CARVER, IL GRAN FABBRO DEI PUNTI E DELLE VIRGOLE

CARVER, IL GRAN FABBRO DEI PUNTI E DELLE VIRGOLE CARVER, IL GRAN FABBRO DEI PUNTI E DELLE VIRGOLE IL MESTIERE DI SCRIVERE Raymond Carver Einaudi pp. in L. 13.000 IL MESTIERE DI SCRIVERE Raymond Carver Einaudi pp. in L. 13.000 GLI occhi di un microbo la pulce è un immane gigante, così come sotto lo sguardo altissimo della luna l'Empire State Building non è che un puntino nel mosaico notturno di New York. I piccoli grandi personaggi di Raymond Carver, da lui visti solo da vicinissimo o da lontanissimo, sono persone da due soldi sparse nella vuota mitologia del Carver Country, un paesaggio desolato dove essi consumano stancamente la vita. E poiché la vita non è cosa da poco ecco che lo smarrito ubriacone, la brutale casalinga e i mocciosetti intontiti dalla televisione o avvelenati dai cattivi pasti assumono il carisma di personaggi danteschi, inquadrati dallo sguardo pietoso del loro creatore, cioè dello scrittore. Carver prendeva ad esempio la scrittura di Cechov e di Dostoevskij, narratori della violenza del nulla. E' appena uscito in libreria, edito da Einaudi, un volume che raccoglie le lezioni di scrittura creativa che Carver tenne durante la sua «carriera» di insegnante universitario. Titolo: Il mestiere di scrivere. E nonostante compaia alla fine del libricino una lista di cinquanta esercizi, il corpo delle lezioni non è impostato, per fur- tuna, come un manuale di scrittura. Egli parla di «strategia narrativa» ma non spiega esattamente cosa sia. In un paragrafo afferma che bisogna scrivere su una trama prestabilita; in un altro punto, sulla falsariga di Flannery O'Connor, che i racconti migliori si ottengono tirando giù riga dopo riga senza sapere dove si approderà. Nessun cenno alla prima persona, alla terza persona e allo stile libero indiretto, né al linguaggio mimetico o ai generi letterari. Carver, in definitiva, insegna la propria scrittura. Le sue teorie non spiegano gli ingranaggi della machine letteraria, esprimono i termini di una poetica. Poetica che, personalmente, mi trova quasi sempre partecipe, a cominciare dalla poundiana «moralità della scrittura». Di che si tratta? Semplicemente della cura dell'espressione letteraria, dell'estrema attenzione nel controllo delle emozioni e del rigore nel cercare una visuale autentica e originale del mondo. «Di talento ce n'è tanto in giro. Ma uno scrittore che ha una maniera particolare di guardare le cose e riesce a dare espressione artistica alla sua maniera di guardare le cose, è uno scrittore che durerà per un bel pezzo». Di qui il suo odio per la scrittura letteraria, per U bello scrivere: «La scrittura estremamente elaborata o chic o quella chiaramente stupida mi fanno veramente venir sonno». Allo stesso modo Carver detesta quella letteratura sperimentale, imitativa, che lascia licenza di scrivere sciattamente. Come dire che la de¬ scrizione della vita minimale, al contrario di ciò che si pensa, necessita di un'estrema accuratezza formale. Citando Isaac Babel dice: «Non c'è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto». Sembrano parole del «gran fabbro». Interessanti sono poi le pagine sugli «influssi», sulle suggestioni esterne, più o meno irrazionali, casuali, indirette, che lo scrittore subisce durante il lavoro. Colpisce soprattutto e mi trova d'accordo come non mai - la poca importanza che egli attribuisce alla memoria. Della memoria sono utili i segmenti sfusi: uno sguardo rimasto impresso nella mente, un paesaggio, un trauma, uno smarrimento, un gesto: sfuma- Raymond Carver. Einaudi pubblica «Il mestiere di scrivere», esercizi, lezioni, saggi di scrittura creativa, a cura di William L. Stulll e Riccardo Duranti ture di una realtà diventata altro dentro di noi. Carver ha sempre avuto