« Questo calvario non finisce mai—» di Paolo Colonnello

« « Questo calvario non finisce mai—» L'ex pm: me l'aspettavo dopo la solidarietà a Ilda MILANO. «Pensavo di aver finito ieri il mio calvario e a distanza di qualche ora ne comincia un altro...». Sono parole di rabbia quelle di Antonio Di Pietro. Una rabbia cui impedisce di esplodere imponendosi il più possibile di tacere. Con chiunque, anche con gli amici più stretti. Dunque, «non ci sta». Sordo ad ogni provocazione, ad ogni richiesta di difendersi, di spiegare se le accuse contenute nel mini dossier di D'Adamo, ora in possesso dei magistrati di Brescia, siano vere o false, Antonio Di Pietro decide ancora una volta di eclissarsi e, almeno per qualche giorno, di rimanere in silenzio ad osservare le mosse dei suoi avversari. E prima di scomparire, ripete quella frase: «Non ci sto». Come già aveva già fatto quando lasciò la magistratura, quando iniziarono le prime inchieste giudiziarie di Brescia, quando si dimise da Ministro dei Lavori Pubblici. Un copione che si ripropone sempre uguale. Ma che amareggia ogni volta di più l'ex magistrato, diventato ormai profeta di sè stesso: già da settimane, ancor prima del convegno di Castellanza, era in allerta per l'arrivo di quella che aveva definito, anche pubblicamente, «una tempesta». E i cui prodromi aveva intravisto pochi giorni fa, schierandosi, nella sua rubrica su Oggi, a fianco di Ilda Boccassini: «Mi aspettavo una reazione immediata, eccola...». Così anche ieri, dopo aver letto i giornali e aver capito di essere arrivato alla fase finale dello scontro, Di Pietro è andato a Castellanza e da quell'ufficio ha spedito un breve comunicato. Poi ha interrotto ogni comunicazione, partendo per chissà dove. «Il prezzo pagato per aver fatto solo il proprio dovere (si badi bene, anche nei confronti di coloro che conoscevo e questo, fino a prova contraria dovrebbe essere un merito) - ha scritto - è, a questo punto, davvero troppo alto ed io non ci sto più. Non so e non voglio nemmeno sapere cosa abbia riferito l'ingegner D'Adamo ai magistrati di Brescia e se effettivamente abbia potuto spingersi fino al punto di inventarsi di aver ricevuto miliardi da Pacini per dividerli con me. Se così fosse (ma ne dubito, tanto sarebbe assurdo, a meno che non si trovi sotto la pressione economica o il ricatto di qualcuno) ne risponderà davanti a Dio e, forse, alla giustizia umana. Per quanto mi riguarda - conclude Di Pietro - si è appena concluso con l'ultimo appello, il mio primo calvario giudiziario. La miriade di assoluzioni e archiviazioni conseguite dimostrano incontrovertibilmente l'attività calunniosa posta in essere nei miei riguardi in questi anni di vendette». Dice Di Pietro, di non voler nemmeno conoscere le accuse che gli rivolge il suo ex amico D'Adamo, ma nel breve comunicato, diramato verso le 10,30 del mattino, dimostra in realtà di sapere, e con anticipo di almeno mezz'ora sulle agenzie, quanto si dice in quel dossier di due pagine che il 31 maggio scorso Berlusconi consegnò ai pm di Brescia. In particolare ciò che riguarda l'accusa di aver archiviato, nel 1989, la posizione di due indagati nell'inchiesta sull'Atm: Sergio Radaelli e Maurizio Prada. Due «collettori» di mazzette, rispettivamente per il psi e la de, che l'allora magistrato, pur conoscendoli personalmente, tornerà a perseguire agli albori di Mani Pulite: arrestandoli. In serata l'avvocato di Radaelli, Maurizio Brighi, definirà «assurde e fantasiose» le dichiarazioni di D'Adamo contenute nel dossier che sarebbe stato consegnato a Brescia. Mentre s'impone un rigoroso silenzio il difensore di Di Pietro, Massimo Dinoia e di fronte alle notizie sulle nuove accuse si limita a sorridere: «Sembrano la fotocopia delle accuse di Gorrini...». Silenzi misteriosi, come se la riscossa potesse arrivare da un momento all'altro. O come se in realtà, nonostante il 'dossier' e l'interrogatorio di 8 ore di D'Adamo, l'avvocato e Di Pietro si rendessero conto che il punto focale dell'inchiesta, e cioè i 4 miliardi e 700 milioni che secondo le ipotesi della procura bresciana Pacini Battaglia avrebbe versato a Di Pietro tramite D'Adamo, non è stato nemmeno sfiorato. E' il cognato dell'ex pm, Gabriele Cimadoro a fornire un indizio in più sulla strategia che Di Pietro potrebbe seguire nei prossimi giorni, spiegando che quell'arrabbiato «non ci sto», potrebbe tradursi nella decisione dell'ex ministro di recarsi a sorpresa nella procura di Brescia per ribattere, punto su punto, ad ogni accusa. Paolo Colonnello L'onorevole Gabriele Cimadoro cognato di Di Pietro

Luoghi citati: Brescia, Castellanza