«Di Pietro, non ti capisco più»

L'ex pm si schiera con Segni, contro la Bicamerale: non vogliamo compromessi L'ex pm si schiera con Segni, contro la Bicamerale: non vogliamo compromessi «Di Pietro, non ti capisco più» D'Alema: irragionevole sfidare il Parlamento ROMA. «Ma insomma, Di Pietro proprio non lo capisco, e sì che della sua amicizia io mi onoro. Non è ragionevole organizzare un movimento contro il Parlamento. E poi, se volesse candidarsi a fare il Capo dello Stato, davvero gli sarebbe difficile trovare le firme di un po' di sindaci?». D'Alema è di nuovo sullo scranno da presidente della Bicamerale. Ma nei banchi dei Settanta riformatori della Costituzione siedono altrettanti giornalisti, ai quali è stato chiesto di accreditarsi per fax il giorno prima per avere facoltà di porre una domanda al presidente. Appena sa dei commenti di D'Alema, Di Pietro fa sapere di essere «sorpreso e dispiaciuto» dalla sue parole: «Non farò parte dei "comitati del no" ai lavori della Bicamerale, ma seguirò la battaglia emendativa che si svilupperà in Parlamento». Perché fuori Montecitorio, a quel che si dice un tiro di schioppo, c'è la riunione degli ex Comitati Cobac di Mario Segni, diventati il rassemblement dei presidenzialisti delusi. Ai quali Di Pietro ha mandato un biglietto di solidarietà, non potendo essere presente di persona. E se in Bicamerale, mentre D'Alema tira le pubbliche somme del proprio mandato, aleggia il fantasma di Di Pietro, nella sparuta ma gremitissima saletta d'albergo scelta da Segni, aleggia la figura di D'Alema. Ben presenti, invece, tutti i suoi detrattori. Uno schieramento amplissimo che va dagli oppositori pidiessmi Barbera, Petruccioli e Occhetto («Occhetto è un bel po' di tempo che se la prende con me», dirà poi D'Alema), a uomini di Botteghe Oscure assai vicini al segretario, come Michele Salvati, alla fronda dei cosiddetti cespugli dell'Ulivo, Bordon, D'Amico, ai polisti che pure in Bicamerale hanno lavorato e votato come Calderisi e Rebuffa. Oltre, naturalmente, i campioni del dissenso, dell'uno e dell'altro polo, come Taradash, Veltri, Masi, Publio Fiori. In più, sparsi nella platea, anche l'ex presidente di Confindustria Luigi Abete, accanto a Ferdinando Adornato di Liberal, un vecchio amico di Romano Prodi come l'economista Mario Baldassarri, e Giuliana Olcese, in rappresentanza dei salotti non ulivisti della capitale. Segni, con Di Pietro, dice che «occorre far capire al Palazzo che i cittadini si aspettano ben altro che un compromesso all'italiana». Ma dalla discussione, poi, è apparso evidente che si tratta di uno schieramento piuttosto confuso. A parte le posizioni critiche, già ampiamente note e motivate, di Occhetto, di Barbera, e di Sartori che pure era presente, c'è stato chi, come l'ex democristiano ed ex missino Publio Fiori, è arrivato a chiedere «la costituzionalizzazione dei partiti politici». Giusto, hanno commentato Elio Veltri e Diego Masi. Il quale, nello sconcerto generale, ha tracciato il quadro della situazione: «Vent'anni fa gli iscrìtti ai partiti erano 5 o 6 milioni, oggi sono un mi¬ lione e mezzo circa. Il che, se toglia mo le mogli, fa circa 700 mila iscrìt ti: eppure i partiti governano e controllano il Paese. Vi invito alla lotta armata in Parlamento: formiamo degli intergruppi, Biondi l'ha già fatto, l'intergruppo dei liberali: Bordon e D'Amico oggi pomeriggio ne formeranno un altro». «Masi non si è ancora accorto che la politica, nel mondo, ormai non governa quasi più nulla», commenta Rebuffa. Michele Salvati raccoglie le sue carte e guadagna l'uscita: «Una critica al lavoro che abbiamo fatto in Bicamerale, era giusta, apprezzabile: ma qui si cade nel ridicolo». Prima, Claudio Petruccioli, «ulivista» del pds tra i più critici nei confronti della Bicamerale e della conduzione di D'Alema (tanto che un giorno Salvi l'ha addirittura redarguito: «Claudio, ricordati che tu non sei Sacharov») aveva ammonito: «Per criticare dobbiamo trovare uno slogan che sia propositivo». Nella molto formale conferenza stampa di D'Alema nella sala della Regina non è arrivata nessuna eco di quanto accadeva poco più in là. D'Alema ha spiegato e difeso, ri- spondendo ai giornalisti, il lavoro della Bicamerale. Abbiamo fatto le riforme senza fare il governissimo, ha detto in sostanza. E mentre tutti, ovvero i giornalisti, si accapigliano per spiegare chi ha vinto e chi ha perso, noi abbiamo approvato riforme che cambieranno la vita dei cittadini. Non ha mai avuto il dubbio, presidente, che con ima Costituente si sarebbe potuto perfezionare quello che lei stesso ha definito «un onorevole compromesso'-), evitando di ingollare il Parlamento in autunno, quando si dovranno varare msieme le riforme della Costituzione e quella dello Stato Sociale? No, ha risposto D'Alema, «perché una Costituente avrebbe davvero riscritto la Costituzione. Noi abbiamo invece solo elaborato ima proposta di riforma». Nel pomeriggio, poi, è ripresa la battaglia politica oltre la Bicamerale: Berlusconi, dopo un vertice a pranzo col Polo, ha fatto sapere che farà opposizione in Parlamento contro il nuovo regolamento della Camera, «che è veramente vergognoso». Mario Segni leader del gruppo che contesta i risultati della Bicamerale

Luoghi citati: Roma