Parla il popolo del Welfare «Sindacati non mollate» di Massimo Giannini

PREVIDENZA E TIMORI Parla il popolo del Welfare «Sindacati non mollate» PREVIDENZA E TIMORI B ROMA RUNO Leandro Marenda scrive da Dueville, in provincia di Vicenza. Una trentina di righe dignitose, ma altrettanto dolorose, indirizzate al leader della Uil: «...Per mia disgrazia il 20 maggio 1991 è mancata mia moglie... Come reversibilità percepisco lire 192.320 al mese, relative a venti anni di servizio... Come posso vivere pagando un affitto da 750 mila lire mensili, aggiungendo le spese per luce, gas, telefono, medicinali, visite mediche (sono un infartuato) e con una figlia di 30 anni a carico, disoccupata? E pensare che c'è chi gode di pensioni ben superiori! E cosa pensare dei pensionati baby?... O di persone che godono ingiustamente di pensioni di guerra... Cosa mi resta da fare, devo fare il barbone o pregare il Buon Dio che mi chiami? ... Mi rivolgo a lei chiedendole Giustizia Sociale, visto che tra breve tempo parlerete di pensioni. Se ci fosse un Vittorio De Sica ancora vivo ci rifarebbe un nuovo «Umberto D.», con le migliaia di lettere, telegrammi e fax che in questi mesi, in queste settimane e soprattutto in queste ore piovono su Cgil, Cisl e Uil. Perchè mentre Prodi e il governo discutono con Cofferati, D'Antoni e Larizza di Stato Sociale o ne straparlano negli studi dei Vespa o dei Santoro, insomma mentre il Palazzo e la Tv si occupano di «loro», popolo dei pensionati e «pensionandi», «loro» appunto fremono, tremano e, soprattutto, scrivono. I singoli come Marenda, ma prima di tutto le rappresentanze sindacali unitarie delle fabbriche, dove più forte - come ripete Bertinotti, che da bravo ex sindacalista ha già fiutato l'aria - si leva il ruggito dei «lupi grigi» del Welfare. I comunicati più tosti arrivano a Cgil, Cisl e Uil dai grandi stabilimenti già in trincea. Citiamo a caso l'Ansaldo, o la Fincantieri di Castellammare di Stabia: «La Rsu vi invita a tutelare fino in fondo gli interessi dei lavoratori, in particolare sulle pensioni di anzianità...». La Pirelli Bicocca: «Le ricette per affrontare i gravi problemi del Paese non possono passare attraverso i tagli a pensioni e sanità...». O la Abb di Vittuone: «Non sono tollerabili ulteriori tagli alla spesa sociale...». La PegPerego di Arcore: «Riaffermiamo il rapporto che unisce il diritto al lavoro con la giustizia sociale... Chiediamo che si tenga conto del periodo lavorativo come anzianità di servizio...». Le Officine Molteni di Senago: «Respingiamo fin d'ora ulteriori modifiche al pensionamento di anzianità... Riteniamo di non poter concedere a un governo di Centro Sinistra, che si dice tra l'altro vicino ai lavoratori, quello che non è stato concesso al governo Berlusconi...». L'iveco Aifo di Pregnana: «Al governo e alla Confindustria diciamo che i lavoratori sono pronti a entrare in sciopero per affossare le assurde richieste sulle pensioni...». Le delegate della Coop Consumatori Nord-Est: «A nome delle lavoratrici... vi invitiamo a respingere con fermezza qualsiasi tentativo...». La Breda di Pistoia: «Diciamo chiaro che un governo di Centro-Sinistra non può fare la riforma dello Stato Sociale...». La nomenklatura di fabbrica è insomma già schierata: se Prodi insiste, sarà guerra. E se il sindacato cede, saranno altri bulloni. E così, quando scorri gli ukase che arrivano nelle sedi della «Triplice»; quando passi per l'ufficio di Cofferati e senti la segretaria Magda Skutanova che gli fa un resoconto giornaliero del tipo «Sergio, ha chiamato Pina da Arezzo che vi chiede di non mollare, e poi Mario da Pescara che si lamenta perchè al Tg3 sulle pensioni ti ha visto poco battagliero...»; beh, allora capisci anche il perchè questi leader sindacali durino qualche comprensibile fatica a fare i riformisti. E capisci anche - al di là della retorica politica - quanto sia lacerante per il sindacato e per la società italiana, questa trattativa. Lo capisci anche meglio, poi, se dai fogli dattiloscritti e intestati «Rsu» passi alla carta termica dei fax, magari scritti a penna. Pieni di refusi, ma anche di tutto il resto: virtù e vizi dei «lupi grigi» del Welfare, sofferenze e convenienze di un'Italia povera, media, a volte furba. Tanto De Sica, appunto, ma anche un po' Alberto Sordi. Scontenta, ma comunque spaventata .dal nuovo. Un'Italia che, quando la coperta delle garanzie diventa corta tira qua e là, e per coprirsi non esita a scoprire il vicino che sta sempre un po' meglio. E dunque si scrive pronta al sacrificio, purché si azzerino i «privilegi». Luciano Magnifico da Portogruaro, in mobilità: «Prima di modificare le regole o di bloccare le pensioni di anzianità c'è molto da fare su altri fronti per rendere le regole uguali per tutti...». Luciano Girardi da Vigevano: «La sola via praticabile resta quella di eliminare i troppi, scandalosi privilegi...». Quali? Metti assieme