Il col. Riccio «Dettò al pentito le due lettere» di Angelo Conti

Il col Riccio Il col Riccio Dettò al pentito le due lettere e n GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Sta in quattro pagine dattiloscritte la «verità» del pentito Angelo Veronese sull'incontro avuto con il pm milanese Ilda Boccassini nel palazzo di giustizia di Milano. L'ormai famoso verbale del 13 giugno, quello del tailleur, riserva però qualche sorpresa: innanzitutto manca di un riferimento cronologico preciso, poi c'è la conferma dell'invito, quasi un'imposizione, da parte del colonnello Riccio e del maresciallo Piccolo, affinché il collaboratore informasse per iscritto dell'incontro con la Boccassini sia il Servizio Centrale di Protezione, sia la stessa onorevole Parenti. La lettera sarebbe stata scritta dal pentito addirittura in compagnia e sotto il controllo dei due carabinieri. Procedura piuttosto anomala, soprattutto quella della lettera all'onorevole, che non era un destinatario istituzionale. C'è poi da chiarire perché le lettere vengano scritte ed imbucate solo dopo Pasqua, cioè a cinque mesi dal fatto ed oltre un mese dopo la prima ammissione ufficiale del suo incontro con la Boccassini che, seppur in termini vaghi, il Veronese mette a verbale già il 21 febbraio. Perché questo ritardo? 11 pentito non lo spiega, anche se par di intuire che non diede, sulle prime, molto credito all'episodio. Il tono della Boccassini, nel corso delle battute scambiate in quel corridoio, viene infatti indicato come «scherzoso». Altro mistero sta nel motivo per cui Angelo Veronese non abbia informato prima la Parenti, considerata la apparente «familiarità» con l'onorevole di Forza Italia, a cui aveva già scritto un'altra lettera il 12 novembre '96. In quell'occasione il pentito denuncia che «i carabinieri non fanno altro che avanzare proposte di dubbio jmsto affinché io dichiari cose inverosimili», par di capire proprio sul conto della Parenti. L'onorevole, in un esposto inviato prima alla procura genovese e poi a quella di Milano, aveva denunciato in precedenza anche altre manovre: un detenuto, Federico Salvatore, le scrisse infatti due lettere in cui le preannunciava «un'azione calunniosa orchestrata da un giudice di Savona». A Genova, quella di ieri, è stata una giornata sostanzialmente tranquilla: con Veronese interrogato a Brescia e il colonnelo Riccio sotto torchio a Roma (dove si sono recati di buon mattino i sostituti Canepa, Macchiavello e Nanni), il procuratore capo Vito Moneti ha preferito adottare la strategia del silenzio. Soprattutto quando gli è stata chiesta conferma di una sua richiesta di chiarimenti avanzata alla Giunta per le autorizzazioni a procedere in merito alla possibilità di utilizzare, a fini processuali, una ventina di intercettazioni telefoniche fra alcuni indagati ed un generico «onorevole». Sul nome del parlamentare non ci sono dubbi, mentre gli indagati sarebbero il maresciallo Piccolo, il sottufficiale indicato come «molto vicino» all'esponente di Forza Italia, ed il colonnello Riccio. Più nel dettaglio diciassette sarebbero le conversazioni con il maresciallo ed appena un paio quelle con l'ufficiale superiore. La richiesta non avrebbe trovato alcun chiarimento perché la Giunta avrebbe risposto di poter prendere in considerazione l'episodio solo dopo l'invio della documentazione relativa alle telefonate, con tanto di nomi e di trascrizioni, così da configurare in pratica una autentica «richiesta di autorizzazione a procedere». Invito che mette il procuratore Monetti in posizione delicata sia perché l'invio a Roma di quei documenti potrebbe favorirne la «fuga» verso i mass media e sia perché la decisione di non trasmetterli potrebbe aprire uno spinoso conflitto di attribuzione, qualora la Camera volesse sollevare la questione di fronte alla Corte Costituzionale. Del cui intervento, in questa vicenda, si sentiva davvero la mancanza. Angelo Conti

Luoghi citati: Brescia, Genova, Milano, Roma, Savona