E come sempre in Italia sarà un fiorire di poveri

Tasse E come sempre in Italia sarà un fiorire di poveri VENTI ANNI DI FALLIMENTI ROMA ICE Giorgio Fossa: «Il riccometro non ci fa paura!». E ci mancherebbe altro: alzi la mano chi è in grado di dimostrare che - con «mostriciattoli» del genere di cui è pieno il Bestiario Fiscale di questi decenni - la scassata tax-machine italiana è riuscita a far riemergere anche solo 100 lire di imponibile dalla palude dell'evasione. Ma tant'è. Nella storia del Belpaese quando c'è un «atto politico» da compiere - cioè il taglio di una spesa pubblica, che lo è per eccellenza - nessuno resiste alla tentazione della scorciatoia fiscale, demagogica ma liberatoria. E' stato così dal '73, con la riforma tributaria; poi con l'aberrante e persecutorio «redditometro» messo in piedi nell'83 da Francesco Forte e attuato in fretta e furia dal governo Amato nel '92, poi con i pasticciati coefficienti presuntivi di reddito per gli autonomi nell'89, e quindi con il «ricavometro» per le imprese, tirato fuori dal cilindro (dove è poi rifinito) dal governo Dini nel '95. E oggi è così anche con il «riccometro» per il Welfare State: suggerito da Bertinotti, accolto con gioia dal governo Prodi, già applaudito dai sindacati, tollerato (perché prevedibilmente inutile o innocuo) dagli industriali. Odiato solo dai soliti, incorreggibili epigoni del poujadismo all'italiana, i bottegai di Bilie, che sbuffano per riflesso condizionato ogni volta che un governo dà anche solo l'impressione di voler guardare un po' dietro la saracinesca. Variante sul tema, il «riccometro»: ma alla fin fine, appunto, un altro «mostriciattolo» creato apposta per dissotterrare l'eterna e mai scoperta pietra filosofale del «reddito effettivo», por inseguire l'irraggiungibile mito einaudiano della «giustizia tributaria», il totem costituzionale, mai tanto infangato, della «capacità contributiva». Ui per sé, intendiamoci, la proposta che il ministro Visco ha squadernato sul tavolo della trattativa sullo Stato sociale con i sindacati non è brutta. Anzi ha un suo suggestivo fascino sociale, come lo avevano del resto - nella platonica repubblica delle idee - il «redditometro» e il «ricavometro». Tradirà pure una morale ulivista a sfondo pauperistico e, in qualche caso, un po' manicheo, ma non è certo sbagliato escludere da un sistema di protezioni sociali sempre più costose chi è «ricco». Ma il problema, in questo caso come negli altri in cui si giudica delle ricchezze e delle povertà dei singoli o delle nazioni, è stabilire in base a che cosa un cittadinocontribuente lo si giudica «ricco». Le Finanze spiegano: non in base al modello 740, che com'è noto non abbraccia la totalità dei rea diti né dei patrimoni. Servirà quindi un altro «indicatore di ricchezza reale». Quale? Lo stabilirà la trattativa di Palazzo Chigi. Ma così ci risiamo. In questi casi c'è poco da inventare: come nota un fine fiscalista come Raffello Lupi ricordando le follie del «red ditometro di massa», a]la fine gli unici indicatori di «ricchezza reale», ricorrenti «nelle conversazioni al bar come negli atti parlamentari», sono sempre i soliti, tipo: «Come fa a guadagnare solo 30 milioni se mantiene due figli all'università, un'Alfa 164, una casa al mare, ima colf...». Ci potremmo aggiungere qualcos'altro di più moderno, magari il computer con l'abbonamento a Internet, i biglietti aerei per le Maldive, o di più destabilizzante come il possesso dei Bot - e Bertinotti sarebbe felice, se si reintroducesse la nominatività dei titoli - ma il risultato sarebbe lo stesso: la ricchezza si misura in base a elementi come questi, cioè in base alla possibilità di spesa o di impiego del risparmio del singolo e del nucleo familiare. Non era questa, d'altra parte, la filosofia del «redditometro» del '92, cui il povero ministro delle Finanze Giovanni Goria, tra un'infausta vacanza alle Comore e