Roma, liberali a congresso per ricominciare da zero

Roma, liberali a congresso per ricominciare da zero DALLA LGINA CHIUDERE TUTTI I CAPITOLI come l'equivalente di un condono edilizio o fiscale. Non sarà la fine di un capitolo, ma un tacito incoraggiamento ai corrotti e corruttori di domani. L'amnistia per Tangentopoli ha un senso ed è opportuna soltanto se muove dalla constatazione che nessuna magistratura - meno che mai quella del nostro Paese - potrà mai punire tutti i responsabili di un fenomeno che ha coinvolto per molti anni, in misura diversa, una larga parte della società italiana. Se obbedissi ai miei istinti sosterrei che il provvedimento, in questo caso, è assurdo. Lo accetto e lo comprendo soltanto perché la prosecuzione delle indagini e dei processi farà proporzionalmente danni maggiori di quanti non possa farne un atto di clemenza. In un Paese di corruzione diffusa, dove la magistratura procede con faticosa lentezza e l'esercizio dell'azione penale è sostanzialmente discrezionale, i processi e le sentenze sono una sorta di decimazione o, peggio ancora, uno strumento di lotta politica. Non è giusto che alcune Regioni siano «innocenti» e che alcuni settori della vita politica o dell'economia nazionale vengano trascurati o dimenticati. Occorrono regole nuove per prevenire o reprimere con maggiore efficacia. Ma occorre soprattutto mettere fine al clima di lotteria giudiziaria in cui abbiamo vissuto durante gli ultimi cinque anni. Il problema del terrorismo è alquanto diverso. In questo caso l'amnistia mi sembra giustificata da due considerazioni. In primo luogo il fenomeno appar¬ tiene al passato e non minaccia più la salute della Repubblica. In secondo luogo esso è il risultato di una responsabilità diffusa che coinvolge direttamente o mdirettamente i responsabili, i loro persuasori espliciti o occulti, il clima morale e intellettuale del Paese. Vi sono circostanze in cui il criterio della responsabilità individuale - chiave di volta e fondamento di ogni processo giudiziario - si dimostra, di fatto, insufficiente o illusorio. Chi è maggiormente responsabile di un assassinio politico? Il giovane che ha sparato? L'intellettuale che gli ha suggerito di ricorrere alla violenza? Il servizio segreto che ha cercato di «gestire» la vicenda per trarne qualche vantaggio? Il testimone che non ha parlato per paura o complicità? Il partito politico o il sindacato che hanno chiuso un occhio per evitare ricadute negative? Sono in prigione, generalmente, gli «esecutori materiali». Sono liberi, con poche eccezioni, i persuasori occulti e gli intellettuali fiancheggiatori. L'amnistia non sarebbe certamente un provvedimento di giustizia. Ma sarebbe probabilmente, in una fase in cui il terrorismo non è più una minaccia per il Paese, un provvedimento di minore mgiustizia. A una condizione, tuttavia: che la misura invocata per i terroristi concerna anche i reati della seconda guerra mondiale. Se è assurdo processare i partigiani di via Rasella, è altrettanto assurdo processare - due volte - un vecchio fantasma di nome Priebke. Anche Priebke, come i terroristi, è soltanto un «esecutore materiale». Quando si decide di chiudere un capitolo occorre farlo senza riserve mentali e senza doppie misure. Soltanto così l'amnistia può seppellire i morti e diventare un fattore di pacificazione nazionale. Sergio Romano Roma, liberali a congresso per ricominciare da zero ROMA. Liberali a congresso, oggi e domani. L'appuntamento è all'Hotel Ergife di Roma. Tema: «Per riunire i liberali. Dal XXII Congresso del pli al I Congresso del pi». Presenti le delegazioni dei maggiori partiti e singoli leader: da Fini a Berlusconi. Non mancherà Palmella, e ci saranno anche Intini e Boselli, i «cugini» socialisti. Una sfida ambiziosa: si tratta infatti di «rinnovare la tradizione culturale, politica e morale del partito di Amendola e Gobetti, Einaudi e Croce, Martino e Malagodi, Bozzi e Valitutti», recita il comunicato. Nomi importanti e persino un po' ingombranti, ora che si tratta di ripartire quasi da zero dopo il collasso della Prima Repubblica e la confusione in cui naviga la Seconda. «Tutti dissertano di liberalismo ma nessuno sa di cosa si tratta - conferma Stefano De Luca, deputato -. Il nostro vuole essere solo un inizio. Ci eravamo posti il problema già lo scorso febbraio: l'obiettivo è ricomporre la diaspora dei liberali». Già, la diaspora liberale come quella socialista: storie e tradizioni diverse ma obiettivi simili, almeno sulla breve distanza. «Finora abbiamo ricevuto l'adesione di singole personalità - spiega ancora De Luca - e ci conforta sapere che possiamo contare sul 70% circa della vecchia rete liberale presente capillarmente sul territorio». Quanto alla frammentazione, alla cosiddetta diaspora, per ricomporla ci vorranno tempo e pazienza. «Non a caso stiamo cercando di aprire un dialogo con la corrente liberale di Forza Italia - aggiunge De Luca -. Ritengono di svolgere una funzione liberale che liberale non è, in un partito nel quale valgono zero. Purtroppo mugugnare non basta». Ecco perché nell'ambito dell'odierno congresso sarà istituito un «Comitato per l'unità dei liberali» con lo specifico compito di portare avanti un dialogo costruttivo con frange ed esponenti che ancora viaggiano per conto loro, preludio ad una auspicata riunificazione, [ale. mon.] Appuntamento all'Ergife con le delegazioni di tutti i partiti

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