Morucci: ecco perché io chiedo clemenza

IL RAPITORE DI ALDO MORO Morucci: ecco perché io chiedo clemenza IL RAPITORE DI ALDO MORO ROMA ICIANNOVE anni fa partecipò alla strage di via Fani e rapì Aldo Moro, e dopo 55 giorni telefonò agli amici dell'ostaggio: per dire dove avrebbero trovato il qadavere del leader de. Fu arrestato, s'è dissociato, e adesso - scontati circa quindici anni di carcere - l'ex brigatista Valerio Morucci è un uomo libero. Però ha chiesto a Scalfaro una grazia «parzialissima», perché gli venga cancellata l'interdizione dai pubblici uffici che gli impedisce di lavorare con gli enti locali. Perché chiede clemenza, Morucci? «Il caso ha voluto che sia sopravvissuto, le leggi dello Stato che uscissi di galera. A questo punto ho bisogno di lavorare, ma l'interdizione preclude una delle poche strade aperto mentre c'è grande scarsità di lavoro. Del resto non ho chiesto di essere eletto deputato, e il reinserimento sociale degli ex detenuti è un principio sancito dalla legge». Pensa che una grazia anche parziale per gli ex terroristi sia una strada percorribile per «uscire dall'emergenza»? «Io credo che la via da percorrere debba essere ufficiale, dichiarata e rivendicata. Quindi politica, e quindi parlamentare». Cioè meglio l'indulto? «E' una soluzione più chiara e cristallina. Detto questo, visto che per l'indulto è ancora previsto un quorum di voti uguale a quello necessario per modificare la Costituzione, se la via d'uscita parlamentare è bloccata ben venga che altri poteri dello Stato si muovano per trovarne un'altra. L'importante è che non sia un modo per fare le cose di nascosto; se si decide di usare clemenza, se ne spieghino chiaramente i motivi». Secondo lei ce ne sono? «Sì, e tanti. Perché sono passati vent'anni, perché s'è chiusa la fase storica dello scontro sociale e politico, perché è in corso una fase costituente per arrivare a una seconda Repubblica che ci auguriamo sia migliore della prima. E soprattutto perché la stragrande maggioranza dei detenuti per fatti di terrorismo ha avviato da tempo, unilateralmente, un ripensamento di quegli anni e delle proprie scelte». Con sufficiente autocritica? «Sufficiente quantomeno a riaprire il dibattito, se dall'altra parte interessa. Certe cose non si possono fare da soli». E come si risolve il problema delle vittime? «E' un problema enorme, credo irrisolvibile dal punto di vista morale. Sul piano pratico, penso che proprio una riconsiderazione generale di tutto ciò che è avvenuto in quegli anni possa essere molto utile. Solo così anche i lutti irreparabili avrebbero una loro collocazione, e in qualche modo una motivazione. Comunque bisogna anche dire che i morti sono tutti uguali, e se si apre il discorso si deve pensare alle vittime di tutte le parti». Non vorrà dire che è la stessa cosa morire perché qualcuno ti aspetta sotto casa e ti spara mentre vai a lavorare, e morire mentre imbracci un mitra o metti una bomba. «Certo che no, ma io sto parlando delle oltre trecento persone am- mazzate in cinquantanni da polizia e carabinieri nelle piazze, di Francesco Lo Russo ucciso con un colpo sparato da grande distanza, ai morti delle stragi, a quelli caduti nei posti di blocco grazie alla legge Reale. Qualsiasi atto di chiusura deve essere accompagnato dalla consapevolezza che in Italia, negli Anni 70, c'è stata una guerra civile strisciante». Era quella la situazione? «Certo. L'illegalità diffusa è qualcosa che va ben oltre ciò che hanno fatto le Br. Si parla sempre dei fatti eclatanti, di Moro o Alessandrini, ma in Italia sono state inquisite 65 mila persone, gli atti di illegalità sono stati superiori a quelli verificatisi in Argentina al tempo dei generali. Non è stato un impazzimento collettivo. I reati sono responsabilità dei singoli, ma se tanta gente li commette bisogna riflettere sul sistema che ha portato a questa conseguenza. E' come per Tangentopoli: il guaio non è la singola bustarella, ma la generalizzazione di un metodo su cui s'è fondato il sistema politico». Sembra di sentire Craxi. «Sì, con la differenza che io penso che i reati dei singoli vanno comunque perseguiti e puniti, come è successo per noi. Solo dopo si può ridiscutere il problema generale». Che cosa pensa del ritorno di Toni Negri? «Ha avuto grande coraggio. La sua decisione significa che i conti non si possono rimuovere, tornano sempre a galla e prima o poi vanno chiusi. Con se stessi, oltre che con la società. Toni s'è offerto in ostaggio, mi auguro che la sua scelta venga compresa». Giovanni Bianconi «Credo che la via da percorrere sia politica. Il pericolo è fare le cose di nascosto» «Toni Negri si è offerto in ostaggio, spero che la sua scelta venga compresa» Negri. «Siamo d'accordo - dice - se la grazia appartiene ad una strategia di accompagnamento al provvedimento di indulto, il cui scopo è quello di superare gli anni di piom¬ Valerio Morucci rché nza Valerio Morucci

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