queste carte, e non è difficile spremerne gocce di pura Anti-Politica. Perchè è la Politica, per «Umberto D.», il sinonimo del privilegio. I lavoratori della Raffineria Saras di Cagliari scrivono a Larizza: ((Aspettiamo che sia presa posizione contro le pensioni dei parlamentari: non è pensabile che mentre si mantengono privilegi di chi ha fatto anche solo una legislatura, si vuole ridurre la pensione di chi non riesce ad arrivare a fine mese...». Tullio Buratti da Chiaravalle, che si firma «docente e cittadino schifato» in una lettera a Berlinguer spedita anche ai leader sindacali: «Lo sa che il suo collega Dini percepisce una pensione baby di oltre 12 milioni, che poi cumulerà senza problemi con quella di parlamentare? Così come Scalfaro godrà anche del trattamento pensionistico di magistrato... Visto che tutti gli italiani sono chiamati a fare sacrifici, perchè non partecipate anche voi? Vergogna...». E «vergogna» scrive anche Francesco Reale, non si sa da dove, indignato per la famosa pensione di Biagio Agnes, 40 milioni al mese con il cumulo, «mentre io debbo percepire 8 milioni l'anno, metà vanno per affitto casa, tanti per sanità, dico io che sono stato nella fredda Germania, in Siria, nei deserti australiani e dopo anni da commerciante merito la mise¬ ria...». E che il sindacato non lotti contro tutto questo non va giù a Giuseppe Albertosi di Pontremoli, a Giuseppe De Santis di Potenza, a Cesare Marigliani di Terracina che sbaglia i nomi ma scrive avvelenato, a Cofferati, D'Antoni e Larizza, «perchè non parlate mai di pensioni d'oro come quella di De Pascalis ex presidente della Stet 45.000.000 al mese e con 800 milioni di buonuscita, come di Ginuffi segretario di Scalfaro e tanti altri...». Ma quest'Italia che scrive impaurita e indignata nei giorni della riforma del Welfare tradisce anche invidia sociale, cova nuove forme di «lotta di classe». Perchè il privilegio non è solo del ministro o del parlamentare, cioè della «casta» degli oligarchi, ma anche e soprattutto di intere «categorie». «Mi piacerebbe vedere qualche statistica coi dati dei baby pensionati nella scuola, nella sanità, negli enti locali e dei prepensionamenti delle ferrovie...», scrive Laura Spinelli di Reggio Emilia. E come lei Ernesto Torricelli, ex me¬ dico condotto di Corrido, provincia di Como: «Basta... le pensioni dei militari, dei giudici costituiscono un trattamento privilegiato!». E poi Giacomo Bortolazzo, metalmeccanico di Crespano del Grappa: «Portate avanti la battaglia contro lo scandalo delle pensioni baby, concesse ai lavoratori pubblici da almeno 57 anni... Questa disparità non è forse razzismo tra italiani, tra lavoratori?». E poi ancora Sergio Di Zilio, da Treviso, che ai leader CgiJ-Cisl-Uil scrive «la difesa di privilegi anacronistici, che voi continuate a fare, non ha più senso...». E non manca, uè poteva mancare in questo film neo-realista italiano di fine millennio l'amara, stupita delusione di chi sognava il Centro-Sinistra come «casa del popolo», e adesso lo scopre «rigorista». Ne scrive Rosario Mancini, cassintegrato di Roma con moglie e due figlie disoccupate, che si paga i contributi da solo per arrivare alla pensione, ma fiuta aria di tempesta sull'anzianità e chiede «come può un centro-sinistra che ha vinto le elezioni permettere questo?». Ne scrive Vittorio Abbati, «pensionando» romano che protesta «è da mesi che l'ineffabile Prodi (alla cui coalizione detti il voto anche per le posizioni prese sullo Stato Sociale, poi del tutto disattese) va dicendo che chi otterrà la pensione d'anzianità dovrà "pagare pegno"...». E ne scrive Marino Caringella di Modena: «Ma il Pds prima delle elezioni non la pensava diversamente? Anche tra la categoria dei "colletti bianchi" esistono attività (come la mia: liquidatore di compagnia di assicurazioni - sarebbe curioso fare una statistica per accertare quanti di questa categoria hanno subito infarti...) che se fatte con serietà diventano usuranti...». E ne scrive Claudio Napoli di Genova, pensionato d'anzianità: «Con Prodi ci siamo illusi che qualcosa sarebbe cambiato, invece abbiamo sentito D'Alema proporre un contributo di solidarietà...». La pellicola sarebbe ancora lunghissima. Ma questa già spiega speranze e turbamenti dei milioni di «Umberto D.» sparsi e spauriti per l'Italia. Rinunciamo alla pretesa di dire se abbiano ragione o no, se difendano una giungla di straordinarie iniquità o solo il misero orticello che serve per campare. Emerge una sola certezza, da questi «fotogrammi»: il film del vecchio Welfare non regge più. Che poi governo e sindacati riescano a «girarne» uno migliore, è un'altra storia. Massimo Giannini Valanghe di lettere e telegrammi a Cgil, Cisl e Uil «Non date a Prodi ciò che è stato negato a Berlusconi Basta privilegi, se no è meglio scendere in piazza» Sergio Cofferati segretario della Cgil e (a fianco) il ministro del Lavoro Tiziano Treu