l'altra, legò il suo sfortunato nome? Anche allora si pensò di unire al modulo Irpef - ahinoi, mai veritiero! - un altro questionario in cui i contribuenti dovevano indicare l'eventuale possesso di aeromobili, barche, autoveicoli con tanto di cilindrata e cavalli fiscali, motociclette oltre i 250 ce di cilindrata, cavalli, riserve di caccia, roulottes, collaboratrici domestiche. Bastava attribuire un valore a ciascuno di questi beni posseduti o servizi fruiti, moltiplicarlo per un coefficiente, confrontarlo col reddito denunciato sul 740 e il gioco pareva fatto. Pareva, perché in realtà il redditometro abortì dopo un anno, nonostante fosse stato persino aggiornato - quasi come il caro, vecchio paniere Istat per il calcolo del carovita - con l'aggiunta delle spese per polizze vita e infortuni, bollette telefoniche, consumi di elettricità, e via torturando lo sventurato contribuente. Al quale infine, e si era ai primi del '93, tese le mani persino il Presidente della Repubblica Scalfaro che, ancora parco di esternazioni, non seppe resistere e denunciò quegli assurdi 740, da allora famosi come modelli «lunari». La stessa sorte toccò ai coefficienti presuntivi per i lavoratori autonomi e i professionisti, ideati da un focosissimo Formica nell'89, ultimo governo Andreotti. Il «prete trozkista» del Fisco, come allora Rino campeggiava nelle cronache, tentò di stanare così i «neo-borghesi» che denunciavano meno dei loro dipendenti. Senza trascurare la geniale invenzione di una mediatica «gogna» fiscale, con il «Libro bianco» delle denunce dei primi 30 mila contribuenti italiani dato in pasto ai giornali, e lo stimolo un po' perfido all'invidia sociale, con l'invito alla delazione pubblica del «vicino che non paga le tasse». Ma andò male a Formica, come andò male al più recente «ricavometro» sul quale si applicò con pur lodevole dedizione il ministro delle Finanze del governo Dini, Augusto Fantozzi: annuncio governativo in pompa magna sulla svolta nella lotta all'evasione, benedizioni della Sinistra politica e sindacale orgogliosamente fiera di presunte «riscritture del patto sociale», scorno e indignazione delle categorie, resse negli uffici tributari, risse nei convegni e in Parlamento, caute retromarce ministeriali, e poi ineludibile, silenzioso oblio. Ora ci riprovano Prodi e Visco, con questo «riccometro». Che stavolta non serve a «cacciare» evasori, ma a stabilire chi resta sotto l'ombrello del Welfare e chi no. Eppure, vorremmo sbagliarci, ma il risultato ha l'aria di esser lo stesso. I contribuenti - a quanto pare - dovranno indicare la propria «ricchezza» per autodenuncia. Pare che all'estero avvenga così. Ma non serve l'intelligenza al vetriolo dell'ex ministro polista Tremonti per chiedersi «come è possibile attendersi che chi dichiara infedelmente sul 740, lo faccia poi fedelmente all'ospedale o alla scuola dove studia il proprio figlio?». Già, come è possibile? Speriamo di no: ma o il «riccometro» abortirà prima di nascere, o in Italia sarà tutto un fiorire di poveri. Massimo Giannini Ci pensò Goria e fu un disastro Poi venne il turno di Amato e Formica DALLA CACCIA AGLI YACHT ALLE GANASCE «SCALI TUTTI I TENTATIVI DELLA LOTTA ALL'EVASIONE 1*7* • CACCIA AGLI YACHT • CONTRIBUENTI A 5 STELLE [PROPOSTA DI SUDDIVIDERE GLI ITALIANI IN CATEGORIE FISCALI COME GU ALBERGHI] 1*81 • LIBRO ROSSO DEGLI EVASORI 1*S2 • IDENTIKIT ALLO SPORTELLO fL£ BANCHE DEVONO COMPILARE t MODULI SEGNALANDO CLIENTI SOSPETTI • MANETTE AGLI EVASORI 1984 ♦ CACCIA AGU YACHT •QUESTIONARI Al CLIENTI DEGLI AVVOCATI 1985 •BLITZ NEI COMUNI 1987 •BLITZ NELLE LATTERIE 1989 ♦ MINI CONTROLLI ♦ LA MAPPA DELL'EVASIONE OPERAZIONE ZOCCOLO DURO [CONTROLLI NEI SERVIZI E NELLA PRODUZIONE] 1992 • REDDITOMETRO 1998 • MINIMUM TAX 1994 •CRUSCOTTO ALLE AZIENDE [ACCERTAMENTI TELEMATICI) 1998 • TOVAGUOMETRO ministro delle Finanze Vincenzo Visco

Luoghi citati: Comore, Italia, Maldive, Roma