Hong Kong si sveglia uguale e diversa

9 L'ultimo «God Save the Queen», il principe Carlo fìssa la Union Jack che scende Hong Kong si sveglia uguale e diversa Inglesi addio, Jiang arriva con 4 mila soldati HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Ho cominciato a scrivere poco fa dall'ultimo e più elettrizzante dominio britannico, e trasmetto dalla Cina popolare. Lo stesso posto non è più quello. Tutto è rimasto uguale, salvo la rapida scomparsa, al tramonto, degli stemmi della monarchia britannica dagli edifici pubblici. Il presidente cinese Jiang Zemin assicura nel primo discorso dopo il passaggio di sovranità che la città e la sua vita continueranno come prima, con una democrazia «adatta alle sue condizioni», nel rispetto della libertà odierna. Il principe Carlo ribadisce che anche in futuro Londra resterà legata alla città. Ma nel profondo il mutamento è immediato e storico, e di lunga portata. E' avvenuto. E' avvenuto all'ora zero di oggi primo luglio, le 18 italiane del 30 giugno, segnate alla frazione di secondo dall'osservatorio fino a poco fa «royal». Non consegna di chiavi, non scambi di documenti. Davanti ai quattromila invitati, solo ammainabandiera britannica, nello spegnersi del «God Save the Queen», tra irrefrenabili lacrime di Chris Patten, ultimo governatore, e un Carlo impassibile, ma con occhi sgomenti fissi sulla Union Jack che scende; poi, come da programma, un secondo di silenzio durato un'eternità, il secondo più lungo, e l'alzabandiera cinese, nel levarsi dell'inno nazionale tra gli applausi. Rapido adeguamento alla nuova situazione. Formalmente tutto si è svolto nel nuovo, straordinario centro congressi, costato oltre 600 milioni di dollari, terminato pochi giorni fa in 35 mesi, costruito su un'isola artificiale dominante il porto, unita da ponti alla terraferma: una costruzione dal tetto a volo di gabbiano, con lati interamente di vetro, uno dei quali vasto quanto 16 campi da tennis. Ma prima ancora che, da pic¬ chetti delle rispettive forze armate, la Union Jack venisse ammainata e al suo posto issata la bandiera rossa a cinque stelle davanti ai quattromila ospiti tra cui statisti d'una sessantina di Paesi, il senso visuale e concreto della nuova era si era già avuto con l'arrivo alle 17,30 di Jiang Zemin, il capo dello Stato cinese e del partito comunista. E' sceso dal suo Jumbo ultimo tipo, accolto sotto la pioggia da una piccola folla, bambini coi fiori e da H.C. Tung, che nella notte è stato poi insediato come capo del governo della regione autonoma di Hong Kong. E' il primo capo cinese a mettere piede a Hong Kong, ancora per poche ore sotto dominio inglese: un riscatto storico a lungo agognato da Deng Xiaoping, e che il destino ha riservato a lui. Ha agitato la mano in segno di saluto, seguito a debita distanza dal premier Li Peng, e, formatasi la colonna del seguito, è partito per il suo albergo. Un atteggiamento personale e pubblico di sicurezza di chi viene a riprender possesso di cosa sua. Prima della cerimonia di passaggio di sovranità, sono stati gli inglesi ad andare da lui, nel faraonico albergo che un capitalista rosso gli ha interamente messo a disposizione. Blair e il ministro degli Esteri Cook hanno avuto con lui e con Li Peng un incontro di un'ora, sul futuro di Hong Kong e sui rapporti bilaterali. Poi è toccato al principe Carlo, un incontro di mera cortesia col solo Jiang di soli dieci minuti. Mentre Jiang veniva a prendere possesso in un clima di fierezza nazionale incentivato nell'intero Paese - con grandiosi festeggiamenti a Pechino, centomila persone sulla Tienanmen accuratamente selezionate -, la parte britannica era impegnata nella scienza degli addii. Ne ha fatti molti, dal '45 in poi, ma mai nessuno con tanta grazia, dignità, decoro, da nessuna parte lasciando rimpianti e nostalgie come qui. Sul campo accanto alla caserma fino a ieri «Principe di Galles», con sullo sfondo i superbi grattacieli, non solo parata militare, ma spettacolo coreografico con partecipazione di molti cinesi, davanti a migliaia di spettatori cinesi, richiamante con ironia tante componenti dello spirito di Hong Kong: dalle giunche al drago, dalla frenesia di shopping all'attività finanziaria. Rulli di tamburi, fanfare, cornamuse, compagnie schierate davanti al principe. Pioggia torrenziale, ma nessun mutamento al programma. Infradiciato in divisa da ammiraglio, Carlo ha pronunciato il suo discorso. La pioggia ha fatto comodo al governatore Patten, le cui lacrime si confondevano ad essa nel suo ultimo discorso. In serata grandiosi fuochi artificiali. Intanto al confine cinese era già ammassato il contigente di 509 uomini che secondo gli accordi è poi entrato alle 21 precise. All'alba segue il grosso della guarnigione: quattromila uomini con mezzi blindati, unità navali, elicotteri. Poco prima di mezzanotte, la cerimonia, nel teatro del centro, a conclusione del banchetto dei quattromila. Nessuna tensione visibile tra le due parti, ma gli inglesi, come annunciato, hanno lasciato subito dopo la sala prima che venisssero insediati C.H. Tung e il Parlamento provvisorio designato da Pechino al posto di quello eletto. E' stato un boicot¬ taggio con reciproca grazia: Carlo, Blair, Cook, Patten, sono stati accompagnati all'uscita dal ministro degli Esteri cinese, conversando amabilmente. Carlo e Patten si sono imbarcati sul Britannia, poco distante, che poco dopo è salpato per Manila. Hanno lasciato la sala anche Madelein Albright, che condivide la posizione inglese, e Margaret Thatcher, omaggiata, pur senza nominarla, da Jiang Zemin, che nel suo discorso ha reso il tributo a coloro che nell'84 raggiunsero l'accordo applicato oggi. Ma ha esaltato soprattutto Deng Xiaoping, di cui vanta l'eredità, e la cui vedova con due figli erano presenti nella delegazione ufficiale. Gli inviati di quasi tutti i Paesi europei, tra cui Dini che ieri è stato tra i primi a incontrare Tung, sono rimasti per tutta la cerimonia, così come quelli di molte altre nazioni. Fernando Mezzetti Tripudio di feste in tutta la Cina nel giorno atteso per quasi 150 anni