Anche la Chiesa si arrende «I ragazzi qui non vengono» di Liliana Madeo

Anche la Chiesa si arrende «I ragazzi qui non vengono» Anche la Chiesa si arrende «I ragazzi qui non vengono» NELLA CITTA' DELLA VERGOGNA TORRE ANNUNZIATA DAL NOSTRO INVIATO Appena si aprirono i laboratori, nell'autunno scorso, un ragazzo del corso impugnò un martello e si mise a girare per le classi. Per creare disordine, seminare paura, proporsi come un leaderino è - insieme - essere al centro dell'attenzione. Un ragazzo di 15 anni, multiripetente, che l'anno prossimo frequenterà la terza media. Uno dei «ragazzi a rischio» del quartiere in cui sorge la media «Alessandro Manzoni», la scuola dove il ministero dell'Interno ha finanziato un programma-pilota di quattro laboratori - falegnameria, foto, ceramica, decorazioni su vetro - per tre pomeriggi a settimana, gestiti dal Comune, alla presenza di boys scout come volontari e di anziani artigiani come docenti. «All'inizio fu dura. I momenti difficili sono stati tanti. Ci siamo trovati alle prese con ragazzi violenti, abituati alle male parole, senza nessuna regola, nessun senso della collettività. A nostro vantaggio ha giocato il fatto che noi non insegnavamo niente, che si usava la manualità, che c'eravamo. Piano piano - anche per quelli che la mattina neppure riescono a stare in classe e per le lezioni provano solo insofferenza - siamo diventati un punto di riferimento, nel grande scorrere delle ore della giornata che sono abituati a passare per strada inventandosi il divertimento di momento in momento» raccontano i quattro operatori del Servizio Assistenza Scolastica del Comune. Quando incominciarono i laboratori, la direzione della seno- la ritenne opportuno mettere le porte blindate. Perché i macchinari sono del ministero. E i furti, gli scassi erano già stati numerosi. L'anno prossimo anche in altri istituti si dovrebbero attuare programmi-pilota. Anche nelle elementari del Quartiere dei Poverelli, dove una banda di uomini e donne ha usato bambini per arricchire il mercato della pedofilia e, forse, incrementare un nuovo filone di reddito della camorra. Un quartiere non diverso da altri della città. E una città non diversa dalle altre. «La nostra è una piccola Napoli» dice don Mario Albertino, parroco della chiesa del Carmine, arrivato qui vent'anni fa. Il suo tono è amaro: «Tutti sono sconvolti per questa vicenda di pedofilia. Io no. Non che sia contento, ovviamente. Ma in una situazione dove quello che più conta è l'avere, avere il soldo, perché meravigliarsi che la morale è caduta, che i riferimenti etici si sono annebbiati, che l'anomalia è diventata norma? Per il 1° luglio il nostro vescovo ha indetto una veglia di preghiera. Qui ne abbiamo fatte tante di cerimonie in occasione di stragi e uccisioni. Veglie, digiuni, marce, proclami, manifesti. Abbiamo giocato sui sentimenti. Ci siamo scaricati le emozioni. Hanno parlato i politici. La gente si è commossa. La Chiesa ha pregato. Ma prowedimenti concreti non sono stati presi». Dal suo osservatorio l'anomalia ha tante facce. E' la solitudine in cui sono lasciati i giovani, l'assenza dei padri. Il vuoto affettivo delle famiglie. I figli che vengono messi al mondo e poi scaricati nelle strade. Le donne che sanno tutto di quello che i loro uomini fanno, e lasciano fare, per debolezza, opportunità, mancanza di alternative, mancanza di altri valori. Le ragazzine - «le più indifese, quelle che fanno più tenerezza quando le vedi frequentare i gruppi dove l'uso e il consumo del corpo, della droga, avvengono senza regole» che a 11 -12 anni già si propongono come donne. I ragazzi per i quali il padre è il migliore, la figura forte da cui vedono fare con naturalezza le cose che procurano il denaro facile. La mancanza di rispetto per le cose e le persone che gli viene trasmessa. «Anche noi - riflette il religioso - da ragazzi giocavamo tirando le pietre, rompevamo qualche vetro, e poi eravamo preoccupati per quello che avevamo fatto. Ora i ragazzi rompono per rompere, scassinano perché non hanno niente da fare, quindi - come tappa successiva - si prendono lo sfizio di rubare. La violenza è il loro linguaggio. Imparano che bisogna arrangiarsi per vivere, che l'omertà è la norma. Qui, in una sera qualsiasi, tutti vanno al bar, mangiano la pizza, portano vestiti più che decenti, mentre sono pochi quelli che hanno un'attività onesta e garantita. Qui fuori, davanti all'oratorio, stazionano tutto il giorno una trentina di uomini. Su motorini e macchine potenti. Coi cellulari sempre in funzione. Contattano, contrattano, smerciano droga e sigarette, fanno usura. Ecco come si cristallizza, nei più giovani e nei più fragili, l'assuefazione all'illegalità senza temere che le istituzioni siano in grado di reagire. Le istituzioni dello Stato come quelle ecclesiastiche. Neanche queste hanno un progetto definito per comunicare con le fasce giovanili. Noi di giovani ne acchiappiamo pochi, una frangia assolutamente minoritaria. I più, dopo la Prima Comunione, in chiesa non ci mettono più piede e le strutture per farli giocare, per il tempo libero, né le abbiamo né vengono create. La mia chiesa, terremotata nell'81, non è ancora stata riparata. L'oratorio - in cui finisco per fare solo l'attività ecclesiale di routine - è questo locale lungo il corso per cui pago 700 mila lire al mese. A Torre Annunziata ci sono dodici parrocchie, di cui tre a cinquanta metri l'una dall'altra. Troppe. Facciamo tutti le stesse cose e continuiamo ad andare avanti così. Una la si po¬ trebbe benissimo chiudere, incaricando mi sacerdote di occuparsi solo dei giovani». La Torre Annunziata della legalità e della denuncia del malaffare è sgomenta. Le dimensioni della perdita di valori vengono misurate dalla vicenda dei bambmi che, per un pugno di lire, sono stati usati sotto gli occhi di tante persone e non mia volta soltanto. Nella mancanza di senso del dramma proprio là dove il dramma è maturato, si sommano le sconfitte che la società civile ha accumulato negli anni. Ma don Mario - nonostante tutto - non trae conclusioni apocalittiche. «Ci sono anche, poche, le partite vinto. Alcune contro la droga. Qualche giorno fa un ragazzo che abbiamo aiutato a uscire dalla tossicodipendenza mi ha detto: "So che devo morire, ma voglio morire da vivo, non da morto". Avevo appena battezzato il suo bambino». Liliana Madeo

Persone citate: Alessandro Manzoni, Mario Albertino

Luoghi citati: Citta' Della Vergogna Torre Annunziata, Napoli, Torre Annunziata