La prima rivolta contro Pechino

Clinton Il leader Martin Lee: siamo fieri di essere cinesi ma non vogliamo tornare indietro la prima rivolta contro Pechino Democratici in piazza: non toglieteci la libertà HONG KONG DAL NOSTRO INVFATO Cacciati dal Parlamento eletto nel '95 in cui erano in maggioranza, i democratici se ne vanno al grido di «Ritorneremo», lanciato alla folla dalla balconata del palazzo coloniale sede dell'assemblea in cui sono potuti entrare per l'ultima volta. Da circa un'ora la città è Cina dopo oltre 150 anni di dominazione britannica, da un'ora all'altra sarano varate leggi restrittive sulle libertà di manifestazione, ma loro protestano contro il dissolvimento dell'assemblea eletta e l'insediamento di quella designata da Pechino, da cui sono esclusi. E' notte fonda, ma sulla piazza che è il cuore storico di Hong Kong, col monumento britannico ai caduti, si sono radunate alcune migliaia di persone malgrado la pioggia. A poco più di un chilometro di distanza, nel nuovo centro congressi, nella solennità della cerimonia ufficiale, si sta insediando l'assemblea provvisoria. Lì vicino è in corso da ieri mattina un pacifico sit-in a favore di Wei Jinsheng, il dissidente in carcere in Cina. Si temono disordini per la manifestazione notturna, a sovranità cinese ristabilita. Come si comporterà la polizia? Secondo le norme in vigore con gli inglesi, e quindi lasciar fare, o eseguire nuovi ordini? Né Tung, capo del governo appena insediato, né Pechino vogliono evidentemente turbative. La polizia, presente in massa, lascia fare. Sull'uniforme ha già cambiato l'insegna: la parola «Royal» è coperta con del velcro. Il leader dei democratici, Martin Lee, prestigioso avvoca- to, aveva da giorni reso noto il suo programma: entrare con altri deputati nella sede del Parlamento, formalmente chiuso perché i lavori sono terminati l'altro giorno, e rivolgersi ai manifestanti dal balcone. Se non ve lo avessero fatto arrivare vi sarebbe salito dall'esterno con una scala. Non ha dovuto usarla. E' potuto entrare coi suoi deputati tra qualche ora non più tali, ed arrivare a rivolgersi alla folla. «Siamo fieri della riunificazione con la Cina, siamo fieri della nazione cinese. Ma domandiamo perché riuniti alla patria dobbiamo avere meno democrazia, libertà, Stato di diritto che sotto dominio straniero. Vogliamo avanzare con essa, non tornare indietro. Abbiamo bisogno di fiducia reciproca, che non può esserci se un Parlamento eletto viene dissolto installandone un altro. Hong Kong è chiamata Perla dell'Oriente, ma la sua lucentezza viene dalla nostra libertà. Mi- gliaia di cinesi sono venuti qui per la libertà, e vogliamo che tale essa resti, che la perla mantenga la sua luce. Promettiamo al mondo che difenderemo la libertà che ci è cara. La fiamma della democrazia accesa a Hong Kong non sarà spenta, brucia in ogni persona. Desideriamo che la Cina, grande nazione, diventi veramente grande, in cui i diritti di ogni individuo siano rispettati e protetti. Viva la democrazia. Ritorneremo». La folla riecheggia il grido e si disperde. Nessun incidente, nessuna costrizione, nessun limite alla libertà di espressione: per ora. Nel pomeriggio in un incontro coi giornalisti Lee aveva espresso le sue preoccupazioni sulla guarnigione cinese. «Gli inglesi ne avevano una cospicua, ma quando temevano attacchi dalla Cina. Ora, Pechino cosa teme? Il modo con cui arrivano, dalla terra, dal mare, fa quasi pensare a un'invasione». [f. m.] Un momento della manifestazione dei democratici vicino al luogo in cui si è svolta la cerimonia del passaggio alla Cina

Persone citate: Martin Lee, Tung