Veleni nati ai tempi delle Br di Gad Lerner

Veleni nati ai tempi delle Br Veleni nati ai tempi delle Br E i metodi «forti» continuano da 25 anni CM E' un filo lungo quasi ven" t'anni che lega l'emergenza antiterrorismo all'emergenza Mani pulite, passando per l'emergenza droga e mafia. Quali ne siano i frutti avvelenati, le conseguenze imprevedibili, lo stiamo verificando adesso. E ancor oggi ci è difficile dire, raccontando la storia parallela del carabiniere Michele Riccio e del suo fidato agente esterno Enrico Mezzani, quali siano i conti giusti del dare e dell'avere. Dimentichiamo dunque per un momento le due «rosse» per ritornare alla Genova del 1979, sede di ima sanguinaria colonna delle Brigate rosse che godeva della fama di imprendibile. E' lì che, da giornalista ventenne, mi ero personalmente imbattuto nei protagonisti di questa lunga storia. Accadde dopo il blitz antiterrorismo del 17 maggio 1979, il cui esito clamoroso fu l'assoluzione di tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste». La sentenza suscitò grande scalpore, e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa lanciò un'accusa pesantissima contro il tribunale: «Possiamo poco di fronte all'ingiustizia che assolve». Poveri giudici, la colpa non era mica loro. E' che l'inchiesta era stata condotta con tale spregiudicatezza da rendere problematica perfino la condanna di un colpevole (un paio ce n'erano, di brigatisti veri, tra gli arrestati) in assenza di prove. Erano stati proprio loro, il giovane tenente Michele Riccio con l'aiuto dell'agente provocatore Enrico Mezzani a costruire un castello d'accuse fondato su due giovani donne. La prima era una bella ragazza di nome Susanna Chiarantano che ben presto avrebbe ritrattato, dichiarando di aver subito irriferibili pressioni psicologiche e sessuali da Mezzani, e di avere poi firmato il verbale scritto da Riccio solo per porre fine alla sua disavventura. La seconda era una povera tossicodipendente emigrata in Australia, lì raggiunta da Mezzani per convincerla a ritornare in Italia per deporre e confermare le sue accuse contro un imputato che lei neppure conosceva. Tanto è vero che il tenente Riccio dovette fornirgliene la foto segnaletica prima dell'udienza. Anche la Clemente, in tempi più recenti, ha ritrattato ogni accusa dichiarando di essere stata costretta dai due disinvolti mquirenti a formularla. Risultato: tre anni fa si è giunti addirittura alla revisione delle sentenze di colpevolezza nei confronti di Giorgio Moroni, Luigi Grasso e Mauro Guatelli, con centinaia di milioni di risarcimento danni elargiti dallo Stato. E' dunque nel corso della lotta al terrorismo che si evidenzia la disinvoltura particolarissima di cui la coppia Riccio-Mezzani darà prova fino ai giorni nostri. Da una neces sita oggettiva, combattere degli assassini, è derivata la licenza di violare più o meno sistematicamente le regole del gioco. L'anno successivo al blitz fallimentare di Genova, il 1980, sarà l'anno cruciale in cui le Brigate rosse cominceranno finalmente a perdere, grazie all'arresto e al pentimento di Patrizio Peci, il primo collaboratore di giustizia della nostra storia recente. Sarà Peci, tra l'altro, a fornire l'indirizzo del covo di via Fracchia, dove l'assalto dei carabinieri sarà guidato da Michele Riccio: nessun superstite tra i quattro brigatisti, medaglia d'argento per l'ufficiale oggi incarcerato. E' a metà degli Anni Ottanta che il reparto speciale dei carabinieri di Genova, ormai orfano del generale Dalla Chiesa barbaramente assassinato a Palermo, dedicandosi alla nuova emergenza mafiosa che si diffonde con la polverina bianca, incontra nel suo lavoro la giovane pm Tiziana Parenti, di sede a Savona. Ne scaturisce una sintonia appassionata, come la stessa Parenti orgogliosamente rivendica. E pure alcune inchieste condotte assieme con i metodi di sempre. Si tratterà ironia della sorte - delle inchieste che mettono in luce la Parenti come magistrato coraggioso e