La Quercia e il suo leader condannati a sopportarsi di Augusto Minzolini

La Quercia e il suo leader condannati a sopportarsi La Quercia e il suo leader condannati a sopportarsi LE TENSIONI A SINISTRA SROMA OLO a tirare in ballo quell'esempio, si rischia di essere assaliti da un qualsiasi esponente pidiessino e - probabilmente - a ragione, dato che Forza Italia non è certo un esempio da proporre. Un consiglio nazionale come quello di qualche giorno fa che si conclude in due ore, con dissidenti come Mancuso che se ne vanno per «incompatibilità ambientale» e bastian contrari di professiore come Colletti che abbandonano ». sala con le parole «torno a casa a dormire», beh, questo stile non va a sinistra e tantomeno può piacere al pds. Ma neppure l'idea di un partito che si lancia in un fumoso ed estenuante dibattito e trasforma la bicamerale - a sentire gente come De Mita, Tatarella e, dulcis in fundo, lo stesso D'Alema - «in un congresso del pds permanente», può essere un modello da conservare. Tantopiù che - questo è il paradosso - dopo maratone di riunioni, di interviste al vetriolo, dopo minacce di congressi e di rese dei conti, la direzione del partito si è conclusa con un nulla di fatto, che Claudia Mancina, ulivista nell'esecutivo pds, sintetizza con parole laconiche: «Noi dobbiamo sopportare D'Alema e lui deve sopportare noi». Un epilogo che non offre all'esterno un'immagine di forza, di efficienza e, in fin dei conti, neppure di ricchezza di idee. Semmai di confusione, al punto che lo stesso D'Alema sentenzia: «Nel partito sono presenti le posizioni dell'intero arco costituzionale». Non sono pochi, comunque, quelli che al di là dell'attaccamento ai riti per nostalgia e per difesa del proprio ruolo, confessano di sopportare a malapena le cinque ore di palestra verbale di ieri mattina. Di <wecchia politica e di logorrea senza senso» parla Lanfranco Turci tra i dalemiani, mentre sulla sinistra Marco Fumagalli descrive quell'attaccamento morboso al dibattito, tanto e comunque, come «un essere della sinistra che rasenta il tafazzismo, il masochismo». Ma perché nel pds si aprono grossi scontri che finiscono nel nulla? Perché si parla per giorni e alla fine le conclusioni sono del tutto avulse dal dibattito? Ieri le correnti pidiessine sono arrivate al momento della verità modulando i toni ma non la sostanza. Quelli che avevano accusato D'Alema di aver avuto un'eccessiva prudenza, di aver accettato «compromessi» e «pasticci» in tema di riforme, cioè gli ulivisti e Macaluso hanno ripetuto le loro critiche ma, soprattutto, hanno difeso il loro diritto di parola: «Far scattare l'allarme rosso pensando ad un attacco alla leadership è stato un errore madornale» ha rimproverato ai dalemiani Claudio Petruccioli, dimenticando di aver consigliato al segretario pidiessino il suicidio. Angius, pretoriano di D'Alema ha, invece, giudicato i detrattori come dei «celebratoti di messe nere», ha parlato di «inutile chiacchiericcio e attenzione spasmodica verso i particolari». Tra i primi della classe le cose non sono andate meglio. La bicamerale ha raggiunto solo un'intesa, sulla forma di governo, eppure Veltroni non ha accettato neppure quella: «Per effetto della ferita della Lega la commissione non ha risolto il nodo più importante: quello della stabilità di governo». Critica che il vicepresidente del Consi- glio ha corredato con una lode al gabinetto Prodi e con un richiamo a non toccare nulla dentro il pds: «Basta parlare di rese di conti e di eterodirezione, o di rimettere in discussione quello che non lo è». Napolitano, come è tradizione, si è trovato un posto al centro, criti¬ cando sia «i giudizi celebrativi» che quelli «liquidatori» della bicamerale. La lotti si è inventata la difesa «delle facoltà di giurisprudenza delle università che si sentono escluse». Occhetto, invece, ha sparato contro Cesare Salvi, colpevole di aver svolto una relazione intro- duttiva che «pure in un attivo di una sezione di montagna del pei degli Anni 50 sarebbe stata giudicata come una presa in giro». Come ha fatto D'Alema a rimettere ordine in questo «caos»? Ha contrapposto quel centinaio di persone riunite a Botteghe Oscure con la società, con quello che sta fuori dal palazzone rosso e che a parere del segretario è molto più avanti: «Non credo che il problema principale sia quello tra la bicamerale e il Paese. L'opinione pubblica ha accolto bene l'intesa. Il problema è nel partito. O meglio, se guardo al partito reale... Non ricevo lettere di protesta delle sezioni, c'è ima discussione, ma anche fiducia in una politica che produce risultati». E arriviamo al punto: seguendo il ragionamento del segretario pidiessino, si arguisce che a suo parere esiste un gruppo dirigente che rappresenta solo un «partito vir¬ tuale» - quello che si riunisce nelle riunioni di corrente e di direzione senza fine - e un partito reale che deve trovare ancora il suo gruppo dirigente. La questione, in modi più o meno corretti, è posta da tutti i dirigenti vicini al numero uno di Botteghe Oscure - da Mussi, a Folena, a Vacca, ad altri - e supera anche le attuali divisioni tra correnti: non per nulla ieri D'Alema ha rimproverato pure alla sua «maggioranza» nel partito di non averlo appoggiato abbastanza in taluni momenti lasciando perplesso un fedelissimo come Zani. In realtà il grado di vicinanza di questa o quella componente al segretario c'entra poco: il vero problema è la sua rappresentanza. L'attuale geografia, infatti, è frutto «di un'intesa a tavolino» - dicono i collaboratori del segretario - concordata al congresso. Le attuali correnti fotografano solo il dibattito di un gruppo dirigente che è tut¬ to da verificare, non rappresentano, invece, né interessi, né situazioni «reali». Quelle le interpretano semmai sindaci come Bassolino, Cacciari, le realtà più forti del partito come l'Emilia, i ministri. La dislocazione di questi soggetti è labile: c'è un unanimismo confuso «nei giorni di festa», citando D'Alema, e una sorda presa di distanza «nelle difficoltà». E a peggiorar le cose c'è la liturgia di queste settimane, un dibattito tra «rappresentanze virtuali»: una partita di Risiko casalinga, in cui una riunione può finire a baci e abbracci anche se si è litigato fino ad un momento prima, tanto che importa. «Questo perché il vero confronto - è il lamento del segretario - è tutto fuori di qui». Ma fino a quando il «partito reale» potrà non essere rappresentato al Bottegone? Il problema posto è solo rinviato, all'autunno. Augusto Minzolini

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