Amato: no alla legge elettorale

Amato: ito alla legge elettorale Amato: ito alla legge elettorale «E basta con questo puzzle dipartitini inutili» L'EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO PROMA ER Giuliano Amato è cominciato il conto alla rovescia: scatteranno intorno a dicembre le sue dimissioni volontarie anticipate da presidente dell'Autorità antitrust, ciò che lo colloca più o meno nella posizione di Ronaldo sul calcio-mercato della politica. «L'altra sera, a cena da amici, ho rivisto Prodi. E' proprio bravo, lo definirei un presidente del Consiglio che legge per davvero i dossier. Anch'io, sa, mi piccavo di fare lo stesso, come del resto John Major. Magari Kohl e Chirac nei vertici ci sovrastavano politicamente, ma noi eravamo i più preparati...». Professor Amato, di Prodi ci racconta dopo. Ci dica invece se sta per rientrare in politica. «In effetti riacquisterò una libertà d'opinione che si eserciterà anche in materia politica», butta lì, sibillino, affondato nel divano di casa sua ma sempre con gli immancabili foglietti d'appunti sulle ginocchia e gli occhiali calati a metà del naso. Sono gli appunti della sua imminente rentrée! Macché: «L'Istituto universitario europeo di Fiesole, dove andrò a insegnare, non consente ruoli politici attivi e pone una regola di astensione ai suoi docenti». Vi terrà il corso di «Istituzioni europee e politiche pubbliche», anche se quasi nessuno crede che Giuliano Amato si rinchiuda a lungo nelle pur prestigiose aule di quell'ateneo. E allora cosa sono quegli appunti che si è preparato per il nostro incontro? «Spigolature». Cosa? «Spigolature legate al mio mestiere d'origine: costituzionalista. Visto che sono stato tra i primi seminatori della Grande Riforma, ancora sul finire degli Anni Settanta, debbo più concedermi la soddisfazione di commentare il documento conclu sivo della Bicamerale. E non c'è niente di meglio delle tre ore di tre no fra Roma e Firenze per leggerse lo con attenzione». Ho capito. Giuliano Amato farà politica in treno. Ma questa bozza di riforma costitu zionale è da prendere o lasciare? «Non è affatto da buttare, anzi, spi golando ci si scoprono dentro molte più novità che meriterebbero l'attenzione pubblica di quante i primi commenti non abbiano lasciato intendere. E' da migliorare, certo. Soprattutto va salvata da quell'abbinamento paradossale con una legge elettorale in grado di restituire centralità al negoziato tra partiti, annullando così il rafforzamento dell'esecutivo che pure la Bicamerale prevede». Quali sono per lei le novità piacevoli? «Più di quante si pensi, sa. Prima fra tutte che nel documento, se Dio vuole, non c'è quel federalismo che 10 ho sempre ritenuto una forzatura di bassa cucina politica per un Paese tutto sommato piccolo come 11 nostro. Le sacrosante esigenze di decentramento sono radicate nei Comuni oltre che nelle Regioni. E' l'idea più giusta, lo lasci dire a un vecchio riformista abituato a far leva sulle realtà migliori - in questo caso la tradizione italiana del municipalismo - per progredire. Più autonomia regionale ma su radicamento comunale». Altre spigolature? «Buone le modifiche sulla Corte Costituzionale, ad esempio l'elimina¬ zione del malvezzo per cui i giudici si passano la carica di presidente poco prima di andare in pensione. 0 il diritto all'espressione del dissenso interno, che supera una concezione sacrale di questo potere. Bene anche la possibilità data alla Corte di dilazionare di un anno l'effetto delle sue deliberazioni, saranno dunque possibili anche decisioni più coraggiose. Va riscritta, invece, perché superata, la parte sulla pubblica amministrazione...». La prego, non faccia il Dottor Sottile e ci dica cosa pensa delle decisioni mancate in materia di Giustizia. «Sorrido nel rilevare che si è fatta una guerra santa intorno alla separazione o meno delle carriere dei magistrati, mentre è passato sotto silenzio l'articolo 132 che - faccio io la battuta - neanche noi socialisti degli Anni Ottanta avremmo osato proporre». Di che si tratta? «L'articolo 132 prevede che una volta all'anno il ministro di Grazia e Giustizia riferisca al Parlamento sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi d'indagine. Negli Anni Ottanta, per evitare l'ombra delle interferenze politiche sull'azione penale, io avevo riproposto un'idea di Calamandrei: che fosse il procuratore generale della Cassazione a informare le Camere, senza che l'esecutivo ci mettesse parola. Ma questa idea fu allora ritenuta eccessiva». I socialisti Anni Ottanta saranno soddisfatti ora che è passata la loro idea presidenzialista... «Non c'è dubbio, pensavamo proprio a un Presidente della Repubblica eletto dal popolo ma diminuito di alcuni poteri eccessivi che invece gli assegna il modello francese. Va benissimo così, senza poteri di governo: non si