NUOVA ARTE TORINESE? A FERRARA di Marco Vallora

NUOVAARTE TORINESE? AFERRARA NUOVAARTE TORINESE? AFERRARA CI rimprovera qualcuno (pochi, in verità) di esser divenuti troppo polemici, di protestare eccessivamente contro i malvezzi del mostrismo all'italiana, di prendere posizione forse donchisciottesca, ma intransigente, contro gli obbrobri dell'organizzare alla nostrana. Invece di adagiarci in una visione più comoda, neutra, certo più conciliante e anche redditizia, almeno a livello di fabbrica circolare di scambi-favori e riconoscenza tra complici. Ma allora che ci sta a fare il cosiddetto «critico», se è invitato mitemente e organicamente a elogiare l'esistente? Se abbiamo protestato contro l'ultima, fiacca e ripetitiva, Biennale, non è stato in grazia di una personale ideologia o convinzione di avere la verità rivelata. Crediamo di aver solo interpretato e anticipato lo sconcerto del visitatore, che si illude di spostarsi appositamente in visita ad occasioni tanto pubblicizzate (anche senza credere nella mistica giornalistica degli Eventi) per scoprire qualcosa di nuovo, di stimolante. Benissimo proporre un censimento più che risaputo del già noto, ma allora è davvero poi utile protrarre all'infinito l'istituzione ogni anno deludente e in agonia della Biennale, in attesa di uno statuto-panacea che non muterà nulla? Sono pochissimi quattro mesi per organizzare una Biennale achille-ribollita-oliva, semplicemente lucidata, disinfettata, sterilizzzata da un'infermiera svizzera? Ma chi obbligava a questo tour de force inutil-stakanovista: non conveniva lavorarci di più e accontentare meglio le attese? Le novità, se vogliamo, con un poco di curiosità si trovano. E proprio per non figurare come gli eterni scontenti ci sembra giusto rendere merito a chi fa ancora un poco di ricerca e non accettare che ogni volta ci si risponda: «Eh, già una fiera del déjk vu, ma che possiam farci se i nuovi non ci sono?». Cercare, miei cari, invece di far solo managerismo-business-telefonico. Ci sono anche a Torino, se vogliamo, come dimostra non tanto la troppo ecumenica rassegna alla Promotrice, Va' pensiero, che rischia di riprodurre il metodo onnicomprensivo e parlamentare della Biennale, tutto va bene, minimalisti con concettuali, Vedova con l'Abramovic, cattiva pittura e installazionismo oblige. Ma per esempio la confortante rassegna In fuga. Arte attuale a Torino presentata da Riccardo Passoni con un saggio finalmente ragionevole e condividibile alla Galleria Civica di Ferrara lascia ben sperare: con questi nipotini di Pascali, che propongono non già dei triti giochini della sorpresa, ma delle divertite macchine per pensare. Come la pelosa Coperta collage di dettagli di dorsi di mano in patchwork di Luisa Rabbia o l'arborescenza in tubi idraulici di Grassino, le nidiate di pesi in colata di Iuliano o i fiori finta arte povera di Todaro e i bazar alla Cornell di Luca. E quegli abiti di sacchetti di latte e plexiglass della Borghi li avremmo voluti vedere alla Biennale della Moda, a portare un po' di ironia nel guru-sacralcelantismo. Marco Vallora

Persone citate: Abramovic, Grassino, Iuliano, Luisa Rabbia, Pascali, Riccardo Passoni, Todaro, Vedova

Luoghi citati: Ferrara, Torino