Reportage NELL'ISOLA ASSEDIATA

NELL'ISOLA ASSEDIATA NELL'ISOLA ASSEDIATA QUEMOY OPO Hong Kong, dopo Macao il cui riassorbimento nella Cina è già concordato per il 1999, è con la frontiera che passa qui a Quemoy che si scontreranno le dichiarate ambizioni di Pechino di annettersi «l'ultimo territorio non ancora riunificato alla madre patria». Quemoy è un isolotto montagnoso a due chilometri dalla costa cinese che appartiene a Taiwan, conosciuta anche come l'Isola di Formosa, dove nel 1949 il generalissimo Chiang Kai-Shek, sconfitto dai comunisti di Pechino, sbarcò con il suo esercito in fuga per installarvi quello che per anni fu considerato l'unico governo legale della Cina, e che Mao ed i suoi eredi hanno invece sempre definito una loro provincia ribelle. I 21 milioni di taiwanesi oggi non pretendono più di rappresentare tutta la Cina ed hanno opinioni contrastanti sui destini del loro Paese: un quarto vorrebbe dichiarare l'indipendenza dell'isola sfidando le minacce di Pechino di impedirlo con la forza, un quarto sarebbe disposto a riunificarsi alla Cina con una formula salva-faccia, mentre la grande maggioranza preferisce la situazione attuale, cioè una comoda indipendenza di fatto anche se riconosciuta solo da pochi e piccoli Paesi ininfluenti. Certo è che il cambio della guardia a Hong Kong fa sorgere nuove incertezze sul futuro di Taiwan. Oggi un giornale locale titolava: «Taiwan teme di essere il prossimo». E ieri gli «indipendentisti» hanno organizzato una grande manifestazione a Taipei, la capitale del Paese, per dire «no alla Cina», per non essere «inghiottiti» come Hong Kong. «Taiwan è Taiwan, la Cina è la Cina», gridavano sventolando slogan e bandiere mentre dal palco un oratore paragonava Taiwan a una bellissima donna che si dibatte perché costretta a sposare l'uomo che le punta una pistola alla tempia, cioè Pechino. Dall'altra parte della città dimostravano, con molta minor partecipazione di pubblico, quelli che inneggiano a Hong Kong come primo passo verso la riunificazione con la Cina comunista. Per Taiwan, Hong Kong è la punta di un triangolo attraverso cui passano tutti i rapporti, e sono molto intensi, con la Cina. Non esistono relazioni dirette tra i due Paesi, né via aria né via mare, ed anche le telefonate (5 abbassa la bandiera britannica e si alza quella cinese. E' una ritorsione per il boicottaggio da parte inglese dell'insediamento del parlamento provvisorio designato da Pechino al posto di quello eletto nel '95, che sarà subito dissolto. Il principe Carlo, Blair, il ministro degli Esteri Cook, il governatore Patten si allontaneranno prima che l'assemblea venga insediata, per non riconoscere la sua legittimità. A loro si unirà Margaret Thatcher, che firmò gli accordi dell'84. Lo stesso farà il segretario di stato Madeleine Albright, che ha avuto un incontro con esponenti democratici, assicurando che gli Stati Uniti seguiranno con attenzione le sorti della democrazia a Hong Kong. Gli europei, fra cui Dini, parteciperanno invece a tutta la cerimonia. Con loro resterà anche l'ex premier inglese Edward HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Ultima patetica benevolenza imperiale, sfrenata mondanità con migliaia di Vip, chic retro da Shanghai Anni Trenta, festiva atmosfera popolare, colonne di Rolls-Royce a passo d'uomo in escursione tra l'immensa folla per le strade con luminarie a Kowloon, la zona più profondamente cinese, non quella dei grattacieli e delle residenze coloniali. La città ha vissuto l'ultima domenica britannica in eccitazione, nel susseguirsi di ricevimenti e di crepuscolari riti; ma anche di ripicche politiche, che annegano nei fiumi di champagne, nell'indifferenza di ristoranti affollati, della calca da Ferragamo o Armani, dove alla cassa si fanno file come di sabato al supermercato. Mai fine di un dominio coloniale è avvenuto in tanta opulenza, mai festeggiamenti per la sua scomparsa hanno avuto il sapore di anticipato rimpianto prima che la Union Jack sia ammainata a mezzanotte, le 18 italiana. Fa da contrappunto la tensione politica in queste ore di vigilia. Jiang Zemin, presidente della Cina e del partito comunista, e il premier Li Peng non partecipano stasera al banchetto con quattromila invitati di tutto il mondo, tra cui una sessantina di statisti, per il passaggio dei poteri, al termine del quale si