La Norimberga di Bosnia, capitolo finale di Giuseppe Zaccaria

Ucciso dagli inglesi l'ex capo della polteia di Prijedor, preso un responsabile dei lager serbi Ucciso dagli inglesi l'ex capo della polteia di Prijedor, preso un responsabile dei lager serbi la Norimberga di Bosnia, capitolo finale La Nato a caccia di criminali, Karadzic e Mladic nel mirino BANJALUKA DAL NOSTRO INVIATO Era seduto ai bordi del Medjedja, un laghetto artificiale di Gradina, e stava pescando col figlio ed un cognato. Quando i soldati inglesi della Sfor gli si sono avvicinati ha estratto una pistola e ha ferito il più vicino, gli altri hanno risposto al fuoco. Il ragazzo già dice di aver visto assassinare suo padre a sangue freddo. Questa è la cronaca dell'uccisione di un criminale di guerra, della cattura di un secondo, ma non di quelli che il mondo si aspettava. Ieri mattina la Sfor, Forza di stabilizzazione della Nato, ha infranto un tabù che durava da anni, occupato militarmente un territorio, scatenato reazioni che non si sa dove porteranno per due ricercati che non si chiamano né Radovan Karadzic né Ratko Mladic. Solo criminali minori, due serbi di cui fino a ieri non si sapeva neppure che fossero ricercati dalla Corte internazionale dell'Aia. L'ucciso si chiamava Simo Drljaca, era stato capo della polizia di Prijedor. Sempre a Prijedor, gli inglesi hanno catturato con uno stratagemma anche Milan Kovacevic, direttore dell'ospedale e coinvolto nelle atrocità del Keraterm, una fabbrica trasformata in lager, e del campo di prigionia di Omarska. Questo era un intervento atteso da anni, annunciato da giorni, preparato a Madrid dal vertice Nato e qui da movimenti di truppe e un clima di tensione che lasciavano presagire tutt'altro. L'ordine era partito direttamente dal generale George Joulwan, comandante della Nato; Bill Clinton era stato informato di quanto si preparava. L'avevano battezzata «operazione Tango», ma purtroppo la prima impressione è che abbia finito con l'avvitarsi in un «casché» da cui risollevare la dama sarà impossibile. Biljana Plavsic, la leader serba di Bosnia che l'Occidente diceva di appoggiare, è infatti la prima vittima politica di quest'intervento. Ieri mattina si trovava a Bijeljina, quasi al confine con la Jugoslavia dinanzi a diecimila persone acclamanti cui stava dicendo «ho bisogno della vostra fiducia». La notizia del blitz ha trasformato una festa per la pace in collettiva esplosione di rabbia, da cui la signora ha dovuto defilarsi in fretta per volare via su un elicottero militare. La reazione dei serbi adesso è violentissima, in Bosnia come a Belgrado. La guerra della presidente Plavsic ai signori di Pale appare finita, la reazione ricompatta i ranghi, l'appello all'onore serbo risveglia gli spiriti guerrieri. In un'atmosfera tornata di colpo castrense ogni differenza è cancellata, la stessa Plavsic dice di temere «una reazione terribile» e di non averne alcuna responsabilità. Sul terreno di quella che fino a poche settimane fa pareva una repubblichetta in via di pacificazione oltre ai soldati della Sfor ci sono diverse centinaia di osservatori dell'Osce, e adesso l'ipotesi che qualcuno possa tentare di prenderli in ostaggio si fa concreta. Non sembra dunque questo il giorno adatto per celebrare il trionfo della giustizia. Se 1'«operazione Tango» voleva essere un intervento di assaggio, i risultati politici sono catastrofici. Un simile modo di sondare la possibilità di altri arresti, di valutare le reazioni equivale a usare le cannonate contro la classica mosca. Dell'uccisione di Drljaca si è detto. L'arresto di Milan Kovacevic detto «Mica» si è svolto invece in modi molto più sottili, proprio quel genere di modi che rendono furiosa la cupa anima serba. Quattro soldati sono andati all'ospedale «Stojanovic» di Prijedor ed hanno chiesto del direttore. Nelle mani avevano un pacchetto col simbolo della Cro¬ ce Rossa Internazionale: «Dobbiamo consegnarlo personalmente a lui, arriva da Belgrado», hanno detto. Quando il direttore li ha ricevuti, hanno spianato le pistole e l'hanno portato fino a un piccolo corteo di blindati che atten- deva nelle vicinanze. Kovacevic ha dovuto percorrere solo pochi chilometri prima di essere trascinato su un elicottero che sembra abbia raggiunto direttamente una base americana (non si sa se quella di Tuzla o la più grande, a Tasar, in territorio un¬ gherese). Poco dopo il sospetto criminale era già in prigione all'Aia. Questo stratagemma adesso autorizza la moglie di un altro criminale di guerra, la signora Ljilijana Karadzic, a rivolgersi alla Croce Rossa Internazionale in qualità di capo della sezione locale. «I simboli della Croce Rossa sono stati oltraggiati scrive in una lettera al presidente dell'organizzazione, lo svizzero Cornelio Sommaruga -, la Sfor ha usato un segno di pace per un atto di guerra». Ma sono altre le reazioni che devono far pensare. Quella di Momcilo Krajisnik, grande avversario della Plavsic fino a ieri in difficoltà, ha nuovamente i toni del messaggio di un capo. «Sono sorpreso e amareggiato dice il più grande amico di Karadzic -, voglio che al più presto si sappiano i nomi dei responsabili di questo crimine perché i loro comandanti possano infliggere punizioni e impedire che simili azioni si ripetano». Va giù pesante, il leader che fino all'altro ieri pareva traballare. La Sfor, dice, «deve tenere sotto controllo comandanti ambiziosi e irresponsabili», abbandonare «l'idea che si possano arrestare persone in un Paese per processarle in un altro». Dice che la pace di Dayton è in pericolo. Chiede ai serbi di Bosnia di non scatenarsi in rappresaglie. Proprio l'altra sera però il semidisciolto governo di Pale aveva «denunciato gli accordi con l'Osce», preparando chissà quale ritorsione nei confronti degli osservatori. Poche ore dopo la Corte Costituzionale di questo semi-Stato ha sospeso i provvedimenti con cui la Plavsic aveva sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni. Perfino da Belgrado giungono echi di una ritrovata unità in senso panserbo, quel che mancava a Milosevic in vista delle elezioni federali. Il partito democratico, quello di Zoran Djindjic, il partito radicale di Vojislav Seselj si accodano al partito del Presidente nella condanna dell'intervento, nel dire che «in Bosnia si stanno riaccendendo fuochi», che la guerra rischia di ricominciare. I segnali si infittiscono: a Zvornik, sul tragico confine della Drina, ieri sera è stata convocata una riunione d'emergenza dei leader serbi di Bosnia. Esponenti del Senato, della Chiesa ortodossa, intellettuali, alti gradi militari discutono a porte chiuse eventuali reazioni. Da parte delia Nato, per ora, solo commenti tecnici. «Operazione coraggiosa e appropriata», l'ha definita il portavoce Sfor a Sarajevo. 11 Segretario alla Difesa americano, William Cohen, ha aggiunto: «Adesso tutti i criminali di guerra sono avvertiti». Prenderli senza avviso forse sarebbe stato meglio. Giuseppe Zaccaria Furiosa la reazione nella Republika Srpska, si teme la presa d'ostaggi d Militari inglesi in Bosnia: sono stati loro a svolgere l'azione di ieri