Tirana, secondo turno con attentato di Foto Reuter

Oggi il ballottaggio per 32 circoscrizioni, ma la vittoria dei socialisti non è in discussione Oggi il ballottaggio per 32 circoscrizioni, ma la vittoria dei socialisti non è in discussione Tirana, secondo turno con attentato Sparì al bar contro il presidente delpartito di Berisha TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Le prefiche vestite di nero tacciono, accoccolate sotto la tenda da nomadi. Agim Gjonpali aveva 23 anni ed era venuto da Tropoja, nel Nord più profondo, per manifestare con gli altri l'appoggio al pretendente al trono. Anche se lui era un fedelissimo del presidente Sah Berisha. Ma quel re, gli avevano detto, avrebbe sbarrato la strada ai comunisti. Ed era sceso fin qui, con gli altri, e si era sentito importante, l'altra mattina. Poi c'era stata quella battaglia breve, e ora lui giace nella bara rossa, col vestito buono, quello scuro, un po' largo, con le scarpe lucide e la sigaretta «L&N» fra l'indice e il medio della mano destra. E' il giorno del suo funerale, è un giorno afoso e grigio e chissà se lui è felice, perché lì, accanto alla sua bara, c'è anche Leka Zogu, il re mancato. E poi c'è Genk Pollo, e i dignitari del partito democratico. Tutta gente che lui, forse, neppure conosceva per nome e che sono accorsi in questa periferia perché l'occasione rischia di essere irripetibile. Agim Gjonpali non lo può vedere il vecchio campo d'aviazione con sei biplani sotto gli hangar che non voleranno più perché non c'è più la pista: eppure è lì, accanto alla bara. E non può vedere il suo re che lo sorregge, quando lo portano via. Non può vedere che gli fanno attraversare Tirana, fino al Palazzo dei Congressi, davanti al quale grandi macchie scure indicano il punto dov'è stato colpito, chissà da chi. Leka depone un mazzo di margherite, lì sull'angolo, e una vecchia che non ha più lacrime ne lascia uno di garofani bianchi. Attorno, lontani, i baschi amaranto dei carabinieri paracadutisti del Tuscania, e poi, ancora più in là, i militari francesi, quelli greci e quelli turchi. La gente del corteo innalza cartelli che dicono: «Pace», «Mai più i proiettili su innocenti», «No al ritorno dei comunisti». E anche: «3 luglio 1997 uguale 2 aprile 1991». E vuol dire che, sei anni dopo, i socialisti, appena vinto, hanno ucciso di nuovo, com'era capitato a Scutari. Ora Agim Gjonpali viene portato fino a piazza Scanderbeg, e Leka parla ai suoi, che sembrano sempre meno numerosi, e la gente grida: «Abbasso i socialisti», «Abbasso gli assassini», «Abbasso i comunisti». E uno urla: «Nano è un ladro, abbiamo i documenti a provarlo». E Genk Pollo aggiunge: «Lui, questo ragazzo, veniva da un paese democratico e voleva solo la pace. Per questo l'hanno ammazzato». E c'è anche Azem Hajdari, prescelto da Berisha come ministro dagli Interni, in questi ultimi giorni, ma bocciato dai socialisti. E lui ora parla di «criminali di Stato». Soltanto un ragazzo, il fratello di Agim, è a disagio, lì sul palco. E dice: «Pace, ci vuole pace». Oggi, dunque, il ballottaggio. Il che significa fare i conti sui conti, in 32 zone. E che cosa importa se la Commissione centrale elettorale si balocca ancora fra addizioni, sottrazioni e percentuali? Dettagli, solo dettagli, tanto lo hanno capito tutti come si sono concluse le elezioni, con la benedizione dell'Europa. Per la verità, come sarebbe andata a finire, a Tirana l'avevano intuito fin dal primo momento. Perché i socialisti avevano tutto dalla loro per vincere, e i democratici, a dispetto di quanto dichiarava il presidente Berisha, tutto da perdere. E anche se a sera è stato annunciato dalla Commissione che, sì, la meta è vicina, anche se oggi si dovrà continuare a tirar di somma. La realtà è che i socialisti si sono ben insediati al potere, i democratici si devono accontentare di una velenosa opposizione e, per quanto ri¬ guarda il referendum, Leka Zogu rimane un re mancato. E, dice lui, pure buggerato. Perché col passare delle ore la sua protesta per brogli, veri o presunti, sembra affievolirsi e le sue speranze impallidiscono. Alla Commissione ripetono che siamo agli ultimi cento metri e snocciolano cifre che interessano, ormai, soltanto gli statistici: su 115 seggi ne sono stati scrutinati 107 e, dunque, avrebbero voglia di dire: «I giochi sono fatti». Se poi siano stati anche onesti, questi giochi, è un altro paio di maniche. Di certo grandi argomenti per protestare i democratici non devono averli trovati, se schiumano di rabbia, ma abbozzano stirati sorrisi a quegli impiccioni degli europei che hanno dissemina- to di osservatori e militari il Paese delle aquile. Il che non sarà servito a molto, ma ha dato tono. Il partito socialista ieri era attestato sul 53,4%; quello democratico sul 25,3; il monarchico sul 3,1; gli altri a seguire. Allora, rassegnazione da parte dei battuti? Neppure per sogno. Berisha ha già lanciato la parola d'ordine e ha promesso che comincerà una lunga marcia politica per strappare il potere ai socialisti. Aria incerta, aria pesante. L'altra sera hanno sparato a Tritali Shehu, presidente del partito democratico. In pieno centro, a Tirana, a due passi dalla sede del partito. Un killer, con mira evidentemente imperfetta, ha fatto fuoco quando il parlamentare si è alzato dal tavolo di caffè dov'era seduto con Mark Almond e Martin Dood, funzionari del Comitato di Helsinki. Il proiettile, ha raccontato Shehu, «mi ha sfiorato la testa ed è finito su una vetrata c poi contro un muro. No, non è una questione personale, non ho nemici: si tratta di politica». E anche certi giornali si danno da fare per far salire la temperatura. <(Albania», vicina al partito democratico, ha per esempio sottolineato come i soldati della forza multinazionale di protezione abbiano travalicato i loro compiti, l'altro giorno, quando si sono schierati a difesa degli osservatori dell'Osce, davanti a Palazzo dei Congressi. A questo articolo, che sembra un indice puntato verso un obiettivo, il tenente colonnello Giovarmi Bernardi, portavoce dell'Fmp, ha opposto un secco «no commento. Ma ha commentato, rapido, il generale Luciano Forlani, comandante dell'Fmp: «Si è trattato di pattuglie in movimento per una normale attività». Sia come sia, i soldati hanno aumentato la loro presenza in città, anche se rimane sorprendente il motivo per il quale il Palazzo dei Congressi, dove lavora la Commissione elettorale, cioè dove batte il cuore un po' malmesso dell'intera operazione, sia rimasto senza protezione, fino a quando qualcuno ha tentato l'assalto. «Non era considerato a rischio, Tirana non è considerata a rischio», è stata la sorprendente spiegazione del tenente colonnello Bernardi. Vincenzo Tessandori Re Leka ai funerali del ragazzo ucciso durante il corteo monarchico di giovedì Un giornale vicino ai democratici attacca la Fmp: ha travalicato i suoi compiti Qui accanto carri armati in una via di Tirana un'immagine emblematica del clima di tensione in cui si tiene il secondo turno delle elezioni in Albania [FOTO REUTER]