IL PALAZZO Gli Azzurri desaparecidos di Filippo Ceccarelli

F IL PALAZZO Gli Azzurri desaparecidos Tiziana Parenti a voler rimanere in Forza Italia. A parte il valore della persona, se c'è o non c'è, se resta o se ne va è la stessa cosa. Quindi meglio rimanere, anche in vista del «Consiglio nazionale» - si chiama così? - del 4. Sempre che non venga rinviato, come il congresso. In ogni caso per andarsene c'è sempre tempo. Da quando esiste Forza Italia, secondo un censimento approssimato per difetto, se ne sono andati in 16, parlamentari o ex. Ma è una cifra che con il dissenso interno - almeno così come lo si è concepito finora nei partiti - ha davvero poco a che fare. Pur essendo numerosi, quasi un gruppo parlamentare, gli ex berlusconiani, o azzurri persi per strada, sono in realtà delle ombre nel buio, piccoli trafiletti sul giornale, figurine smarrite nel nulla di una politica in cui le ideologie contano poco e le appartenenze ancora meno. Un tempo, essere «ex» comportava una condizione perfino drammatica. Gli ex democristiani erano visti e vissuti come spretati, gli ex comunisti come rinnegati, in un contesto di abiure, fallimenti, contraddizioni, tradimenti. E ora? Beh, ora, graziosamente, la categoria degli ex la rappresentano l'ex ministro Podestà, che a suo tempo aizzava gli studenti di Forza Italia a «tirar fuori gli artigli», oppure l'avvocato Luigi Alfonso Marra, che acquista pagine di giornale o scrive lettere su carta intestata con foto, a colori. Oggi, davvero con fatica si comprendono le ragioni che hanno spinto Tina Lagostena Bassi a dire «no, basta, me ne vado»; o il senatore Petricca, o quel Luigi Negri, già leghista, già federalista e poi liberaldemocratico. Non che altrove la tensione morale sia molto più alta. Ma guarda caso il fenomeno di questa tenue e sommessa «exeità» è più visibile nel partito che più ha atrofizzato il dibattito, più ha sterilizzato il dissenso, più ha saputo fare a meno dei «falsi riti della democrazia», come dice il Cavaliere. Così, in tre anni e mezzo, Forza Italia è diventato il classico albergo spagnolo in cui si entra e da cui si esce a tutte le ore: senza lacrime, senza spasimi, senza grida, senza nulla, arrivederci e grazie. Suonano vuote le giustificazioni pseudo-politologiche dei fuorusciti. Se ne sarebbero andati via perché Forza Italia è «un grande contenitore» (Caligaris, uno dei fondatori); «un partito azienda» (Cecchi, bella scoperta); perché «si sprecano tempo ed energie» (Teso, imprenditore delle vernici, 500 miliardi di fatturato). Pretesti irrilevanti, scuse misteriose, egocentriche. «Forza Italia mi ha deluso» sostiene la Maria Pia Dell'Utri, già musa salottiera e orgogliosa fondatrice di «clubbini» per bimbi azzurri. E chissà cosa intende con «mancanza di sintonia» il senatore Milio, che poi ondeggia tra il psi di Intini e Cossiga-Segni. Paradossalmente l'unico abbandono palpitante, all'altezza dei tempi, è stato quello della coppia Ariosto-Dotti. Ma è una storia tutta privata. Chi la vuol far pubblica a tutti i costi come l'onorevole Caccavale che sulla sua esperienza ha pubblicato un velenoso diario in cui sotto forma di voce si trova pure scritto che Berlusconi da giovane è stato arrestato, in Svizzera, a Bellinzona - non ci riesce proprio. Tale il deserto di idee, e di conflitti autentici, che si segnalano addirittura uscite rassegnate, soft, da insalutati ospiti: Liotta e la Li Calzi che appena eletti scelgono la legione straniera di Dini, l'ex «destroverso» Savarese, già sbandieratore di bandieroni, che trova alloggio da An. Meglio presto che mai. Filippo Ceccarelli elli

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