«Fermate la caccia ai serbi o la pagherete» di Giuseppe Zaccaria

Ma secondo alcuni osservatori la notizia della partenza sarebbe una operazione di depistaggio per tenere lontano i militari occidentali dal vero rifugio Secondo un giornale di Belgrado Karadzic sarebbe fuggito all'estero il giorno prima del blitz «Fermate la cuccia ai serbi o la pagherete» Minacce alla Nato, a Sarajevo chiuso l'aeroporto BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO L'operazione «Tango» continua. Non si sa bene su che tipo di musica, sullo spartito composto da chi, ma pur fra i dinieghi ufficiali in qualche modo la forza multinazionale della Nato sembra proseguire nella ricerca dei criminali di guerra serbi, meglio se non troppo importanti. Ieri si sono verificati almeno due fatti che lo lasciano intuire: primo, il mancato arresto (per il momento, solo teorico) di un certo Slavko Aleksic, già leader del cosiddetto «comitato di difesa» della Sarajevo serba. Un altro personaggio senza storia, un capetto locale che da Grbavica, zona del cimitero ebraico, aveva comandato le operazioni di cecchinaggio sulla città. A denunciarne il mancato arresto, e ad avvertire la Sfor che se continua cosi «nessun soldato occidentale potrà più sentirsi al sicuro in terra serba» è una fonte particolarmente versata nella disinformazione, cioè il «partito radicale» di Vojslav Seselj. E' un comunicato diffuso dal secondo partito di Serbia a rendere noto il fatto. Seselj è ultranazionalista, sensazionalista, particolarmente bravo nel fomentare quelle reazioni di stomaco che così tanto condizionano la politica serba. Ma dicendo che solo per caso ieri mattina uno dei suoi seguaci è scampato ad un tentativo di arresto da parte della forza multinazionale, questa volta il «voyvoda» dei tradizionalisti sembra trovare qualche conferma nei fatti. La cosa si sarebbe svolta a Pale. Ed il secondo elemento di queste ore consiste in un misterioso e lunghissimo allarme registrato pochi chilometri più a valle, cioè a Sarajevo. L'altra sera senza giustificazioni apparenti l'aeroporto della capitale di Bosnia è stato chiuso quando cominciava a fare buio, intorno alle 18, ed è rimasto deserto fino alle 14 del giorno dopo. Venti ore di chiusura per misteriose «ragioni di sicurezza» legate al timore di una reazione dei serbi di Bosnia al ritrovato attivismo della Sfor. Il portavoce della Nato a Sarajevo nega che i radicali di Seselj abbiano ragione: «E' una storia completamente falsa, oggi non abbiamo compiuto operazioni di alcun genere». Eppure qualcosa dev'essere accaduto, se così drastiche misure di sicurezza hanno dovuto essere adottate. L'aeroporto di Sarajevo non veniva chiuso da più di due anni, cioè dai giorni della guerra, se non in occasione di eventi eccezionali come la visita del Papa. I misteri si moltiplicano: secondo un giornale di Belgrado «Gradjanin» Karadzic sarebbe fuggito all'estero un giorno prima del blitz dei militari della Nato. Il giornale cita un ministro del governo di Pale. Ma secondo molti osservatori la rivelazione fa parte di un ben concertato piano di depistaggio, per tenere lontano gli uomini dello Sfor dal vero rifugio dell'ex presidente serbo-bosniaco. Si continua nella ricerca dei criminali di guerra, dunque, sia pure in base ad mia logica che sfugge a molti osservatori. Quel misterioso elenco di latitanti sulla cui base la Sfor sta lavorando comincia a trasformarsi in incubo per i serbi. Intorno ai loro leaders la protezione militare si è moltiplicata, ieri un Momcilo Kraijsnik redivivo è riu¬ scito perfino a protestare per l'uso «di elenchi segreti che potrebbero causare ogni tipo di equivoci». Gli equivoci nel frattempo paiono messi da parte almeno fra le fazioni serbe. Complice la tradizionale celebrazione dei santi Pietro e Paolo, protettori fra l'altro dell'«Sds», il partito al potere (anche Karadzic ha santi in paradiso) ieri Momcilo Krajisnik e la presidente Bilijana Plavsic si sono pubblicamente riconciliati sotto l'ala materna della Chiesa ortodossa. Il patriarca Pavle, capo della Chiesa di Serbi, aveva compiuto un gesto importante: un viaggio della «Republika Srpska» solo per placare gli animi e ricondurre a unità questo riottoso gregge di montagna. «Noi rispettiamo l'autorità del Patriarca», aveva subito fatto sapere Krajisnik. Ed ecco poche ore dopo nel Banski Dvori - il grande palazzo bianco di Banja Luka, sede della presidenza, che dopo aver accolto legioni di governatori stava per trasformarsi in corte di una zarina comparire assieme Krajisnik e la sua ex nemica. Gli «sveti Pet.ar i Pavle» si ricordano tracciando la croce ortodossa su un pane tradizionale che viene poi diviso tra fratelli. Bilijana Plavsic ed il suo ex nemico ne hanno assaggiato un pezzo per uno e tornano a dirsi «fratelli» nel più rituale dei modi. La tradizione vorrebbe anche che chi divide il pane baci l'altro sulle guance: l'ex «lady di ferro» non è giunta a tanto, ma la riconciliazione comunque è segnata. Questo significa che da questo momento qualsiasi nuova iniziativa della Nato dovrà fare i conti con una risposta comune. Dal punto di vista occidentale non è un grande risultato politico, ma tant'è. Qualche vendetta forse è già stata tentata. In quel di Doboj, ieri mattina c'era stato un nuovo reclutamento di volontari per l'esercito della Republika Srpska, e mentre i soldati «festeggiavano» è passata una jeep della Sfor. In questo clima si fa presto considerare ogni cosa come ima provocazione. La «jeep» è stata bloccata, i militari fatti scendere ma dopo qualche minuto l'incidente si è composto. La reazione della Sfor è stata particolarmente decisa: sospensione dei pattugliamenti per un giorno, come se l'Occidente avesse qualcosa da farsi perdonare. I funerali di Simo Drljaca, prima vittima della giustizia internazionale, sono stati fissati a Prijedor per questa mattina. Sarà un'altra occasione cui alle pattuglie della Sfor converrà restare negli acquartieramenti. Per un gioco di conseguenze che può apparire strano solo a chi non conosce la realtà di questi luoghi, adesso per farsi perdonare un intervento di nessun rilievo la Nato dovrà far finta di non vedere cose molto più pericolose. Giuseppe Zaccaria Ma secondo alcuni osservatori la notizia della partenza sarebbe una operazione di depistaggio per tenere lontano i militari occidentali dal vero rifugio Bambini durante la veglia di protesta con candele a Banja Luka contro l'operazione della Nato