MARINA JARRE AMORI DI GEMELLE

LA POESIA LA POESIA di Umberto Piersanti NASCONO dallo stupore le liriche di Gabriella Sica raccolte in un delicato libretto, Poesie bambine (La vita felice). La vita è colta a frammenti, i più precari, ma, forse per questo, i più assoluti. Resta come il ricordo di momenti magici, un balenare di figure felici e sospese che la corsa rapida del tempo investe e sommerge. Bene ha fatto Emanuele Trevi nella lettera posta in chiusura al libro ad insistere su questo tempo che passa che è cosa molto diversa dal Tempo filosofico. La grazia e la rapidità del verso strutturato in brevi e brevissimi componimenti potrebbe far pensare anche alla lezione di Sandro Penna: «Sentiva dei campi arati l'odore/lungo le siepi non c'era il dolore». Nella nostra poetessa, però, il quotidiano non è volutamente investito di un'atmosfera di stupore, di «aura»: è la forza stessa delle cose, la loro lieta semplicità a dare al quadro la sua atmosfera incantata. Non che non si avverta la ferita, soprattutto nelle poesie dedicate alla propria anima, ma la percezione di fondo rimane questa fiducia e tenerezza verso la vita come avviene nei versi dedicati ad un bambino di nome Pietro: «Benedetto sia il tuo dieci maggio/che è giorno di rose e di ciliegie». madrid NA macchina da scrivere inglese, elettrica, troneggia sul tavolino di mogano nel luminosissimo ed ampio salone, senza tende, al terzo piano di un'elegante palazzina ottocentesca della centralissima Plaza de la Villa della capitale spagnola. E' lo studio di Javier Marias, classe 1951, unanimemente considerato dalla più esigente critica letteraria europea come lo scrittore contemporaneo più raffinato, ricercato, funambolico, ipnotizzante e paradossale del Paese di Cervantes. Con il romanzo Un cuore così bianco, tradotto in Italia da Donzelli, ha appena vinto a Dublino il premio Impac, uno dei più ricchi al mondo, 250 milioni di lire. I suoi prossimi libri verranno pubblicati da Einaudi. Le pareti sono letteralmente copeite da una sterminata e bellissima biblioteca piena zeppa di libri e vocabolari ben ordinati. Solo alcune foto, in bianco e nero, ricordano al visitatore che è il terzogenito di Juliàn, il discepolo prediletto del filosofo Ortega y Gasset. In una stanza adiacente, molto più intima, sono rac¬ colti i libri che ha scritto in 26 anni: 8 romanzi (l'ultimo, Mariana en la Batalla piensa en mi, è del '94), 2 racconti, 4 raccolte di articoli, la biografia di 20 celebri autori (tra cui Tornasi di Lampedusa) Vidas Escritas e le antologie Cuentos unicos ed El hombre queparecia no querer nada. Marias, che parla un italiano quasi perfetto (appreso «per motivi personali» a Venezia durante i primi Anni 80), conosce bene la nostra letteratura. Gli piacciono molto Gadda e Bufalino, Tornasi di Lampedusa ed il Manzoni de La colonna infame, Saba e Zanzotto. Gli interessa Del Giudice. Prima dell'intervista ci mostra, con orgoglio da bibliofilo, una raffinata edizione inglese del 1770 di Lettere famigliari a' suoi tre fratelli, quattro volumi del grande illuminista torinese Giuseppe Baretti, il polemista di «Frusta letteraria». Marcel Reich-Ranicki, che ha stroncato Gùnther Grass e Vargas Llosa, l'ha paragonata a Garda Màrquez. L'unica differenza è che lui usa il computer. «Una delle cose che più mi diverte, quando scrivo, è correggermi, a mano. Adoro la costruzione visibile di una pagina. Non ho mai usa¬ to, né userò un computer perché non lascia traccia delle correzioni. 