I Serenissimi in carcere «Ma il Veneto ci ha assolti di Pierangelo Sapegno

I Serenissimi in carcere «Ma il Veneto ci ha assolti Venezia, incontro con i familiari e un eurodeputato: «La missione è riuscita in pieno, questo contava» I Serenissimi in carcere «Ma il Veneto ci ha assolti » DAL NOSTRO INVIATO Quello da solo è Flavio Contili. Lo chiamano il vecio, come si faceva negli alpini. L'altra sera ha sorriso ai ragazzi che tornavano a casa, «beh, loro ce l'hanno fatta, ma noi siamo contenti». I serenissimi adesso non hanno più campanili da scalare. Ma giorni da passare. Ieri, Contin ha chiesto di andare in cella con Barison. Aveva una tuta grigia addosso, quando l'onorevole Marilena Marin è entrata nella sua stanzetta al carcere di Padova. Erano le 5 della sera, la stessa ora della condanna. Anche Buson aveva la tuta grigia. I capelli sulle spalle. Al mattino aveva mangiato i dolci che gli avevano preparato gli altri detenuti. Il direttore ci aveva scherzato su: «Erano meridionali, lo sapevi?». Sì, aveva risposto sorridendo. «Fanno parte degli scambi culturali?» Beh, ridiamoci sopra. Ieri, Buson ha visto i suoi, ha abbracciato la figlia, la moglie che non piangeva più. «Vedi, sono tranquillo. Io me l'aspettavo. Lo Stato italiano poteva anche darmi trent'anni. Ma il popolo veneto ha già emesso la sua sentenza, ed è questo che conta. Io per loro sono un uomo libero». Poi, quando è venuta a trovarlo la Marin, eurodeputato della Lega, lui le ha confessato di aver visto la moglie un po' preoccupata: «E' la prima volta che l'ho vista così, la prima volta in vita mia che l'ho vi sta crollare. Penso sia stato solo un momento di debolezza. Passerà. Adesso deve pensare ai nostri cin que figli. Io spero di essere stato un buon padre, di averli educati a su perare anche momenti come que sti. Ma qui io non devo pensare alle difficoltà della famiglia». E a lei, al l'Alessandra che lo guardava in si lenzio: «Non fate così. Pensate pure a me. Ma continuate a fare la vo stra vita e non fate vedere il vostro dolore». Buson ha chiesto al direttore se poteva avere il necessario per dipingere. Barison se poteva consultare i libri della biblioteca. La sentenza? «Quello che ci è stato dato,, lo dobbiamo sopportare». L'appello? «Non crediamo che potranno darci una pena più forte di questa». Erano abbastanza sollevati, ha raccontato la Marin. Fausto Faccia le ha detto: «Mi sto abituando alla galera». E' come il servizio militare? «Beh, non direi. Un po' diverso. Qui vivere diventa sopravvivere». Però, ha aggiunto, «la nostra missione è riuscita in pieno. Era questo che contava». Ci ha messo una di quelle chiose che fanno tremare i polsi: «Il tempo e la storia ci giudicheranno». Non è ima battuta da simpatica canaglia. Ma il tempo va via come i soldi, da queste parti. E la storia è quella che è, anche un po' patetica. Poi, vieni a Colognola, dove sono tornati 3 dei 4 serenissimi agli arresti domiciliari. La villetta di Peroni è a Pieve, dove fanno i lavori per cambiare le tubature dell'acqua. Qui è un problema, l'acqua: adesso non è potabile, perché ci sono troppi nitrati. Il fatto è che sembra tutto troppo da queste parti, troppo facile, troppo veloce. Ci sono 7 mila nuovi ricchi sparsi sui dossi di vigne, 4 industrie come la gelateria Sanson, o come l'Auteco che fa le macchine del gratta e vinci, e una delle cantine sociali più grandi d'Europa, e poi i campi sparati di veleni chimici per fare tutto di più e per fare tutto più in fretta. Il papà Gino ha la pancia che accorcia la canottiera sporca di sudore. «Quand'è tornato ieri sera, non c'era nessuno del paese ad aspettare Luca», dice mamma Rosalia. «Dormivano tutti, questo è un paese fatto così», dice Gino. Per Luca Peroni c'erano solo loro, c'era la famiglia, c'erano le luci accese della casa, e ora starai buono, figlio mio, e c'era Graziella che si accarezzava la pancia di otto mesi, varda qui, Luca, varda, il papà che apriva la bottiglia di garganega, il risotto coi pomodori della mamma, «la cotoletta milanese che gli piace tanto e le cipolline cotte come vuole lui». Lo chiameranno Marco quel bimbo, come il Leone, mi sembra giusto, no? Vedi, la Rosalia ha un bel grembiule a fiorellini, «sono ideologie, bisogna rispettarle», dice guardando i taccuini dei cronisti. Sono ideologie, no? Lo chiede per sentirsi dire di sì. Ma lei che ne pensa?, le domanda uno. E la Rosalia si liscia il grembiule e annusa l'aria, «io sono una donna, non parlo di politica», dice. «Non posso condividere, ma neanche criminalizzare. Se avessero fatto del male, direi altre cose. Certo, se hanno sbagliato devono pagare. Anzi, stanno già pagando. E voi state attenti a quello che scrivete, perché mi gò l'ocio giapponese». Attorno, non c'è nessuno. Non c'è mai nessuno, in questo paese. Solo un vecchio seduto sul muretto con l'immancabile canottiera: «Menini? Io non so niente, ma se andate diritto trovate la sua casa». E' un paese che dorme, un paese che insegue le stradine nelle vigne e nei campi, perso-fra le villette nuove con l'intonaco già sbiadito, il palmo di prato un po' arruffato, le tapparelle sempre chiuse come sé volessero nascondersi al mondo o volessero non guardarlo mai, e la vecchia Opel grigia nel giardino col santino sullo specchietto, il cesto di pomodori sulle scale, un cane che scuote le pulci e il pelo. Nel paese che dorme, adesso l'unica ombra è quella della casa. Il silenzio è dappertutto, fra i chilometri che s'attorcigliano attorno alla provinciale per Verona, che salgono al municipio e riscendono alla chiesa di don Orazio, al bar Decima davanti al benzinaio e alla trattoria nascosta dietro al muretto, e poi risalgono di nuovo dall'altra parte verso la locanda Marcelhse e la pieve e la villetta a schiera dei Menini, la prima venendo giù dalla stradina, con la siepe di lavanda e rosmarino, il tavolino bianco sul praticello tagliato all'inglese. Nell'ingresso, una mano da bambina ha disegnato un cartello: «Bentornato». Sul cartello stradale hanno scritto «Viva il boss». Poi fanno silenzio, fanno tutti silenzio. Due bambini corrono sul prato. C'è un uomo con la falce sotto le vigne. E fumano le ciminiere, caspita se fumano. Pierangelo Sapegno Niente clima di festa nel paese in cui sono invece tornati i quattro agli arresti domiciliari Tre Serenissimi in aula durante l'ultima udienza del processo e, a sinistra, la lettura della sentenza

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