Droga,indagato excapo della scorta al Quirinale

L'inchiesta di Genova, Rossetti si è dimesso L'inchiesta di Genova, Rossetti si è dimesso Droga, indagato excapo della scorta al Quirinale GENOVA. A settembre, quando ha saputo di essere indagato, si è dimesso dal nuovo incarico. Luciano Rossetti, 39 anni, era diventato il comandante delle guardie del corpo del Presidente della Repubblica. A Genova era capitano alle dipendenze dell'allora tenente colonnello Michele Riccio, a Roma maggiore dei Nocs al servizio del Capo dello Stato. Fino a ieri si sapeva della sua iscrizione nel registro degli indagati, stesse accuse del colonnello e degli altri carabinieri della «Mitica». Si sapeva che era stato interrogato il 10 giugno, «concorso in detenzione e spaccio di stupefacenti». Ma non si sapeva che era la guardia del corpo di Oscar Luigi Scalfaro. Da settembre, quando come tutti gli indagati era stato informato dei primi accertamenti della Procura, aveva chiesto e ottenuto di passare ad altro incarico, distaccato in una sezione alla periferia di Roma. «Le accuse contro il maggiore Rossetti sono totalmente false», dice Ubaldo Leo, il suo difensore. Rossetti, come Riccio e gli altri «Mitici», incastrato dal racconto del trafficante-confidente-informatore-collaboratore di giustizia-raffinatore di cocaina in una caserma dei carabinieri Angelo Veronese. «False -ripete l'avvocato Leo - Veronese parla di Rossetti il giorno in cui l'ufficiale venne trasferito e traslocò. Lo vide solo in quell'occasione». In quel momento Veronese era nella raffineria in caserma. «Ricordo - dice il raffinatore di cocaina - che mentre lavoravo la sostanza arrivò il capitano Rossetti che assistette a qualche fase della lavorazione. Si trattava sempre di un pacco di stupefacente da un chilo. Se non sbaglio eravamo nel corso del '93, in inverno». Il capitano c'era, dice Veronese, perché era uno di quelli che sapevano. «Non è vero - ribatte il difensore - Rossetti chiese cosa stessero facendo e gli risposero che stavano preparando tutto per la distruzione. Rossetti allora se ne andò. Penso abbia chiarito la sua posizione e non debba avere alcun seguito». I quattro magistrati genovesi che si occupano dell'inchiesta ieri mattina erano tutti al lavoro in Procura, piuttosto infastiditi per il gran clamore che accompagna le loro mosse e i troppi collegamenti che vengono ipotizzati. Tanto che Vito Monetti, il procuratore, ha dovuto concedere una delle rare dichiarazioni autenticate: «Qualunque collegamento tra le notizie comparse in questi giorni sui giornali e l'inchiesta che stiamo conducendo è arbitrario. Noi continuiamo a svolgere indagini e sono in corso atti giudiziari tutti segretati». Il riferimento è alle solite interpretazioni che vorrebbero coinvolgere nell'inchiesta i magistrati che hanno avuto rapporti con il colonnello Riccio. Il nome più ripetuto è quello del pm milanese Ilda Boccassini. Anche in questo caso, con una dichiarazione, è dovuto intervenire Emanuele Lamberti, difensore del colonnello: «Non ha fatto il nome di alcun magistrato, nel senso di coinvolgerlo nell'inchiesta a suo carico. Ha pronunciato i nomi di Tiziana Parenti e di llda Boccassini solo quando gli sono stati chiesti chiarimenti sulle inchieste che erano state coordinate dai due magistrati. Non ha mai detto di aver eseguito loro ordini, ma solo di aver avuto con loro, come con altri, rapporti corretti e improntati alla massima collaborazione». A Genova non indagano né su Parenti né tantomeno su Boccassini. E' vero che Veronese ha detto di esser stato invitato dalla Boccassini a dire quello che sapeva sul periodo di Parenti a Savona («cocaina in ufficio»). E' vero che Boccassini ha smentito. Ma su questo, dopo l'esposto di Tiziana Parenti alla procura di Brescia, valuterà la magistratura bresciana. [r. m.J I magistrati «Non indaghiamo né sulla Parenti né sulla Boccassini Corretti i loro rapporti con Riccio» Il colonnello Michele Riccio

Luoghi citati: Brescia, Genova, Roma, Savona