«Sì, ho informato Borrelli Era mio dovere farlo» di Alessandra Pieracci

IL PROCURATORE MONETTI «Sì, ho informato Borrelli Era mio dovere farlo» IL PROCURATORE MONETTI ■GENOVA contatti con la procura di Milano rientrano nei miei doveri, per consentire l'applicazione e il rispetto di quei poteri di vigilanza che ogni procuratore ha nei confronti dei subalterni». Vito Monetti, «reggente» della procura di Genova, conferma le telefonate con Saverio Borrelli. Cinquantaquattro anni ottimamente portati, forse grazie a quella bicicletta con cui arriva ogni mattina e che lascia appoggiata ai paletti di sicurezza davanti all'ingresso eli Palazzo di Giustizia, prima di togliersi le mollette dai pantaloni e recarsi al lavoro, il dottor Monetti, barese, a Genova dal 1970, dal febbraio scorso siede su una poltrona diventata improvvisamente scomoda. «Oggi, in questa situazione, invidio il procuratore capo che è andato in pensione», dice, sostenendo, anche se nessuno gli crede, che non si sarebbe mai aspettato tanto clamore «politico» intorno a un'inchiesta importante e delicata sì, ma altrimenti destinata «a pagina 15 dei giornali». «Io però sono solo un pezzo della procura», afferma, lasciando intendere di non essere stato il solo a parlare con il procuratore capo di Milano. I riferimenti sono, evidenti, a quei magistrati che in qualche modo hanno fatto nascere il giallo del tailleur, ovvero l'abbigliamento del pm Ilda Boccassini descritto dal pentito Angelo Veronese a suffragare il racconto di un contatto con il magistrato milanese, a suo dire istigatore di rivelazioni scottanti a proposito dell'onorevole Tiziana Parenti. Dottor Monetti, lei ricorda che una telefonata di troppo ai colleghi milanesi su una «cimice» è stata tra le cause della bufera che si è abbattuta sulla procura di Roma? «La situazione qui è diversa. Si tratta di conversazioni tra responsabili di uffici riguardo notizie non coperte dal segreto istruttorio». Trasmetterà gli atti alla procura di Brescia che ha iscrìtto nel registro degli indagati Ilda Boccassini dopo la denuncia di Tiziana Parenti? Anche il ministro di Grazia e Giustizia Flick ha chiesto i documenti della procura genovese, come del resto li sta aspettando lo stesso Borrelli «Mi sembra evidente che queste siano risposte impossibili finché gli eventuali destinatari di qualsiasi atto ufficiale non l'abbiano ricevuto o non ne siano venuti a conoscenza». Nel suo primo interrogatorio, il 9 giugno scorso, il colonnello Riccio ha affermato di aver saputo dal pentito Veronese, circa un anno fa, che quest'ultimo avrebbe subito pressioni dai carabinieri per accusare lui, il maresciallo Piccolo e Tiziana Parenti e che dietro tutto questo ci sarebbero stati i magistrati di Milano e Geno¬ va. «In quel verbale ci sono le dichiarazioni di un indagato a proposito di cose che ha sentito da un collaboratore di giustizia: non tutte le cose sono vere, non tutti gli atti che avrebbe compiuto la procura di Genova sono reali, altri sono stati eseguiti diversamente da quanto raccontato. Non c'è nulla di vero, ad esempio, relativamente a un interrogatorio cui Verone¬ se sarebbe stato sottoposto in questura, né riguardo il coinvolgimento dei pm Macchiavello e Canepa. Del resto il colonnello Riccio può aver equivocato le dichiarazioni di Veronese, o forse si difende come può. Non è obbligato a dichiarazioni veritiere, come non è obbligato Veronese». Ma allora Veronese è attendibile o no? «Faccio il magistrato, non lo psi¬ cologo. Al di là delle battute, posso dire che l'attendibilità dei pentiti va verificata solo per quanto riguarda gli atti dell'inchiesta, non i discorsi riportati o le interviste. Ogni dichiarazione di pentiti o non pentiti, che sia frutto di intercettazioni o di interrogatori, viene vagliata con ogni tipo di controllo per stabilirne la credibilità». Dottor Monetti, sta valutan¬ te un eventuale problema di competenza in seguito ai riferimenti emersi a magistrati di altre procure? «Ripeto per l'ennesima volta che non ci sono magistrati indagati. E ancora una volta, sperando di non essere frainteso, ripeto che nessun giudice è stato accusato di reati e quindi, non essendo ipotizzabile la calunnia, non tocca a noi procedere d'ufficio. Ci siamo eventualmente trovati di fronte ad affermazioni diffamanti, e in questo caso è necessaria la querela di parte». Non ritiene quanto meno infelice l'esempio da lei fatto, come notizia diffamante, del passaggio dall'estrema sinistra a Berlusconi, riferito a Tiziana Parenti? «Io intendevo unicamente sottolineare come un eventuale commento malevolo al riguardo sarebbe certamente un fatto lesivo di un'immagine personale, ma altrettanto certamente non costituirebbe un reato di calunnia. Evidentemente la mia capacità semantica non deve essere delle migliori». Alessandra Pieracci

Luoghi citati: Brescia, Genova, Milano, Roma