gettato nel nare una rosa bianca, una copia della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e un messaggio in bottiglia per il governo cubano. Queste cose Sanchez le aveva già dette sabato, ma siccome sul momento le autorità americane si erano semplicemente limitate a prenderne atto, lui si era convinto che la partenza sarebbe avvenuta senza problemi. Invece ieri mattina, appena preso il largo, tutte le imbarcazioni sono state accostate dalle motovedette della Guardia costiera e ai loro occupanti è stato nuovamente chiesto che intenzioni avessero. Tutti quelli che hanno promesso di rispettare i limiti delle acque territoriali cubane sono stati lasciati proseguire, ma quando è arrivato il turno di Sanchez lui ha ripetuto ciò che aveva detto sabato e così il «Democracia» è stato sequestrato. Oltre che ai partenti, il Dipartimento di Stato sabato aveva rivolto un monito anche al governo cubano affinché reagisse con moderazione a quest'iniziativa, onde evitare il ripetersi della tragedia del febbraio dell'anno scorso, quando due Cessna che avevano violato lo spazio aereo cubano furono abbattuti dai Mig dell'aviazione dell'Avana e le quattro persone a bordo morirono. E la severità adottata nei confronti dello spavaldo Sanchez viene vista come un modo di Washington per dire all'Avana: «Noi la nostra parte l'abbiamo fatta, ora voi fate la vostra». Le imbarcazioni che hanno proseguito il viaggio sono una decina (ne erano state annunciate più di 40) e fino al tardo pomeriggio di ieri nessun incidente era stato segnalato. Una specie di tacito accordo fra L'Avana e Washington, insomma, che in qualche modo è confermato dalla partenza proprio ieri per New York del presidente del Parlamento cubano, Ricardo Alarcon, con l'incarico di discutere, in due riunioni che avranno luogo mercoledì e giovedì, quello che è in pratica l'unico problema su cui americani e cubani attualmente stanno «collaborando»: il problema dei profughi. Questo tuttavia non ha impedito al governo cubano di accusare esplicitamente gli Stati Uniti per le bombe fatte esplodere sabato in due alberghi dell'Avana. «Il ministro degli Interni ha le prove che le persone responsabili degli attentati e il materiale da loro usato venivano dagli Usa», dice un comunicato ufficiale emesso ieri. Non c'è nessuna indicazione di quali siano le «prove» di cui si parla, né di qualcuno in particolare che sia stato arrestato. In compenso è stato fornito qualche dettaglio ulteriore su ciò che è accaduto. All'albergo «Nacional» sono state ferite tre persone, ma non sono gravi e sono già state dimesse dall'ospedale. Invece all'albergo «Capri», che si trova a 200 metri di distanza, non è stato ferito nessuno perché la bomba era stata collocata sotto un grosso divano che ha assorbito l'esplosione. [f. p.] GRAN BRETAGNA Scandalo in Costa Azzurra, la regina è furibonda

Persone citate: Ramon Saul Sanchez, Ricardo Alarcon, Sanchez