Ecco il corridoio dei misteri di Paolo Colonnello
Ecco il corridoio dei misteri L'INCONTRO «PERICOLOSO» Ecco il corridoio dei misteri IIpentito dice: lì mi ha offerto i soldi MILANO H N ascensore o salendo una ■ scala interna; un pesante portone antincendio, ed ecco il corridoio della direzione distrettuale antimafia. Quinto piano di palazzo di giustizia. E' questo il luogo dove, secondo i racconti del pentito Giuseppe Veronese, una mattina dei primi di dicembre del 1996, il pm Ilda Boccassini lo incontrò per proporgli un patto scellerato: 500 milioni in cambio di accuse contro Tiziana Parenti. Il corridoio, ultimato non più di tre o quattro anni fa da un'impresa di costruzioni finita poi sotto inchiesta (la Grassetto di Ligresti) misura una cinquantina di metri in lunghezza e non più di un metro e mezzo in larghezza. E' leggermente storto perché segue l'architettura trapezoidale del palazzaccio piacentinano. Pavimenti di linoleum, pareti prefabbricate e neon bianchi contribuiscono a creare un clima vagamente asettico, generalmente silenzioso: qui l'accesso agli estranei è precluso e due carabinieri in divisa, posti agli estremi del corridoio, sorvegliano che il divieto venga rispettato. Difficile incontrare qualcuno senza essere notati. Difficile parlare ad alta voce perché il suono rimbomba. Difficile poi che un magistrato che si sposta obbligatoriamente con una scorta di minimo cinque persone possa confabulare con un pentito scortato da almeno altri due agenti: il corridoio verrebbe praticamente occupato per metà. Dunque, in questo ambiente un po' monotono e di non facile agibilità, la mattina del 6 dicembre, il già collaborante e infiltrato Veronese, avrebbe incontrato il pm Boccassini che per l'occasione avrebbe indossato un tailleur «grigio e con un collo di pelliccia». Almeno così lo descrive l'ex chi¬ mico della droga in un verbale del 13 giugno scorso, regolarmente depositato agli atti del tribunale della libertà (e non segretato come qualcuno aveva fatto credere fino a ieri). Doveva essere una mattinata grigia e fredda quel 6 dicembre di un anno fa, riscaldata soltanto, secondo il pentito, dall'inusitata loquacità del pm Boccassini. La data del 6 dicembre la si desume da un particolare che lo stesso Veronese riferisce ai magistrati di Genova e cioè che quell'incontro avvenne il giorno dopo di una puntata di Moby Dick, la trasmissione condotta da Michele Santoro su Canale 5, e durante la quale Tiziana Parenti si era scagliata contro Di Pietro, facendo così inferocire Ilda Boccassini. Ci sono però dei particolari che non quadrano. Innanzitutto le da- te: risulta che Veronese nel 1996 sia stato a palazzo di Giustizia tre volte: 1' 11 gennaio, il 22 ottobre e il 4 novembre. E sempre per partecipare a dei processi che lo vedevano testimone-indagato in reati connessi: la coda del processo al clan Fidanzati, il processo Pirrone e il processo Enea. In tutt'e tre le occasioni Veronese sarebbe rimasto in aula (generalmente al primo piano del palazzo o tutt'al più al terzo) per pochi minuti, giusto il tempo di avvalersi della facoltà di non rispondere. Così ricorda il pm degli ultimi due proceasi in cui Veronese comparve, Laura Barbami, il magi¬ strato che lo convocò a Milano. «Io non so - dice il magistrato dove Veronese sia stato tenuto prima di entrare in aula, forse in una stanza di sicurezza al pianterreno, ma non certo nel mio ufficio né hi questo corridoio». Gli uffici di Laura Barbami (segreteria e stanza del pm) sono proprio a metà del corridoio del quinto piano, e fronteggiano verso sinistra uno stanzone ingombro di computer e scrivanie della polizia giudiziaria, verso destra l'ufficio del procuratore aggiunto Manlio Minale. Più o meno in questo punto • dovrebbe essere avvenuto il «mitico» incontro Boccassini-Verone¬ se. Il pm Barbaini però esclude che Veronese abbia sostato davanti al suo ufficio: «Lo vidi per la prima volta soltanto in aula». Soprattutto, come da subito aveva dichiarato anche: il procuratore Borrelli, il magistrato antimafia esclude che la collega Boccassmi abbia potuto mai solcare quel corridoio: «Sono qui da quando questi uffici sono stati aperti, e la Boccassini non è mai venuta». E così dice anche il magistrato che occupa l'ufficio accanto a quello della Barbaini, Celestina Gravina, un'altra rossa di capelli: «Io questo Veronese non so nemmeno che faccia abbia, ma certo Ilda Boccassini da queste parti non s'è mai vista». E ima ragione c'è, anche se nessuno la vuole raccontare: per accedere al quinto piano dalla procura, salendo dalle scale più pros¬ sime all'ufficio di Ilda Boccassini, si sbuca esattamente davanti alla stanza del pm Armando Spataro. Due magistrati di valore che però non si parlano più dal 1991, da quando cioè litigarono per la gestione dell'inchiesta sul clan Fidanzati, dove Veronese ebbe un ruolo non secondario. In seguito a questo scontro, Ilda Boccassini, su decisione di Saverio Borrelli, venne allontanata dal gruppo che allora si occupava di criminalità organizzata. Rimase la ruggine con Spataro e i due da allora hanno sempre evitato di incrociarsi, anche solo per sbaglio. Possibile che Ilda Boccassini per fare la sua inverosimile proposta a Veronese abbia scelto il luogo a lei più ostile di palazzo di Giustizia? Ai polemici l'ardua sentenza. Paolo Colonnello E a pochi metri c'è l'ufficio del giudice Spataro con cui «Ilda la rossa» ha una vecchia ruggine li pubblico ministero di Mani Pulite Ilda Boccassini nella bufera dopo la denuncia di Tiziana Parenti
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