10 cancello e faccio delle frecce, che adoro, quando mi "pulisco". Correggere con il computer mi pare un'asettica operazione chirurgica». Si parla di crisi della letteratura, le vendite diminuiscono. «Non sono d'accordo. Non si sono mai venduti tanti libri come adesso. In Spagna la generazione del 1898 come Valle-Inclan o quella del 1927 come Llorca o Alberti tiravano 2-3 mila copie che si esaurivano, forse, dopo 2-3 anni. La letteratura, a differenza di cinema e tv, non può far vedere tutto e subito. Questo è il suo vantaggio ed 11 suo privilegio. La letteratura è ri-conoscimento, non solo mera narrazione. Ciò che commuove di più, in un romanzo, è quando riconosci situazioni ed emozioni vere che sapevi ma che non sapevi di sapere. E la letteratura inventa, nel senso etimologico della parola. Inventare deriva dal latino invenire, che significa scoprire». Per esempio? «La prima frase di Un cuore così bianco è l'unica che esisteva prima della mia scrittura, un fatto «Io non ho mai sfruttato, come. Cela o ArrabaI, la Spagna delle donne con il pugnale nella giarrettiera o il tricorno della Guardia Civil: quello è solo folclore» che è successo nella mia famiglia. Una cugina di mia madre si suicidò, come riporto nella prima frase, a due settimane dal ritorno del viaggio di nozze. Non si è mai saputo cosa sia successo e chi lo sapeva è morto. Il mio primo impulso per scrivere il romanzo è stato quello di inventare, ergo scoprire, una cosa che non si può più scoprire». Il suo primo libro, «Los dominios del lobo», è del '71. Come arrivò alla scrittura? «Per leggere di più. A 12-13 anni avevo letto tutto Salgari e tutto Dumas. Volevo più Salgari? Me lo Javier Marias, con il romanzo «Un cuore così bianco», ha appena vinto a Dublino il premio Impac, uno dei più ricchi al mondo scrivevo. La mia prima "novela" la pubblicai grazie a Juan Benet, uno scrittore spagnolo morto quattro anni fa da cui ho imparato molto». Oltre che scrittore è anche un celebrato traduttore dall'inglese ed ha insegnato ad Oxford e a Yale. «Mio padre venne condannato all'esilio da Franco e dovetti insegnare negli Usa. Io me ne andai da Madrid quando avevo un mese di vita. Tradurre, nel mio caso, è stato quasi naturale. Ed è un esercizio straordinario che consiglio ad ogni scrittore. Se chi scrivo può momentaneamente rinunciare alla propria voce per incorporare quella di Conrad, di Shakespeare o di Sterne ha conquistato una grande flessibilità. Significa riscrivere, dare ritmo ad una prosa». L'hanno accusata di subire il fascino anglosassone. «Sì, è un'etichetta che mi hanno affibbiato da quando, nel '78, dissi che i romanzi della letteratura spagnola, a parte ovviamente il Don Chisciotte, non sono un granché. Molti reagirono patriotticamente, persino a sinistra. L'establishment culturale diceva che ero poco spagnolo, che i miei libri sembravano traduzioni. Anche per questo, per molti anni, in Italia, l'Adelphi, la Feltrinelli o Frassinelli non mi hanno mai preso in considerazione. In realtà io non ho mai sfruttato, come Cela o Arrabai, la Spagna "tremendista", le donne con il pugnale nella giarrettiera o il tricorno della Guardia Civil. Quella è la Spagna folclorica. Però l'influenza delle traduzioni di Conrad, Sterne, Yeats, Faulkner e Nabokov è innegabile. Come quella di Valle-Inclan». Gian Antonio Orighi MARINA JARRE AMORI DI GEMELLE UN ALTRO PEZZO DI MONDO Marina Jarre Bollati boringhieri pp. 218, L. 35.000 TORINO ELLA stagione del pulp, del cannibalismo, del narrare povero, anemico, la prima volta, il primo atto d'amore di Rosa Maria e Fosco («La condusse sempre ab¬ pp. 218, L. 35.000 bracciandola qualche passo più in là, si staccò un momento da lei, si tolse la giacca e la stese per terra») è un refolo di Cassola, il miglior Cassola, tonifica, solleva. Non è una «Liala», Marina Jarre, appena arrivata in libreria con Un altro pezzo di mondo, ulteriore atto di fedeltà a Giulio Bollati: «Senza di lui, amico sin dall'Einaudi, le mie opere sarebbero rimaste nel cassetto». E', la signora nata settantadue anni fa a Riga, in Lettonia, una figura ibseniana. A mano a mano che il dialogo fiorisce (sulla pagina e nella casa dietro la Gran Madre, solida come una moralità) emerge, s'impone, il motto del drammaturgo norvegese: «Vivere è lottare contro i demoni del cuore e del cervello. Scrivere è pronunciare un giudizio finale su se stessi». Un filo civile, severo, non pedante, lucido, non sbarrato al fluire dei sentimenti, cuce questo Pezzo di mondo. Che cos'è se non un invito