«La mafia cremava le sue vittime»

11 Tra i corpi bruciati anche quello di un bimbo di dieci anni testimone di un delitto «La mafia cremava le sue vittime» Un pentito: ilforno era nel giardino di un boss PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Per anni la mafia ha cremato vittime della «lupara bianca» in un forno nel giardino di una casa nella borgata palermitana «Tommaso Natale». L'ordine dei boss era tassativo: non sarebbe dovuta restare traccia e le ceneri venivano sparse al vento. Il pentito Francesco Onorato, killer reo confesso dell'eurodeputato ed ex sindaco de di Palermo Salvo Lima, componente del «commando» di Salvatore Biondino, l'autista di Totò Riina, ha parlato dell'inceneritore in cui sono finite decine di persone. E ha precisato che il forno era in funzione nel giardino dell'abitazione di Salvatore Graziano, indicato come boss della borgata, arrestato un mese e mezzo fa e ora incriminato anche per l'infiltrazione mafiosa nei cantieri navali di Palermo, gestiti dalla Fincantieri Uri). Le dichiarazioni del killer pentito sull'inceneritore di Cosa nostra sono contenute nell'ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Antonino Tricoli, che ha disposto 29 arresti per le infiltrazioni mafiose nello stabilimento navale palermitano. Il luogo indicato da Onorato è stato ispezionato palmo a palmo dagli inquirenti, che mantengono il riserbo perché le indagini proseguono. Onorato è ritenuto credibile perché ha confessato una trentina di omicidi e ha parlato di episodi che, dopo le sue dichiarazioni, secondo gli inquirenti hanno ricevuto una sufficiente spiegazione. Fra i casi di «lupara bianca» con i cadaveri inceneriti nel forno di Salvatore Graziano, il pentito ne ha segnalati in particolare due ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore Gian Carlo Caselli e ai poliziotti della squadra mobile. Vincenzo Graffagnino, implicato nell'ottobre del 1986 nell'uccisione di Claudio Domino di 10 anni, nel rione San Lorenzo. Il bambino aveva assistito a un'altra «lupara bianca» e si temeva potesse testimoniare contro i rapitori della vit- tima. Fu assassinato con un colpo di pistola in fronte mentre andava a comprare il pane. E poi Antonino Noto, proprietario di un negozio per la vendita di uccelli e altri animali, sparito nel maggio 1989 nella borgata Pallavicino, limitrofa alla Tommaso Natale, dopo essere stato basista in rapine e furti non autorizzati dal clan della zo¬ na. La «lupara bianca» negli ultimi cinquant'anni ha mietuto un numero imprecisato di vittime, certamente centinaia. Il bambino Giuseppe Di Matteo fu strangolato e sciolto nell'acido muriatico nelle campagne di San Giuseppe Jato per ordine di Giovanni Brusca, che ha confessato tutto, come i due esecutori materiali ora collaboratori della giustizia. E nella «camera della morte» in piazza Sant'Erasmo, fino alla metà degli Anni Ottanta, la cosca di corso dei Mille sempre nell'acido distrusse i corpi di numerosi avversari. Durante il «sacco edilizio» di Palermo, fra gli Anni Cinquanta e Sessanta, molti altri inghiottiti dalla «lupara bianca» furono seppelliti nei blocchi di cemento dei palazzoni nelle zone d'espansione e stessa sorte sarebbe toccata al giornalista Mauro De Mauro. Altre vittime a quanto pare sono state bruciate in un podere in via Messina Montagne. In uno dei cimiteri della mafia, fra Montelepre e San Giuseppe Jato, nell'entroterra palermitano, l'anno scorso sono stati recuperati i resti di due cadaveri che non ò stato possibile identificare perché decomposti. E nella foiba di Rocca Busambra, vicino a Corleone, nel 1948 sarebbe finito il sindacalista comunista Placido Rizzotto, nemico giurato dei mafiosi. Antonio Ravidà A sinistra il Padrino della mafia, Totò Riina LA MAPPA DEB PRESIDI

Luoghi citati: Corleone, Montelepre, Palermo, San Giuseppe Jato