Negri: la violenza non era stupida

7 Oggi a Roma il professore fuggito a Parigi, lo attendono 3 anni eli mesi di carcere Negri; lu violenza non era stupida «Abbiamo sbagliato, ma siamo parte della storia» PARIGI DAL NOSTRO INVIATO La vita lascia il segno degli addii. E delle cose che finiscono, come in questa notte parigina, la penultima di Toni Negri e (forse) degli Anni 70 italiani, che vanno a concludersi, con un rito di abbracci dentro la luce tiepida di un loft dalle parti di Montparnasse, 200 invitati tra parigini e italiani esuli, bottiglie di vino e poca musica, per salutare infine i ricordi ancora congelati di quello che è stato: gli Anni di piombo e i processi, le vittime, il carcere, le fughe, i cambi di stagione. Così Antonio Negri, 64 anni, viso scavato e teso, professore di Dottrine dello Stato, sovversivo a ogni Stato, dice addio ai suoi ultimi 14 anni di latitanza parigina - «rifugiato politico» secondo le autorità francesi - e si imbarca per tornare in Italia. Dove questa mattina, ore 12,30, subito dopo l'atterraggio a Fiumicino ricomincerà a saldare il suo conto, dentro una cella di Rebibbia. Dice: «Sono l'ultimo giapponese che si arrende a una guerra finita da un pezzo». Spalanca gli ocelli, ripete: «Sono l'ultimo giapponese... Da un certo punto di vista». Il punto di vista, dice così: «Torno non solo perché riconosco la sconfitta, ma anche per aprire una battaglia politica sull'indulto. Torno perché spero che la mia storia e quella di una intera generazione coinvolta nei movimenti giovanili degli Anni 70, possa davvero dirsi conclusa. E che quel passato si chiuda, che le ferite vengano curate... Torno per riconquistare i diritti di cittadino europeo, pagando quello che c'è da pagare». Gli ultimi tre giorni di Toni Negri sono, in un certo senso, il catalogo della sua vita parigina: l'arrivederci agli studenti del Collège International de Philosophie, i pomeriggi al telefono, su al sesto piano della sua casa - una finestra immensa davanti ai tetti di Denfert Rochereau - e il passaggio continuo di amici. E sarà pure l'istante di questo addio per un uomo tanto detestato in Italia, quanto amato qui in Francia, che tutte le facce hanno i segni della tristezza. Franco Piperno dice: «Sono stato esule per 10 anni, prima di essere assolto da tutte le accuse... Erano arrivati a attribuirmi 50 omicidi... E in questo momento Toni fa la cosa giusta. Noi tutti speriamo di es¬ sere reintegrati nel nostro Paese». Dice: «Non abbiamo mai aspirato a essere eroi, ognuno ha compiuto le proprie miserie, le proprie fughe, non siamo diversi, anche se abbiamo voluto esserlo. E oggi chiediamo che gli italiani ci considerino simili a loro». E Giovan Battista Marongiu, condannato a 7 anni per associazione sovversiva, oggi giornalista di Liberation: «La ragione per cui, prima o poi, ritorneremo tutti, è che in Italia abbiamo lasciato non solo i cieli, ma anche le persone care e in questi vent'anni alcune delle persone che ci erano care sono morte, ma la nostra assenza ha fatto sì che rimanessero insepolte. Torneremo perché la vita è passata e ha vinto su tutti». Perciò è il passato che transita in questo piccolo presente di italiani imprigionati dal tempo e dagli eventi cominciati il 7 aprile 1979, quanto Toni Negri e un'ottantina di dirigenti di Autonomia operaia furono accusati di terrorismo. Lui (addirittura) di essere il capo delle Br, il responsabile del sequestro Mero e poi via via, di decine di omicidi, compreso quello del giudice Alessandrini rivendicato da Prima linea, e persino dell'assassinio del suo amico Carlo Saranio, poi ancora degli attentati che nel solo bien¬ nio 1976-77 lampeggiarono 3 mila volte in un'Italia che oggi ci appare inspiegabile. A Parigi piove da tre giorni. E Negri ha ricordi più appropriati all'inverno. «Ci sono stati errori molto grossi e responsabilità pesanti». Dice: «Io non intendo sottrarmi a questo. Certo siamo stati vinti... Ma tutto questo è nella Storia italiana perché ci sono state 60 mila persone arrestate in quel decennio, 24 mila processate... La violenza che è stata praticata non era vuota, non era stupida, né era un impazzimento criminale... Se non metteremo in chiaro che siamo stati parte di una storia collettiva che riguarda non solo noi ma anche l'Italia, questo passate •■•nera come rimosso, come seni-o di colpa». E il suo privato senso di colpa (che trapela involontario) non riguarda tanto la sua azione politica e i suoi scritti, quanto la fuga che decise per sé, nel settembre '83. Aveva passato 4 anni e mezzo dentro le carceri speciali. Aveva accettato la candidatura di Pannella. Era diventato deputato (con 50 mila voti), ma quando la Camera votò per il suo ri-arresto (300 voti contro 294) decise di scappare. O come dice lui: «Di evadere da) mio destino: non credevo che le condizioni del mio processo fossero leali». Racconta: «I radicali organizzarono la mia fuga: salii su una barca a Punta Ala. Sbarcai in Corsica. Pannella voleva usare il mio scandalo per ricandidarmi a Strasburgo... Io non ne volevo più sapere. Consideravo anche la mia fuga una testimonianza...». E oggi? «Spero che il mio rientro dia un colpo definitivo a quell'immagine di opportunista...». Oggi per l'appunto. «Perché finalmente ora che sta nascendo una nuova Repubblica - nuova legge elettorale, nuovo sistema istituzionale - i conti con il passato devono essere chiusi, come alla fine della Comune di Parigi, 0 alla fine del fascismo in Italia con l'amnistia voluta da Togliatti, o alla fine della guerra d'Algeria in Francia...». Cose grandi e cose piccole. Che finiscono dentro le scatole delle parole, come i 3 mila libri che Negri va raccogliendo per il suo ultimo trasloco. Borse e vestiti accatastati, mobili che di qui a qualche ora verranno imballati. E spediti dove? «A Padova, dove sono nato». E dove conta di tornare? «Un giorno, credo di sì». Perché in fondo è a Padova che ripensa anche se è Parigi la città che lo ha ospitato più a lungo. La città dura di una dura Europa di lotte sociali e trasformazioni, che lo ha accolto e protetto. Ed è su Parigi l'ultimo dettaglio raccontato, mentre prepara i libri da portare prima in aereo e poi in carcere (il «De Rerum Natura» di Lucrezio). «In questi 14 anni non ho mai avuto documenti. Per ritirare lo stipendio all'Università ho usato ancora la mia patente italiana, che in realtà è scaduta... Ma qui a Parigi, quel documento, è eterno...». Toni Negri torna provvisorio. Sa che gli mancano 3 anni e J1 mesi da scontare. Sa che uscirà assai prima. Non sa molto altro, se non che avrà di nuovo un documento e quindi (che gli pesi 0 no) una identità definitiva. Pino Corrias «Ora che nasce una nuova Repubblica, bisogna chiudere i conti con il passato Come accadde alla fine del fascismo con l'amnistia voluta da Togliatti» li sento come l'ultimo soldato giapponese Mi arrendo adesso con ia guerra finita da un pezzo» Il giudice Pietro Calogero Sotto Marco Pannella Toni Negri: oggi rientra in Italia Franco Piperno: «Negri sta facendo la cosa giusta»