evangelico a farsi bambini? La storia esordisce con l'avvertenza di Marianna: «Non so vivere». Le fa eco in chiusura (quasi in chiusura) la gemella Rosa Maria: «Anch'io non so vivere». Le riscatta dal naufragio, dalla resa, il piccolo Gian Luca. Chinatosi sulla grande pozzanghera dove si rispecchia il cielo ferrigno non nasconde lo stupore: «Più guardi in là e più vedi... Non finisce mai». «E' l'unico episodio reale che ho accolto - rivela Marina Jarre -. Non a caso il romanzo è dedicato innanzitutto al nipote Matteo. Fu lui, all'uscita da scuola, a condurmi davanti a una bolla d'acqua: "Ecco un altro pezzo di mondo da vedere. Il mondo, nonna, non finisce mai"». L'eco della proustiana tazza di tè: sennonché il piccolo Marcel si immerge nel passato, Gian Luca-Matteo scivola nel futuro. Marianna e Rosa Maria, dunque. Vite parallele e intrecciate. Culla egiziana (Alessandria d'Egitto). Il padre: un marinaio itaMano. La madre: un'ebrea di Rodi. Il matrimonio di Marianna (scrittrice) usurato dal tempo. Le nozze di Rosa Maria troncate dalla morte di Fosco, il fascista che non era fascista. E i figli, i figli dei figli, i fantasmi, le memorie che ad ora incerta quietamente dilagano («Narrerò dunque solo dei luoghi donde foste cacciati, dei luoghi che avete dovuto lasciare, della cucina, nonno, in cui entravano svolazzando le ombre delle foghe dei limoni nel cortile. Della luce dorata nella Sinagoga del Transito...»). E i nuovi battiti di cuore delle sorelle: negli spazi americani e nel milieu teatrale. Una pulsione che accompagna, sorregge, irrora: «Innamorarsi ancora una volta, disse Marianna - ancora una volta». Goethe approverebbe. Il «non so vivere», almeno nel significato di «rinuncio a vivere», è di continuo smentito. «E' un annuncio che non va drammatizzato - spiega Marina Jarre -. Marianna e Rosa Maria sono due straniere ic Italia, a Torino. Non sono immerse nel Paese e nella città, non riconoscono affinità elettive con gli indigeni. "Non so vivere" potrebbe essere la rivelazione di un disagio ambientale, che non coinvolge per ciò stesso il senso alto dell'esistere». Un'eco della Jarre, le gemelle? Il «no» è reciso: «.Un altro pezzo di. mondo scarta da sentieri che non ho mancato di praticare: l'autobiografia come la ricostruzione storica, Ipadri lontani come Ascanio e Margherita'». Non traggano in inganno le origini geograficamente lontane, il «sangue misto» che scorre nelle vene (padre ebreo, madre valdese), il rapporto «protestante» con la lingua italiana («Sono cresciuta parlando tedesco e immergendomi nella letteratura francese»). Vita e cultura. Una liaison che Marina Jarre di continuo restaura, rinfocola. Ma in silenzio, con impettito garbo, sdegnando ogni ribalta. Se abita qui, nella Torino sotto vetro della Suora giovane di Arpino e delle Due città di Mario Soldati, un motivo ci sarà. Sotto scorre il fiume, da cui si leva un voile balsamico, che protegge, sfarina i rumori, tiene a bada la volgarità, nutre il sogno pionieristico di afferrare un altro pezzo di mondo. Bruno Quaranta ISLAM & KONDOR LE SPIE DI ALTIERI KONDOR Alan D. Altieri Corbaccio pp. 572 L. 32.000 KONDOR Alan D. Altieri Corbaccio pp. 572 L. 32.000 HIT For Brain (Merda al Posto del Cervello): la migliore delle qualità degli appartenenti a Sopint (cfr.) SOPINT: Special OPerations INTelligence (Spionaggio Special Forces). Cfr. Shit-For-Brain». L'avrete capito: sono due tra le oltre duecento voci dello speciale glossario tecnico (fonte: Manuale Operativo Special Forces IX edizione Gottschalk-Yutani Publishing, Co.) che Alan A. Altieri pone alla fine di un allucinato e tecnologico Kondor, ultimo libro di guerra, di micidiali aerei fantasma, di commando (il Branco di Lupi) e di spionaggio, nato negli inquietanti scomparti della sua apocalittica fantasia e del suo linguaggio feroce, divisi esattamente tra letteratura e cinema. Altieri (che di nome vero fa, molto più domesticamente, Sergio) è un ingegnere meccanico milanese di 45 anni che - circa quindici