Torino riconquista il suo Macrino d'Alba

IL CASO. Dopo 200 anni di avventure «L'adorazione con bambino» entra alla Sabauda IL CASO. Dopo 200 anni di avventure «L'adorazione con bambino» entra alla Sabauda Torino riconquista il suo Macrino d'Alba ^jH TORINO \ ESSUN dubbio che, sulle 111 solide fondamenta gettate 1 da Ronchey e Paolucci la ■ ' 1 gestione Veltroni abbia impresso alla tutela e alla promozione dei beni culturali una decisa svolta non solo psicologica ma anche concretamente operativa. In mezzo alle fanfare barocche e alle immagini televisive del recupero e della riapertura della Galleria Borghese, ne dava ieri atto Federico Zeri, assiso con pieno agio su un tronetto marmoreo di età imperiale romana. Ma ammoniva anche di non ricadere, in questa nuova operatività, nella trappola turistica dell'«antologia» di capolavori e di grandi centri e complessi architettonici da recuperare e salvare, dimenticando che la nostra maggiore testimonianza storica e identità culturale, nazionale e locale in una inscindibile unità policentrica, risiede nel colossale tesoro costituito dall'intero tessuto artistico maggiore e minore. In questa ottica, il ritorno nella sua città d'origine della pala di Macrino d'Alba datata 1505, commissionata da Amedeo di Romagnano, vescovo di Mondovì ma anche arcidiacono di Torino, per l'altare di San Solutore nel Duomo, scomparsa dalla città da quasi duecento anni, è un tassello, piccolo nei confronti dei trionfi pontifici borghesiani, ma grande nel contesto della storia e dell'arte torinesi, di questa ricucitura del tessuto. L'Adorazione del Bambino con il donatore Amedeo di Romagnano, viene presentata oggi alle 18, alla Galleria Sabauda. Sembrerà forse un'aggettivazione eccessiva per un artista monferrino a cavallo tra '400 e '500 certamente «minore» nella stagione piemontese che vede attivi Giovanni Martino Spanzotti e Defendente Ferrari e il primo emergere ai confini con Milano del grande Gaudenzio Ferrari, ma è un fatto indubbio che la chiamata in Duomo da parte del Romagnano di un artista non sabaudo ma «paleologo» in indubbia sfida culturale e mecenatesca nei confronti dei vescovi papali Della Rovere, significò anche l'approdo a Torino del tipo di pala e di pittura del pieno Rinascimento centro-settentrionale. L'opera in effetti è un «melting» linguistico che corre dalla Lombardia di Zenale e dell'architettura bramantesca, dominante nell'arcone cassettonato che trionfalizza la Natività e Santi con l'ammonitrice presenza dei simboli della Passione, anche se impugnati come bizzarri giocattoli dagli angioletti intorno al Bambino, alla Padova mantegnesca con le espressionistiche rovine di Roma sullo sfondo, alla centralità culturale di Signorelli e di Perugino. L'avventura della scomparsa del dipinto dal suo altare nel Duomo e del fortunato e fortunoso recupero al patrimonio nazionale, dopo viaggi ottocenteschi a Parigi e poi a New York, è esemplare di tante travagliate storie a lieto fine dei nostri infiniti tesori. L'abate Lanzi già la vide e la descrisse a fine Settecento (suggerendogli il Colosseo sul fondo l'ipotesi di un viaggio di Macrino a Roma) nell'archivio del Duomo. Di li la trasse in età napoleonica, con fiuto mercantile per la neonata moda dei «primitivi» il «francese impresaro de' foraggi per l'armata d'Italia, che l'aveva acquistato per pochi baiocchi», che ne contraffece la firma «Macrinus» in «Perusinus» per meglio piazzarlo sul mercato parigino. La pala finì poi dopo la metà del secolo a New York presso la Historical Society, trasportata dalla tavola alla tela, e vi rimase per più di un secolo. Nel 1971 fu messa all'incanto dalle Parke-Bennet Galleries e ritornò in Europa e in Italia, sul mercato e in collezione privata: nel 1990 Giovanni Romano, nell'illustrarne la rilevanza storica nel volume Domenico della Rove¬ re e il Duomo nuovo di Torino. Rinascimento a Roma e in Piemonte in cui identificava lo stupendo ritratto del committente Amedeo di Romagnano, la diceva, certo auspicando il futuro, «a portata di mano». L'insperata occasione è stata offerta dalla messa in vendita fallimentare, grazie alla quale la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici ha potuto esercitare il diritto di prelazione mentre la Fondazione Crt erogava il prezzo stabili¬ to in un miliardo di lire. Con questo esempio mirabilmente concreto di quella collaborazione fra pubblico e privato che Veltroni invoca ben a ragione, la pala del Duomo può così gemellarsi nella seconda sala dei Piemontesi della Galleria Sabauda con il suo trionfale preludio, anteriore di sette anni, nella provincia «paleologa», la colossale pala della Certosa di Valmanera presso Asti. Marco Rosei Riconquistato, grazie alla Crt, a una vendita fallimentare, è esposto oggi per la prima volta i i 'iiiinnÉÉia . ■ La famosa pala del 1505 «Adorazione del Bambino con il donatore Amedeo di Romagnano» Nella foto in alto Federico Zeri