Hong Kong i Creso con bandiera rossa

I magnati si schierano col nuovo potere. Ma ci sono gli «yacht people», pronti a partire I magnati si schierano col nuovo potere. Ma ci sono gli «yacht people», pronti a partire Hong Kong, i Creso con bandiera rossa Chi regala a Pechino un grattacielo, chi un giornale HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Mettendo in pratica il principo di Groucho Marx, «non mi iscriverei mai a un club che mi accettasse», Robert Kuok non ha mai voluto far parte del Royal Hong Kong Jockey Club, secolare bastione coloniale, apertosi negli ultimi anni ai tycoons locali divenuti molto più ricchi di tanti loro dominatori. Kuok, cinese nato in Malesia ma da tempo basato a Hong Kong, si è fatto da sé ed è tra i più ricchi del mondo: re dello zucchero, degli alberghi Shangri-La, di proprietà immobiliari nel mondo e in Cina. Tra pochi giorni, a 74 anni, entrerà infine nel Jockey Club, che non più Royal, dal primo luglio non avrà più nulla di coloniale. «Ora posso fame parte», ha detto. Non è il solo a nutrire questi sentimenti. 1 magnati saiutano tutti con esultanza il ricongiungimento con Pechino. Li Ka-shing, 68 anni, una decina di miliardi di dollari, ha costruito e regalato alla Cina, quale «dono patriottico», un grattacielo, mezzo miliardo di dollari, per la rappresentanza del ministero degli Esteri. Profugo da Canton, cominciò vendendo fiori di plastica, e nel '79 espugnò uno dei santuari del potere economico inglese, Hutchinson Whampoa. Pari soddisfazione per la partenza degli inglesi viene da Martin Lee, 59 anni, valente avvocato, colto ed elegante, educato dai gesuiti: «Per il popolo cinese è un momento di gloria, ci lasciamo finalmente alle spalle la vergogna della guerra dell'oppio e del dominio coloniale». La consonanza fra loro finisce qui. Kuok ha comprato nel '93 da Rupert Murdoch il South China Morning Post, il locale quotidiano storico, fabbrica di soldi con alta tiratura e montagne di pubblicità. Non è stato mero investimento. Nel '95 licenziò un famoso vignettista per i suoi lavori derisori verso i leader cinesi. Mesi fa ha installato al giornale quale «consulente» un importante giornalista di Pechino. Un commissario, dicono in molti, Li, con grandiosi investimenti in Cina, aveva relazioni dirette con Deng Xiaoping, che lo ebbe tra i suoi più stretti consiglieri nei negoziati con Londra. Per lui e per Kuok, Hong Kong conserverà il suo sistema di piena libertà economica, e tanto basta. Martin Lee è il leader del partito democratico, maggioritario nel Parlamento eletto per la prima volta nel '95. Le assicurazioni economiche non gli bastano: «Come si può separare libertà economica da libertà politica? Una persona, o è libera o non lo è». Se Kuok si iscriverà al Jockey Club dopo che sarà ammainata la bandiera britannica, e Li Ka-shing ufficializzerà il suo cospicuo dono, Martin Lee, dopo l'alzabandiera cinese, non sarà più membro del Parlamento. Esso sarà subito dissolto e al suo posto si insedierà un altro costituito sei mesi fa da Pechino, che si era opposta duramente alle elezioni del '95 indette dal governatore Patten. Il Parlamento di impronta pechinese, riunendosi in Cina, ha nominato quale premier della regione autonoma di Hong Kong un magnate: Tung Chee-hwa, 60 anni, famiglia di grandi armatori di Shanghai fuggiti nel '49, studi a Cambridge e Harvard. Dieci anni fa, quando il suo impero armatoriale si trovò in crisi, Tung riuscì a salvarlo grazie a finanziamenti di un consorzio di banche sostenuto da Pechino. Oltre alla nomina di Tung, l'assemblea sostenu'.a da Pechino ha deciso restrizioni sulle libertà civili che entreranno in vigore il primo luglio. La notte del 30 giugno Martin Lee e i democratici protesteranno contro lo scioglimento del Parlamento eletto e l'insediamento di quello di Pechino. Sono in corso eleganti disquisizioni giuridiche. Le nuove leggi restrittive saranno approvate all'alba del primo luglio: come punire manifestazioni tenute in quelle poche ore di vuoto, se non con una retroattività contraria al sistema giuridico? La città arriva alla fine del periodo coloniale con sentimenti complessi. Pragmatici miliardari entusiasti di riunirsi a Pechino, avendo filo diretto con una dirigenza comunista entusiasta dell'efficienza capitalista: se andasse male hanno tutti un passaporto in tasca, e cospicue ricchezze altrove. Con loro, strati di alto livello che con studi adeguati o forti investimenti, avuto cittadinanza e rifugio altrove, sono tornati per le opportunità della riunificazione: «yacht people», portafogli pieno e passaporto straniero. Sul versante opposto, appassionati democratici, espressione della classe media, per i quaM Hong Kong non può essere solo entità di libertà economica, ma anche politica. Aspramente divise sulle prospettive del futuro, le parti si uniscono nella fierezza per la fine delle umiliazione passate. Mentre la Cina col suo spettacolare sviluppo degli ultimi dieci anni diventa superpotenza, essi hanno già avuto a Hong Kong la loro rivalsa economica e sociale. Da tempo è piena di europei, soprattutto inglesi, impiegati in lavori che i cinesi non vogliono più fare, soprat¬ tutto camerieri. Li chiamano «Filthk», Fallito in Londra tenta Hong Kong, con derisione sulla sorte dei figli dei dominatori dei loro padri. Tra una settimana, i Filthk dovranno fare la trafila di emigranti per regolarizzare la loro posizione. Nella ritrovata dignità nazionale, le opposte parti si accomunano a Pechino, per la quale la fine del dominio coloniale è la legittimazione storica e nazionale del regime comunista, in una ondata di patriottismo che accompagna l'evento. Dalla Città Proibita è in atto una campagna perché il ritorno di Hong Kong sia il recupero di orgoglio nazionale «dopo un secolo di vergogna». Un film kolossal prodotto a Pechino, «La guerra dell'oppio», rievoca le tattiche inglesi per imporre l'oppio in Cina, la distruzione della droga ordinata da un funzionario patriottico, e la risposta britannica con la presa di Hong Kong. Il luogo in cui fu distrutto l'oppio, in territorio cinese non distante dal confine, è stato trasformato in un santuario. I visitatori possono sparare colpi simulati di cannone su navi da guerra inglesi su un grande dipinto. Giorni fa, come in un rito per esorcizzare il passato, con soldati in picchetto d'onore, in una cerimonia solenne, sullo stesso posto è stata bruciata una gran quantità di eroina: odierna lotta alla droga ma soprattutto ai fantasmi di ieri. Fernando Mozzetti Un'immagine dell'interno della Borsa di Hong Kong e dell'esterno della «China Tower» con un cinese che porta la borsa di un businessman occidentale