anni fa se ne uscì con un romanzo strepitoso, Città oscura, sorta di divinazione sanguinaria preannunciante la rivolta di Watts e la messa a ferro e fuoco di Los Angeles. La storia piacque talmente a De Laurentiis che il produttore offrì, da un giorno all'altro, al giovane esordiente un contratto per Hollywood: «Vieni, scriverai sceneggiature e diventerai il mio occhio americano alla caccia di libri e soggetti buoni da film». Fu così che Altieri si trasferì tra Wilshire e Fairfax, nella Beverly Hills ebraica che si affaccia sul Farmer Market ed incominciò a «produrre». E non è più tornato, nemmeno quando - cose normali per la California - fu licenziato a causa della vendita della società: decise di mettersi in proprio ed oggi è l'unico sceneggiatore italiano accettato - e coccolato - nel poten PREMIO CIRO MARINA 10" Edizione Gad Lerner Dante Maffia Predrag Matvejevic Pierfrancesco PlNGITORE Giuliano Toraldo Di Francia 5 Luglio, ore 19,30 - Ciro Marina (Kr) Mercati Saraceni - Madonna ili Marc soggetti buoni da film». Fu così che Altieri si trasferì tra Wilshire e Fairfax, nella Beverly Hills ebraica che si affaccia sul Farmer Market ed incominciò a «produrre». E non è più tornato, nemmeno quando - cose normali per la California - fu licenziato a causa della vendita della società: decise di mettersi in proprio ed oggi è l'unico sceneggiatore italiano accettato - e coccolato - nel potentissimo sindacato degli scrittori cinematografici statunitensi. Ma com'è che un ingegnere... «No, guardi: ci vuole proprio un ingegnere se la sua passione sono le storiepolitically incorrect dove l'ambiguità, la tecnologia, gli scenari futuribili e la violenza delle passioni spingono con la forza della marea verso il caos. L'ingegnere sa sempre mantenere la rotta, anche nel mare infinito delle seicento-ottocento pagine: ha la logica dalla sua, il senso della costruzione, i sestanti per ricondurre - appena lo desidera - il disordine nell'ordine». Torniamo al Kondor. Il glossario lo definisce: «Livello di classificazione 9, nessuna informazione disponibile. Sopcom nega che tale entità sia mai esistita». «Kondor è la scatola cinese all'interno di un'altra scatola più grande che è la grande guerra fondamentalista che combatteremo inevitabilmente in un futuro nemmeno troppo lontano. L'ultima volta, nel Golfo, le forze in campo erano impari: da parte occidentale c'era Ù massimo di ri¬ cerca e tecnologia. Da parte islamica le baionette. Io ho riequilibrato il terreno di gioco, ho fornito tecnologia all'Iran ed al grande sogno della Jihad, l'unificazione sotto gli stendardi del profeta di un'unica immensa nazione. Ma qualcosa potrebbe far di nuovo pendere i piatti della bilancia: Kondor, l'aereo segreto scomparso, intorno al quale si scatena la tanto defintiva quanto torbida battaglia per la supremazia». E il cinema? «Un temo al lotto. Vendi qualcosa e sei ricco per quei due o tre anni in cui - di sicuro - non riuscirai più a vendere nemmeno una riga. E' una professione da batticuore. Soprattutto ora che sono sparite le produzioni medie. Si fanno solo più colossal (per di più con grande uso di computer, vedi Jurassic Park padre e figli) gestiti da proterve aristocrazie dei soldi, o film in economia cuciti quasi in famiglia con il medesimo risultato: sbattere il muso contro un clan». Allora perché non tornare in Italia? «Perché sarebbe difficile riabituarsi alla paralisi. Sono partito quando Preti prometteva solennemente: "Le riforme si faranno" e sono riapprodato per Kondor il giorno in cui D'Alema ricantava la stessa canzone con un arrangiamento diverso». Lingua lunga, l'ingegnere... «Certo. Ma grande capacità di lavoro. Quindi il contrario della paralisi: 5-6 ore di fatti tutti i giorni. Soggetti, sceneggiature, romanzi, traduzioni: l'importante è produrre. Poi qualcuno comprerà. Troppo americano? Può darsi. Ma l'ho detto: il mio pregio maggiore è quello di essere politicamente scorretto. Esattamente come le mie storie. Non le pare?». Piero Sorta