intraprendente, sì da favorirne il trasferimento alla procura di Milano gui- data da Francesco Saverio Borrelli. Su due di esse, come è noto, la procura di Genova sta conduccndo le sue verifiche, rispetto alle quali sarebbe ingiusto allo stato esprimere alcun giudizio. Anzitutto la scoperta della raffineria di cocaina di Tovo San Giacomo, di cui prima sarebbe stata consigliata ai trafficanti l'installazione per il tramite dei soliti agenti provocatori, poi sarebbero stati riutilizzati i macchinari nella caserma di corso Europa. In secondo luogo il clamoroso sequestro, l'8 febbraio 1987, di una nave carica d'anni destinate alla Colombia, operato di fronte ai media plaudenti. In verità tale carico illegale sarebbe stato commissionato all'ignaro mercante belga dal solito Mezzani, mentre la stessa Parenti ripetutamente pretendeva dalla filiale di una banca savonese l'emissione di un fido da trenta miliardi che rendesse credibile la trappola. E' chiaro che non possiamo noi giudicare la legalità o meno di questi metodi: ciò spetta alla magistratura. Possiamo però senz'altro rilevarne l'irritualità e l'ardimento. Una spregiudicatezza, come è noto, che al neopromosso colonnello Riccio e ai suoi collaboratori viene attribuita dai pm genovesi anche nell'impiego e nel finanziamento dei collaboratori di giustizia. Al di là della rivendita clandestina del pesce marcio che nascondeva un carico di droga sequestrata; al di là dei chili di droga che non risultano verbalizzati nel loro tragitto, è straordinario il rapporto instaurato con Angelo Veronese, il pentito che in caserma esibiva tutta la sua abilità di raffinatore di cocaina. Oggi Veronese sembra intenzionato a inguaiare in perfetta par condicio tanto la Parenti (accusata tra le righe di consumare i suoi manicaretti) che la Boccassini (accusata di tramare contro la Parenti). E qui siamo al paradosso: invece di chiederci come la pur necessaria gestione riservata delle nostre emergenze possa aver dato spazio a un tale figuro, esso viene brandito in sede politica proprio da chi pure ha sempre criticato la degenerazione del fenomeno del pentitismo. Ma vi è im paradosso ancora più grande sul quale il lungo filo delle emergenze nazionali dal terrorismo, alla mafia, a Mani pulite, ci hnpone di riflettere: per ragioni stringenti e più che giustificabili, si è dato vita negli Anni Settanta a un piccolo corpo separato dello Stato che inevitabilmente col tempo si sarebbe trasformato in una scheggia impazzita, da cui responsabilmente i vertici dei carabinieri non hanno esitato a prendere le distanze. E' probabile che il colonnello Riccio e i suoi collaboratori siano sinceri quando giurano di avere condotto la loro guerra illegale in nome e per conto dello Stato, senza trarne vantaggi se non di prestigio e di potere personale. Ma è proprio il loro tragitto a ricordarci che le emergenze a im certo punto vanno superate, ricondotte a normalità, altrimenti si rischiano pericolose degenerazioni. Nella vicenda genovese rintracciamo anche il dramma personale di una parlamentare magistrato come Tiziana Parenti. Non mi riferisco alla sorveglianza indebita di cui essa lamenta essere stata oggetto nel mese di giugno, e che forse deriva solo dal suo rispettabilissimo legame con uno dei carabinieri mdagati. Il vero dramma deve essere quello rappresentato in lei dal conflitto ulteriore tra due diverse Tiziana Parenti: il magistrato appassionato che condivise metodi d'indagine molto spicci e oggi lealmente non rinnega tale esperienza; e la parlamentare garantista che ha criticato a voce alta tante attività assai meno disinvolte di cui sono protagonisti suoi colleghi operanti in Sicilia e altrove. Si tratta di un travaglio da rispettare, ma che forse sarebbe opportuno sopportare :on mi tono di voce più basso. Gad Lerner I due volti della Parenti Da una parte il giudice che condivise i metodi spicci delle indagini E ora il parlamentare garantista Giorgio Moroni e il generale Dalla Chiesa In alto: Genova