A Tirana una battaglia per il re

11 In pericolo il ballottaggio di domenica, Vranitzky e Prodi minacciano Berisha A Tirana una battaglia per il re Scontri tra monarchici e polizia, un morto TIRANA DAL NOSTRO INVIATO ((Abbiamo vinto», tuona il re mancato. E la gente ondeggia, lì in piazza Scanderbeg, che aveva visto soltanto i riti della monarchia rossa di Enver Hoxha. S'intuisce dal prologo che finirà male, che questa è una giornata nera per Tirana, destinata ad aprire interrogativi e a provocare dubbi, più di tutte quelle che l'hanno preceduta. Finirà con un tentativo di assalto alla Commissione centrale elettorale, con una rabbiosa e lunga sparatoria, il lancio di tre bombe a mano e con un giovane ucciso e sei feriti. Soprattutto finirà in un oceano di sospetti, di accuse, di minacce. Nessuno ha dubbi: Leka Zogu, il pretendente, Abedin Mulosmanaj, il suo ministro, gli aspiranti sudditi arrivati dal Nord, dalla zona di Mat, che è in mezzo alle montagne, dove portavano i nemici di Hoxha. Nessuno di loro ha dubbi: il verdetto dell'urna è stato manipolato. E Mulosmanaj guarda il suo re e poi grida: «Monarchia o morte!». La gente urla, tutti ricordano le parole di Leka che aveva esortato: «Difendete il vostro voto come se fosse vostro figlio». E ora il pretendente è lì, sul palco davanti al Palazzo della Cultura. «Viva il re», grida la gente, e c'è chi insinua che l'entusiasmo sia stato rinfocolato con una banconota da mille lek. Lui, Leka, è arrivato dalla sua villetta gialla con un fuoristrada di lusso, e lo hanno applaudito. «Nano, sei un ladro», gridavano in molti, perché il nemico è lui, il socialista, che avrebbe mestate senza pudore. Leka guarda i suoi e proclama: «Vi diciamo che la monarchia ha vinto». Poi butta lì il suo programma di piccole guerre sognate: ((Albania monarchica dal Kosovo alla Camelia». Il che significa un'Albania grande dalla Jugoslavia alla Grecia. Ce n'è abbastanza per infiammare i sudditi e per preoccupare mezzo mondo. «Ci rivediamo domani», promette il pretendente. E i suoi, o quelli che si sono infiltrati, decidono di puntare sul Palazzo dei Congressi, che è fra lo stadio Qemal Stafa e l'Università, in fondo al Bulevardi Deshmoret e Kombit. In un ufficio al piano terreno nel palazzo cemento e cristalli, lavora la Commissione centrale elettorale ed è lì che vorrebbero arrivare quelli di Scutari e di Burrel, quelli del Nord. In parecchi stringono i Kalashnikov e quando la gente giunge davanti al portone a vetri, qualcuno spara. «Sono stati i nostri, in aria», dirà poi Mulosmanaj, rapido però a correggersi: «Hanno sparato gli altri». Il fatto è che il primo colpo se ne trascina dietro una valanga. Si fa fuoco contro il palazzo e dall'interno rispondono, e si spara anche dallo stadio, che all'improvviso sembra diventato un fortino. La mira è alta, dice qualcuno, ma si odono tre esplosioni sorde e un giovane di 25 anni muore. La gente si disperde, per questa volta è finita così. Più tardi il partito democratico prenderà al volo l'occasione e parlerà di «cecchini, messi lì di fretta, gli stessi che nel '92 insanguinarono Scutari». E, naturalmente, rovescia tutta la colpa sui socialisti: «Hanno affermato che la monarchia arriva al 20%, mentre in realtà ha ottenuto il 40, anche se loro dicono di più». L'ira dei sostenitori dell'aspirante monarca, genuina o pilotata, è comunque giustificata dal ritardo dei risultati definitivi del referendum fra Repubblica o monarchia. Ritardo che si somma a quello per l'esito delle politiche. Il ballottaggio, sembra sempre più probabile, slitterà di una settimana e in questo tempo aumenterà il rischio che qualcuno tenti di fornicare pesantemente. Per questo, da Vienna, il rappresentante dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea lancia un monito. Franz Vranitzki, l'ex Cancelliere, chiede ai politici di «rispettare gli impegni», e denuncia che a ((numerosi membri della Commissione eletto¬ rale centrale viene impedito di partecipare alla registrazione delle liste dei candidati del secondo turno, e sono pure sottoposti a pressioni politiche. Se i membri assenti non tornano subito, verranno sostituiti, così da consentire di votare al popolo albanese». L'Europa è seccata, soprattutto col presidente Berisha, considerato il vero responsabile dei tanti ritardi. Vranitzky ha telefonato a Roma, al ministro degli Esteri italiano Lamberto Dini. Quindi una telefonata molto dura a Tirana. Subito dopo Berisha ha lanciato un appello al popolo: «State calmi, rispettate i risultati». Al presidente ha telefonato anche Prodi, secondo indiscrezioni l'Italia ha clùesto che entro oggi venga comunque indicata la nuova data per il ballottaggio. Dal Sud è filtrata un'altra voce che, tuttavia, è in attesa di conferme: Zani Causili, il brigante famoso, sarebbe stato sequestrato, ieri mattina a Fier. Lui e i suoi viaggiavano in treno, un manipolo rivale li avrebbe sorpresi. Ed è tornato, per la verità a sorpresa, Belue Cela, ministro degli Interni. E' andato diritto da Berisha e gli ha presentato dimissioni irrevocabili per motivi familiari. Vincenzo Tessandori Il mediatore europeo «Basta con le manovre dilatorie Dovete rispettare gli impegni che avete preso» Il premier italiano «Comunque entro oggi la nuova data del secondo turno» Il presidente albanese Berisha manovra per dilazionare il secondo turno delle elezioni e rinviare così la data delle sue dimissioni