Il 513 divide Rifondazione

Il 513 divide Rifondazione Il 513 divide Rifondazione La riforma tornerà in aula? E' la Lega Vago della bilancia ROMA. E' pomeriggio quando Giuseppe Scozzali, deputato della Rete e «dipietrino» a denominazione di origine controllata, annuncia che è stato raggiunto il numero di firme necessarie per riportare in aula l'esame del provvedimento che modifica l'articolo 513 del codice di procedura penale. Scozzari non sta più nella pelle: con questa iniziativa, di fatto, si blocca un disegno di legge inviso a molti magistrati. A meno che... A meno che l'imprevedibile Lega, dopo aver firmato, non decida altrimenti, vanificando così l'intera operazione. Già, potrebbe accadere anche questo perché la storia di questo tormentato tormentone sul 513 assomiglia ad un «thriller» dove i colpi dì scena e gli intrighi si sprecano. C'è Rifondazione che, ieri mattina, apparentemente all'improvviso, cambia opinione e fa togliere ai propri deputati le firme. Per quale motivo? A svelare il giallo ci pensa il retino Diego Novelli, il quale racconta che dal pomeriggio dell'altro ieri il presidente della Commissione Giustizia, il rifondatore Giuliano Pisapia, è latitante. (Ad un certo punto - riferisce Novelli - l'ho visto sbattere sul banco i suoi incartamenti e scappare via. Non si è più visto. Quelli del Prc lo hanno cercato come dei disperati». Sì: Pisapia pensava che fosse giusto approvare il disegno di legge in commissione e non aveva gradito il fatto che il suo partito avesse deciso altrimenti. Ma il presidente si era arrabbiato anche per .un'altra ragione: a causa dell'atteggiamento di Rifondazione, Forza Italia, sempre l'altro ieri pomeriggio, per ritorsione, aveva ottenuto che l'aula non esaminasse un provvedimento sulla giustizia a lui particolarmente caro. Si arriva così a ieri mattina, con la minaccia delle dimissioni di Pisapia dal suo incarico che aleggia sul gruppo del Prc. Come in ogni «giallo» che si rispetti la trama si complica con il passar delle ore. Il capogruppo di Rifondazione, Oliviero Diliberto, quello della sinistra democratica Fabio Mussi e il forzitalista Elio Vito si appartano nella sala della Lupa, al primo piano del palazzo di Montecitorio. Il «pressing» del pds e di Fi sul Prc è, a dir poco, fortissimo. Diliberto vacilla e cede. I suoi interlocutori gli fanno chiaramente intendere che i provvedimenti sulla giustizia a cui Pisapia tiene in modo particolare non faranno un passo avanti, se il partito di Bertinotti non cambierà idea. E Novelli commenta così: «I ricatti incrociati hanno avuto il sopravvento». Il caso è chiuso? Nemmeno per idea. La raccolta delle firme prosegue, in contemporanea ad una campagna di dissuasione. Aderiscono all'iniziativa una ventina di esponenti del centro sinistra, il Carroccio e Mirko Tremaglia. I quattro deputati del ppi che avevano sottoscritto la richiesta di riportare in aula il provvedimento diventano due. E quando Franco Marini in serata arriva in Transatlantico viene «agganciato» dai forzitalisti Donato Bruno, Elio Vito e Massimo Maria Berruti, che gli chiedono di convincere pure gli ultimi due popolari a ritirare le loro firme. Resta l'incognita Lega: nel Carroccio prevarrà la voglia di mandare a carte e quarantotto l'intesa Ulivo-Polo, o piuttosto la scarsa simpatia che il partito di Bossi nutre nei confronti dei magistrati? [m. t.m.]

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