E adesso l'Italia punti sullo sviluppo INTERVENTO

E adesso l'Italia punti sullo sviluppo INTERVENTO E adesso l'Italia punti sullo sviluppo E, venuto il tempo di osare di più puntando sulla crescita dell'economia. Il piano di convergenza presentato dall'Italia a Bruxelles è stato apprezzato dalla burocrazia comunitaria e dai mercati. In rapporto all'art. 104 del Trattato di Maastricht l'Italia si colloca tra le nazioni più virtuose e per quanto riguarda la tabella allegata, quella dei famosi parametri, si attribuiscono al nostro Paese numeri addirittura migliori della Germania e della Francia riguardo al rapporto del 3% tra deficit e Pil. Si potrebbe dubitare, e non mancano gli esperti nazionali nello sport dell'autolesionismo, della bontà delle nostre cifre. E' lecito farlo, ma Carlo Azeglio Ciampi è, ed è considerato, credibile e affidabile. Non pensano le stesse cose di Theo Waigel molti esponenti del Bundestag e tanti esperti, a quanto si legge sulle gazzette germaniche. Anche il controverso parametro della stabilità politica, non prescritto da Maastricht, ma fondamentale per i mercati, affanna meno Roma di Parigi e Bonn, gli uni alle prese con le spine della coabitazione, gli altri con risse quotidiane della coalizione di governo e con la spada di Damocle delle elezioni del 1998: il popolo tedesco forse vorrebbe pronunciarsi sul Trattato di Maastricht, come hanno fatto dopo il 1996 italiani, francesi e inglesi. Le cose non vanno male, ma occorre guardarsi da indebite euforie perché siamo abituati a dare il nostro meglio nelle difficoltà. Siamo tuttavia ben lontani dal registrare risultati soddisfacenti su due parametri determinanti, non previsti dai trattati e dai piani di stabilità: lo sviluppo e l'occupazione, elementi basilari per stabilire la salute di una nazione. Su questi terreni l'Italia è tuttora ammalata, o quantomeno in convalescenza. I cittadini hanno sopportato cure pesanti per risanare la finanza pubblica dissestata da anni di sperperi. E' arduo però fare dimenticare i nostri peccati originali, l'in¬ flazione degli Anni Ottanta e dei primi Anni Novanta, la svalutazione un po' selvaggia del 1995, conseguenze della generosità e degli sprechi del nostro sistema previdenziale e sanitario, dei privilegi e del pessimo funzionamento dell'amministrazione pubblica, della cultura paralizzante dello statalismo. Non sono state sufficienti le abluzioni battesimali finora compiute se il governatore della Banca d'Italia è indotto a politiche monetarie rigide per dimostrare la serietà dei nostri intenti. L'Italia non merita più la lettera scarlatta delle peccatrici e certi puritani svelti alla condanna hanno di che riflettere sulle loro colpe. Ricordando il galantuomo Luciano Lama, Gianni Agnelli ha sottolineato una loro preoccupazione comune, quella di mettere lo sviluppo al centro della riflessione e delle azioni. Alcuni stimoli in questo senso sono contenuti nel Dpef : consente di contenere il deficit anche per l'avvenire e si propone politiche di rilancio dell'economia e dell'occupazione. Manca però la fiducia nel Paese, nelle imprese e tra i cittadini. Un esempio semplice: dopo anni di ristrettezze, nel 1997 i salari stanno salendo in misura doppia rispetto all'inflazione, quelli dei dipendenti pubblici ancora di più; i consumi tuttavia ristagnano e i sintomi di ripresa dell'economia sono legati soprattutto alle esportazioni e agli investimenti. Prevalgono dunque i sintomi della sfiducia e dell'incertezza del domani. I cittadini vogliono cogliere i risultati dopo anni di duri sacrifici. Non bisogna abbassare la guardia e fa bene Prodi a compiere i passi per la riforma del Welfare, interventi strutturali indispensabili per allentare la pressione fiscale eccessiva, per liberare risorse necessarie per ridare fiato agli investimenti per lo sviluppo. Il sistema creditizio deve fare la sua parte abbassando il costo del denaro, misura possibile se le operazioni di risanamento coinvolgono anche le banche. Antonio Mereu euj

Persone citate: Antonio Mereu, Carlo Azeglio Ciampi, Gianni Agnelli, Luciano Lama, Theo Waigel