DIFFAMARONO L'EX PM «Sgarbi e Liguori devono pagare»

— DIFFAMARONO I/EX PM — — DIFFAMARONO I/EX PM — «Sgarbi e Liguori devono pagare» L'ex ministro dei Lavori Pubblici Antonio Di Pietro BERGAMO. «Ho dovuto impostare un apposito programma al computer per tenere conto di tutte le querele e le cause per diffamazione e del loro stato di avanzamento». Così Antonio Di Pietro, ieri in Tribunale a Bergamo con il suo legale Massimo Dinoia, ha commentato la situazione che si è creata dopo che è stato costretto a ricorrere alle querele per diffamazione, circa 275, per difendersi contro le ipotesi calunniose nei suoi confronti. Di Pietro ha detto che nell'ultimo mese è stato chiamato per 25 udienze e che il calendario è ancora fittissimo. Sinora sette sue querele hanno visto la condanna degli imputati in prima istanza. Proprio ieri Vittorio Sgarbi e Paolo Liguori sono stati condannati per aver diffamato l'ex pm nel corso della trasmissione «Fatti e Misfatti» del 21 ottobre 1995. A Sgarbi è stata inflitta una multa di due milioni, mentre a Liguori di due milioni e mezzo per recidiva. Entrambi sono stati condannati al pagamento delle spese processuali. La sentenza è stata emessa poco prima delle 20. Sgarbi e Liguori erano stati querelati da Di Pietro per alcuni commenti che in quella trasmissione avevano fatto su di lui, a proposito delle dichiarazioni dell' allora ministro della Giustizia Mancuso sui falsi laureati. [Ansa] pre l'arma elettorale: «A noi cittadini che abbiamo solo il diritto del voto - afferma l'ex pm - non resta che ricordarci il nome e il partito di chi gioca allo sfascio allorché, prima o poi, ritorneremo alle urne». Nel frattempo «il "colpo di spugna" potrebbe pure essere accettato da quella parte dell'opinione pubblica ormai esasperata e confusa da un sistema politico che si avvita su se stesso, da una ripresa econo¬ mica che stenta a decollare e dalla disoccupazione dilagante». Di Pietro non spiega meglio il presunto rapporto disoccupati-perdono ai corrotti ma indica attraverso quali progetti di legge si starebbe realizzando il presunto colpo di spugna: «La derubricazione dell'illecito finanziamento ai partiti in mero illecito amministrativo», la «depenalizzazione del falso in bilancio», «l'ipotesi di considerare nulle le dichiarazioni rese ali'autorità giudiziaria da persone che poi in dibattimento si sono avvalse della facoltà di non rispondere» (in sintesi, la riforma dell'articolo 513). Tre proposte «apparentemente disgiunte l'una dall'altra ma che invece - prosegue Di Pietro -, se dovessero essere approvate tutte e tre insieme, provocherebbero (oltre a un danno per la Giustizia che singolarmente arrecherebbero) anche, come effetto moltiplicatore, la beffa di azzerare tutto quello che di buono è stato fatto con l'inchiesta Mani pulite». Perché, spiega ancora, «verranno a mancare ai magistrati proprio quei "grimaldelli tecnici" che hanno permesso di scardinare la cassaforte di Tangentopoli». Antonio Di Pietro conclude con una metafora medica, cara a lui come ai suoi ex colleghi (il pubblico ministero Pier- camillo Davigo ama paragonare magistrati e chirurghi): «L'inchiesta Mani pulite è stata come una camera operatoria dove si sono individuate nuove tecniche di indagine che hanno permesso di combattere un grave tumore sociale e allora i responsabili dell'ospedale (ovvero alcuni parlamentari) invece di incoraggiare a debellare il tumore, smontano la camera operatoria», [r. m.] Silvano Costanzo Al processo sulle tangenti pagate per la realizzazione di dieci parcheggi a Napoli REGGIO CALABRIA. Forse non ha ancora vinto la guerra, ma Giacomo Mancini una battaglia significativa l'ha già messa in carniere. Ieri mattina, dopo una neppure tanto lunga camera di consiglio (poco meno di 50 minuti), la corte d'appello di Reggio Calabria ha accolto la richiesta dei difensori di Mancini che hanno sostenuto l'incompetenza territoriale dei giudici reggini. E incompetenza è stata dichiarata, così che l'inchiesta ora si sposta a Catanzaro perché, hanno deciso i giudici reggini, il primo presunto episodio della lunga vicenda processuale di Mancini sarebbe accaduto non nella Piana di Gioia Tauro (e quindi nella competenza del tribunale di Palmi), bensì in un ristorante del quartiere catanzarese di Lido. Tutto da rifare, quindi, in un'inchiesta che si era conclusa, nel marzo dello scorso anno, con una condanna anche abbastanza pesante - 3 anni e mezzo di reclusione per Mancini, ritenuto, primo uomo politico di spessore nazionale, responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa. Ora, quindi, con la trasmissione degli atti alla procura di Catanzaro l'inchie¬

Luoghi citati: Bergamo, Catanzaro, Gioia Tauro, Napoli, Palmi, Reggio Calabria