vede infatti cosa vi sia di meglio che i cittadini siano chiamati a scegliere il rappresentante dell'unità nazionale. Avremo finalmente quelle campagne elettoraliper anziché contro cui purtroppo non siamo ancora attrezzati. L'importante è che nel frattempo governo e Parlamento funzionino bene». E qui cominciano i dolori? «Sulla carta no. Sia il governo che il primo ministro escono rafforzati dalla bozza di riforma. Anche nei rapporti col Parlamento, ispirati a una più rapida funzionalità. Semmai, sgonfiatosi il federalismo, è il nuovo Parlamento che rimane come senza disegno. Quel Senato addizionato di una Commissione delle Autonomie è sospeso a metà tra camera di garanzia e camera locale. Sarebbero incongruenze facilmente correggibili, sia ben chiaro, non ci fosse di mezzo quella pessima legge elettorale». La precedo. Lei, Amato, accetta o no l'idea che la futura democrazia italiana continui a fondarsi sui partiti? «La accetto, si figuri. Non ho mai creduto alla generosa idea di Marco Pannella per cui basterebbe forzare la legge elettorale et voilà si ottengono due partiti all'inglese. Ma c'è un limite a tutto, qui sono meritati gli strali dei Professori: va bene un sistema che preveda il formarsi di coalizioni, però l'Italia aveva diritto a un puzzle semplice come quelli per bambini, non a un puzzle da adulti fatto di mille pezzi». Vorrebbe eliminare per legge la presenza irriducibile di forze come la Lega e Rifondazione, indisponibili a coalizioni di governo? «Sarebbe una forzatura sbagliata. Ma parliamo di Ulivo e Polo. Mi volete spiegare a quale interesse rispondiamo consentendo coalizioni di sette, otto partiti invece che di due o tre». Potrei risponderle semplicemente che esistono, questi partiti. «Sarò brutale. Tanta paccottiglia intorno ai partiti grossi serve solo alla rielezione dei rappresentanti della paccottiglia medesima. Prenda l'Ulivo. Il pds sta sotto l'Ulivo perché altrimenti non è in grado di raggiungere da solo l'elettorato di centro. Ma se i popolari avessero un sussulto di dignità dovrebbero essi stessi pretendere un autentico doppio turno di coalizione, dichiarando: noi soli rappresentiamo il centro, non stiamo al riparo del sottanone di D'Alema». Insisto, cattolici e laici moderati in Italia non sono un'invenzione. «Secondo lei davvero l'elettorato italiano avverte l'esigenza di tre frammenti cattolici? Si sentirebbe violentato senza i vari deci e coca? L'Italia ha bisogno della differenza tra il partito di Maccanico e quello di Dini? Tante piccole botteghe non fanno una politica». Quindi devono sopravvivere solo i partiti espressione di un radicamento reale? «Me lo lasci dire, già oggi l'Ulivo in verità è una Quercia travestita da Ulivo. Potrebbe essere altrimenti solo se i Popolari non si autoumiliassero. Ma intanto questa legge elettorale rischia di rovinare un ottimo lavoro». Perché? «Perché rinnova la centralità di quella nefasta tela di Penelope del negoziato tra partiti antecedente ogni decisione parlamentare e di governo. Allora a cosa serve rafforzare Parlamento e governo?». Comunque è un fatto che dopo tanti anni di tavoli mandati a gambe all'aria in Italia si torna a respirare aria di mediazione tra avversari, forse perfino regole condivise. E' un bene, o dobbiamo insospettirci? «E' un bene, forse segna addirittura la fine di una lunga spirale autodistruttiva della politica. Ma è ancora molto presto. La Bicamerale, con il suo buon lavoro, è solo la testimonianza di una necessità, non ancora un cambiamento». Grazie, professore. Ma cosa diceva, prima, di Prodi? «Già, la cena dell'altra sera. Le dicevo che l'ho trovato forte e preparato, Romano. Però non ho provato nessuna invidia per lui. Parlava di Fossa, Cofferati... Per carità, temi importanti. Intanto mi distraevo e pensavo: "Meno male che se ne occupa lui e non devo occuparmene io. Il servizio militare l'ho già fatto". Chissà perché, la presidenza del Consiglio nel mio inconscio l'associo al servizio militare. Oggi il fuoco dei miei interessi è spostato sul piano europeo, trovo più stimolante pensare in chiave europea che italiana. Dunque l'Istituto di Fiesole per me è proprio il luogo ideale...». Lo dichiara riponendo sul tavolino le sue spigolature, con un sorriso troppo carico d'ironia perché gli si possa credere davvero. Gad Lerner MLa Bicamerale non è affatto da buttare E per fortuna ha detto di no alfederalismo pip a Ho incontrato Romano Prodi E'forte e preparato ma non provo nessuna invidia per lui Il servizio militare io l'ho già fatto a Che cosa c'è nel mio futuro? Farò politica ma soltanto in chiave europea teghe Marco Pannella. Di lui dice Amato «Non ho mai creduto alla sua generosa idea per cui basterebbe forzare la legge elettorale et voi'lò si ottengono due partiti all'inglese»

Luoghi citati: Fiesole, Firenze, Fossa, Italia, Roma, Ulivo