Annullata la condanna di Mancini

La corte d'appello dichiara l'incompetenza territoriale dei giudici reggini. Ora tutto ricomincia a Catanzaro La corte d'appello dichiara l'incompetenza territoriale dei giudici reggini. Ora tutto ricomincia a Catanzaro Annullato la condanna di Mancini Ieri è tornato a fare il sindaco di Cosenza sta riparte praticamente da zero. La decisione della corte d'appello di Reggio Calabria ha avuto come prima, immediata ripercussione il reintegro dell'ex segretario politico del psi nella carica di sindaco di Cosenza, da cui era stato sospeso all'atto del rinvio a giudizio davanti al tribunale di Palmi. Un atto dovuto, quello della sospensione, così come dovuto è il reintegro che diverrà effettivo quando la cancelleria della corte d'appello reggina darà comunicazione formale della decisione dei giudici alla prefettura di Cosenza. E Mancini ha già detto che non vede l'ora di reindossare la fascia tricolore che, conquistata sul campo, gli è stata strappata dai giudici facendo capire che, nonostante l'età avanzata, in ottobre sarà ancora lui il candidato da battere nella corsa alla poltrona di sindaco. Mancini ha vissuto questa inchiesta in modo drammatico, gridando la sua completa estraneità ai fatti che gli venivano contestati e che nella sostanza si concretizzerebbero in una sorta di accordo perverso con esponenti delle cosche per ottenere voti in cambio di favori, là dove per «favori» si devono intendere pesanti interventi per «aggiustare» un processo. Accusa infondata oltre che infamante, ha sempre detto Mancini, ma in primo grado, contro la bordata di accuse mossegli da alcuni «collaboratori di giustizia», non c'è stata difesa che abbia tenuto. Così, da Palmi, Mancini lo scorso anno è ripartito sì condannato, ma non sconfitto. E quando sono scaduti i termini - dimostratisi abbastanza formali - per il deposito delle motivazioni della sentenza del tribunale si è presentato ogni giorno, a Palmi in cancelleria a chiedere, con i suoi modi da vecchio signore, quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare. L'accusa contro di lui ruota intorno ad una figura di assoluto rilievo nel panorama mafioso calabrese, quella di Natale Iamonte, indicato come il patriarca della 'ndrangheta di Melito Porto Salvo. 'Ndrangheta potente, ricca, con forti interessi nei Paesi dell'ex Europa dell'Est, dove il denaro delle cosche calabresi ha trovato terreno fertile per investimenti, soprattutto leciti. Giacomo Lauro e Filippo Barreca, «pentiti» fino ad oggi ritenuti molto attendibli, seppure con qualche caduta di credibilità, lo hanno accusato di avere siglato con gli Iamonte un accordo di ferro e sulle loro dichiarazioni se ne sono innestate altre, da parte di collaboratori di minore spessore criminale, ma pur sempre pronti a parlare. «Gente manovrata dai giudici», ha sempre replicato sprezzantemente Mancini che, davanti ai magistrati di primo grado, ha portato a parlare in suo favore esponenti politici che hanno speso parole di stima personali verso di lui, sulle quali, però, davanti alle molte dichiarazioni di «pentiti», il tribunale non se l'è sentita di emettere una sentenza assolutoria. Diego Minuti

Luoghi citati: Catanzaro, Cosenza, Europa Dell'est, Palmi, Reggio Calabria