IL NUOVO CENTRO D'EUROPA di Barbara Spinelli

I IL NUOVO CENTRO D'EUROPA cenni. Il limes di questo nostro continente si sposta a Est, la zona di sorveglianza e il dispositivo d'allerta offrono protezione automatica a nuovi popoli, che entrano a far parte di una più vasta civiltà che si vuol riunificare, difendere. Non ha più senso chiedersi amleticamente se si debba morire per Danzica oppure no, se ci si debba sacrificare per Praga oppure si debba ignorarla, come consigliò Chamberlain alla conferenza di Monaco nel '38. Allo stesso modo si avvicina Budapest, che diventa interesse imprescindibile per ciascuno di noi. A questo obbliga l'articolo 5 del Trattato, almeno formalmente. Si deve morire per Danzica o per Praga o per Budapest, il giorno in cui queste nazioni dovessero patire aggressioni. Sono obbligati gli europei e gli stessi Stati Uniti, nonostante le immani resistenze che il Congresso americano oppone alla Nato allargata di Clinton. «Sono lì le nostre nuove frontiere della libertà», dice il segretario di Stato Madeleine Albright, ed è per questa via che la storia d'Europa viene riscritta, rettificata. Non si supera solo la guerra fredda, con l'accordo di Madrid. Sempre che il Congresso Usa non lo bocci - l'eventualità non è peregrina - il nuovo Trattato paga un debito lungamente negato, alle nazioni della Mitteleuropa: negato a Varsavia e Praga durante l'offensiva hitleriana negli Anni 30; negato in epoca comunista a Budapest nel '56, a Praga nel '68, a Varsavia negli Anni 80. Naturalmente sono giustificate le inquietudini di molti europei, e anche le preoccupazioni di non pochi esperti americani che contestano il parziale allargamento. Il limes che circoscrive la nuova Europa lascia per il momento scoperte altre nazioni, essenziali per la stabilità balcanica, come Romania, Slovenia o Bulgaria. Ma soprattutto espone al pericolo le tre nazioni baltiche, per le quali nessun europeo si è veramente battuto a Madrid. Anch'esse so¬ no parte della civilizzazione occidentale: per storia, costumi, cultura. Anch'esse possono accampare storici crediti verso l'Occidente che le svendette a Stalin Ma tutto fa pensare che Mosca abbia ottenuto un suo diritto di prelazione su Lituania, Lettonia ed Estonia - in cambio dell'irritato consenso dato al primo allargamento Nato - e questo resta un capitolo buio di Madrid. Delusi, inquieti, i baltici temono una segreta Yalta-2, che soppianta la vecchia Yalta solo parzialmente superata. Di queste e altre manchevolezze gli europei occidentali potrebbero lamentarsi proficuamente, se sul serio volessero ripensare la sicurezza, e la stabilità democratica, delle nazioni uscite dal totalitarismo comunista. Se avessero in mente grandi operazioni, per integrare un continente da cui sono stati forzatamente divisi per mezzo secolo. Se volessero finalmente prendere in mano il proprio destino, come pretendono di desiderare quando litigano con Washington. Invece proprio questa volontà è mancata, negli anni che son seguiti alla caduta del Muro di Berlino, e solo la Germania di Kohl - forzata dalla propria storia - si è gettata in nuove avventure geopolitiche integrando 16 milioni di tedeschi orientali. E' mancata qualsiasi volontà europea nelle guerre di Croazia, di Bosnia: guerre momentaneamente interrotte grazie al solo intervento Usa. E' mancata ancora di recente - al vertice europeo di Amsterdam - la volontà di riformare costituzionalmente l'Unione per poterla estendere senza traumi agli europei centrali e orientali. E' mancato un progetto Marshall, dopo l'89, che avesse come scopo l'unificazione delle civiltà, delle aspirazioni democratiche, dei mercati. Ben più vigili e consapevoli degli europei occidentali sono stati alcuni europei centrali, in questi anni. Sono loro che hanno lentamente convinto Clinton, che in principio titubava nonostante alcune insistenze tedesche. In prima linea sono stati due ex dissidenti, veri iniziatori dell'allargamento Nato: Lech Walesa per la Polonia, Vaclav Havel per la Repubblica Ceca. Una conversazione tra Havel e Clinton, nel '93 a Washington, fu da questo punto di vista decisiva. Si è parlato molto dei mali storici di Mitteleuropa, nel corso di questi contatti: delle ataviche paure delle piccole nazioni scaturite dall'impero austro-ungarico, delle miserie e isterie che lo storico Istvan Bibo attribuisce a Paesi che temono costantemente la propria scomparsa fisica, o la propria spartizione tra russi e tedeschi come in Polonia. Si è parlato dei dèmoni etnico-nazionalistici che tormentano tali popoli: dèmoni che il comunismo non ha sormontato ma piuttosto congelato, sfruttato, per meglio tenere i propri soggetti in stato di perenne minorità. Havel, in particolare, ha insistito sul senso dei doveri e dei valori che le genti postcomuniste devono apprendere, accanto ai nuovi diritti riconquistati, e sulla nuova storia che l'Europa deve riscrivere tenendo conto di ambedue i totalitarismi - nazista e comunista che l'hanno distrutta e diseducata. Uno dei primi gesti di Havel, nell'89, fu di chiedere scusa alla Germania per come i Sudeti furono violentemente scacciati dalla Cecoslovacchia, dopo il '45. L'idea era coltivata sin dai tempi di Charta-77, durante la dissidenza, e fu il primo capitolo della storia d'Europa corretta nell'89. Questa sensibilità verso i valori minacciati, questo desiderio di autocorreggersi, questa co¬ scienza dei propri dèmoni che possono sempre riaffiorare, sono il patrimonio che i dissidenti dell'Est consegnano alla Nato in via di allargamento. Per ora le loro speranze si appuntano sull'America, anche se l'America non dà necessariamente sicurezza: non la dà perché le sue tentazioni isolazioniste restano grandi, e perché le sue recenti dottrine belliche contemplano guerre «a zero morti». Sicché l'Europa è pur sempre necessaria, solo che lo voglia. «Spetta a lei creare un nuovo Eurocorpo che includa e tranquillizzi i baltici, con sede magari a Varsavia», consiglia Karl Lamers, negoziatore tedesco di Maastricht, in un'intervista alla Frankfurter Allgemeine. «Spetta a lei creare strutture parallele a quelle atlantiche, che incorporino polacchi e tedeschi, danesi e svedesi, finlandesi, altri europei e anche i baltici». Lamers conclude descrivendo l'inanità delle presenti zuffe con Clinton: se gli europei son tanto scontenti dell'America, che intraprendano alfine qualche loro iniziativa. Se son davvero scontenti di esser quel che sono, che non rimproverino per questo gli americani, ma solo se stessi. Barbara Spinelli