ANALISI«Boris snobba il summit ma la Russia è furiosa»

F F ANALISI "1 Boris snobba il summit ma la Russia è furiosa MMOSCA ENTRE a Madrid l'Alleanza Atlantica allargava più o meno solennemente i suoi confini, il presidente Eltsin, ostentatamente, andava a pesca sulle rive di un lago di Karelia. E il suo ministro degli Esteri, Evghenij Primakov, dichiarava ai giornalisti che «l'estensione della Nato è, probabilmente, il più grosso errore commesso dalla fine della guerra fredda». In apparenza, come del resto Primakov ha ribadito ieri, Mosca ignora sdegnosamente la decisione e finge di ritenere che il fatto più significativo di tutta la vicenda è il documento Russia-Nato firmato a Parigi da Boris Eltsin. «Se esso verrà attuato - ha detto in sostanza il ministro degli Esteri russo - la sicurezza della Russia sarà garantita e, carattere Il presidente russd'altro canto, stesso della Nato comincerà a mutare». Dove il desiderio supera, evidentemente, ogni realismo e dove la diplomazia difensiva supera se stessa. In realtà la percezione comune tra i commentatori di ogni parte politica è quella di una grave sconfitta politica e strategica della Russia. Variano soltanto i toni: da quelli, furibondi, delle opposizioni nazional-patriottiche, a quelli, di sconcertata delusione, degli ambienti filo-occidentali. Ma nemmeno questi ultimi riescono a farsene una chiara ragione. Per altro, se il ministro degli Esteri Primakov mantiene, a suo modo, l'aplomb britannico che lo ha sempre contraddistinto, anche ai tempi sovietici in cui presiedeva il Parlamento gorbacioviano, alcune delle prese di posizione critiche più irritate e meno concilianti sono venute proprio da uomini influenti dell'apparato presidenziale. Ieri sera, ad esempio, Serghei Karaganov, uno dei consiglieri di Boris Eltsin per la politica estera e uno dei suoi portavoce più espliciti durante il recente vertice di Helsinki con Bill Clinton, si è fatto intervistare nella seguita trasmissione «Eroe del giorno» del canale privato Ntv: per dire a tutte lettere che il Cremlino non lascerà passare senza dare risposta una tale manifestazione di «ostilità» verso la Russia. Del resto secondo fonti americane questa affermazione non è rimasta senza effetti se è vero che Mosca subito dopo il vertice di Helsinki ha addirittura effettuato una esercitazione I segreta per difendersi da un I immaginario attacco nuclea¬ so Eltsin re da parte della Nato in partenza da uno dei nuovi membri, cioè dal territorio polacco. Singolare e significativo anche il fatto che Karaganov ha pesantemente criticato l'ex ministro degli Esteri russo Andrei Kozyrev, accusando proprio lui di avere, a suo tempo, «dato all'Occidente l'impressione che Mosca non avrebbe avuto nulla in contrario verso un'eventuale estensione della Nato». In altri termini gli ambienti radical-democratici (di cui Kozyrev era allora l'esponente di punta e Karaganov un gregario convinto) - che interpretarono il «partenariato per la pace» come l'anticamera dell'ingresso a vele spiegate della nuova Russia nella Nato - adesso si rendono conto con sconcerto di avere lavorato per il re di Prussia. Ciò che non viene esplicitato è tuttavia un'altra circostanza: nel 19941995 l'entou¬ rage presidenziale aveva ancora una gran paura, addirittura il terrore, di un ritorno al potere dei comunisti. La «partnership for peace» era vista dal Cremlino come una specie di assicurazione contro questo tipo di infortunio eventuale. Una speranza che l'Occidente, scegliendo loro come alleati, non avrebbe mai più permesso un ritorno all'indietro della Russia verso il suo passato sovietico. Che questa eventualità fosse del tutto irreale erano allora in pochi a pensarlo, sia attorno al Cremlino che dalle parti di Washington. Per cui la commedia venne presa sul serio da ambo le parti. Adesso che i pericoli sono tutti alle spalle, tuttavia, anche i più filo-occidentali si rendono conto fino a che punto le loro aspettative e motivazioni fossero diverse e lontane da quelle della leadership americana. Come scriveva ieri su «Moscow Times» Andrei Piontkovskij, direttore del Centro di Studi Strategici, «hanno agito in tutta la vicenda gli stessi impulsi di odio-amore che hanno dominato le relazioni tra Occidente e Russia negli ultimi 300 anni». E mentre la Russia si abbandonava voluttuosamente alle illusioni di essere stata accolta nella nuova famiglia, «l'Occidente giocava una partita calcolata, un gioco razionale, accrescendo metodicamente la sua pressione sulla Russia». Non basta voler essere iscritti al club dei potenti, occorre anche che il club ti dia la tessera. Giuli etto Chiesa Il presidente russo Eltsin