voglia di scrivere, «di scrivere qualsiasi cosa - narrativa, certo, ma anche poesia, drammi, sceneggiature, articoli...». In una parola ha utilizzato tutti i linguaggi che passano per la scrittura. E' un narratore puro: ha cercato di raccontare e mostrare al lettore il mondo che questi abita ma non percepisce. Mette insieme parole e crea oggetti compiuti e coerenti, simulacri di verità, che possono «interessare qualcun altro» oltre a sé. Il mestiere del narratore non può prescindere da questo interesse comune dell'autore e del lettore. Ma per farlo bisogna amare la scrittura, e o^iindi conoscerla. Carver con generosità ci svela i suoi segreti. Lette queste lezioni ne sappiamo di più, sull'arte di scrivere e sul grande scrittore americano. Anche se il succo dell'intrigante libro si può così sintetizzare: per imparare a scrivere bene bisogna essere scrittori. Vincenzo Cerami 0N s°l° grandi maestri, 1 che sono necessari cow me il pane ma che da I soli potrebbero anche a ' 1 non bastare. Ogni terreno a coltura ha bisogno di cure strette, di vocazioni estese, capillari. E questo vale anche per la scrittura. Eugenio Pintore, ad esempio, non si stupisce affatto d'essere ignoto ai più, non è uno da proscenio. E' un quarantenne spiritoso, dallo sguardo arguto, che accende occhiate puntuali come zolfanelli. Sardo d'origine, torinese di elezione, si è laureato a Torino come Baricco, anche lui con Vattimo («che fa sempre fine»). Titolo della tesi, Metafora e linguaggio poetico in Paul Ricoeur. Roba da distillato ermeneutico («Eppure è stato l'inizio di tutto»). Pintore non lo dice né lo direbbe, ma detiene un piccolo record. La sua scuoletta non ha nemmeno un nome, non ha una sede stabile, non ha una segreteria amministrativa e pratica prezzi quanto mai economici («Trecentomila lire per dieci incontri, e niente lesina sul tempo, se ne' impiega di volta"in volta quanto serve»). h qMa ha un buon maestro ed è ciò che conta. Dai suoi corsi di scrittura, messi insieme passando parola o con tre righe d'avviso su Torinosette, di esordienti ne sono già usciti tre. Il primo, Alessandro Defilippi, ha oggi quarant'anni ed è uno psichiatra che ha esordito nel '94 con dei racconti di fantasmi intitolati Una lunga consuetudine e pubblicati da Sellerio. Gli altri due sono invece sui trent'anni: Augusto Gauthier ha messo al mondo piccole edizioni di racconti promettenti editi per ora quasi in autarchia, Enrico Remmert è appena uscito da Marsilio con il romanzo Rossenotti. La giovane holding di Baricco può dire altrettanto? Di mestiere Pintore fa il bibliotecario (dirige la civica di Settimo Torinese), inventandosi un modo creativo di smuovere un territorio non facile. Ma la sua vocazione speciale è proprio quella di allevare chi ha voglia di scrivere («due corsi all'anno: uno propedeutico, uno di approfondimento, e poi piena disponibilità a discutere, a leggere, a scambiare esperienze»). Ci pensava da prima, ma ha iniziato nel '93. Con pochissimi mezzi, perché per scrivere, in fondo, «basta un foglio di carta e una biro». Una paura? «Ho temuto che la Holden potesse rubarmi gli allievi», confessa. Ma è presto passata, perché i suoi allievi, per lo più adulti («dai venticinque anni in su»), cercano proprio lui, la sua passione, la sua competenza, la sua cura di non presumere. Segreti? Uno solo («La coscienza che la scrittura non è mai un fatto innocente»). Ma basta a se stesso. Tanto più che Pintore non è forse che uno dei tanti, umili e bufavi maestri che non si danno a risparmio. Quanti ce ne sono in giro come lui? Conoscerli non è facile. Ma senza di loro la lezione dei grandi maestri non sarebbe la stessa, non avrebbe più la stessa visibilità. Lo stesso vigore. Giovanni Testo .* * w -» •+ *■

Luoghi citati: New York, Settimo Torinese, Torino