La lunga frontiera delle crisi d'Europa di Aldo Rizzo
F La lunga frontiera delle crisi d'Europa A Bosnia è stato il prifmo tema del G7, anzi del G8 di Denver, con Eltsin unito a Clinton e agli altri in un mònito netto alle parti, perché si decidano a mettere concretamente in atto gli accordi di Dayton, in vista delle elezioni amministrative di settembre. Vale a dire che dovrebbero smettere di boicottarsi a vicenda e procedere realmente verso quella ricomposizione di una comunità multietnica, che era appunto l'obiettivo degli accordi di pace del 1995. Già, la Bosnia. Ce n'eravamo quasi dimenticati. Se Clinton l'ha ritirata fuori, è perché a Washington non si vede l'ora di richiamare in patria gli ottomila soldati americani, e non si vorrebbe farlo in una situazione tornata prossima al caos. Per il momento lo «scenario» non sembra così terribile, ma non è certo ottimista, per il medio periodo, lo svedese Cari Bildt, che venerdì scorso ha ceduto il posto di Alto commissario per gli affari civili allo spagnolo Carlos Westendorp. Secondo Bildt, i serbi e i croati, ma anche i musulmani, tendono a monopolizzare il potere nelle rispettive aree, e tutti si riarmano, invece di disarmare, come se si aspettassero un altro «round» militare. La Bosnia, ma ancora più vicina, nello spazio e nel tempo, è la crisi albanese. Lì si vota addirittura tra sei giorni, e le elezioni sembrano un'incredibile scommessa internazionale, in condizioni locali del tutto assurde. Sempre a Denver, Clinton, ancora, ha tessuto uno straordinario elogio della «leadership» italiana in Albania. Ce n'era bisogno, in un momento in cui, fra l'altro, le nostre truppe scelte e il loro retroterra politico-militare sono in una bufera, probabilmente eccessiva ma inquietante, di accuse e controaccuse, per i precedenti somali. E può anche darsi che poi tutto alla fine vada bene, nel senso che le elezioni, fortemente volute da Roma, si rivelino una svolta positiva verso la normalità. Intanto, però, le bande albanesi sparano e uccidono, e resta da vedere come un futuro governo di Tirana possa, in una qualche autonomia, riprendere il controllo della situazione. La Bosnia, l'Albania... Ma c'è anche, un po' più a SudEst, la Turchia, con ben altre dimensioni geopolitiche, a cavallo tra l'Europa, il Medio Oriente e l'Asia ex sovietica. In Turchia è in atto una crisi, che non è solo di governo, dopo la caduta coatta del ministero Erbakan, ma di carattere storico-istituzionale. Nel solo grande Paese islamico e laico, alleato fedele dell'Occidente, si è vicini a un confronto senza precedenti tra i militari, custodi arcigni della tradizione laica, e il partito neo-islamico, tendenzialmente integralista, di Erbakan. Col rischio che le tentazioni autoritarie dell'esercito, non certo nuove, invece di preservare i caratteri di fondo del regime «occidentale», sia pure con strappi «turchi», irmeschino questa volta un confronto politico-religioso, e anche sociale, di massa. Pensando anche all'Algeria, sul lato opposto del Mediterraneo. E insomma un «arco di crisi» di grosse proporzioni, tra i Balcani e l'Islam euro-asiatico. Si pensi a cosa vorrebbe dire un incendio che andasse dall'Albania al Kosovo e da questo alla ex Jugoslavia, e dalla ex Jugoslavia alla Turchia, fino all'Algeria (con in mezzo regimi arabo-musulmani d'incerta tenuta «moderata», fra i quali la Libia...). Ebbene, se a Denver, Colorado, ci si è ricordati in qualche misura e in qualche modo di tutto questo, partendo dalla Bosnia, ad Amsterdam, Olanda, nel vertice di una settimana fa, il contesto geopolitico dell'Unione europea è stato completamente dimenticato. Si è fatto un importante, pur se faticoso, progresso verso la moneta unica (che, intendiamoci, resta essenziale), ma si è andati al di sotto di ogni previsione, per quanto riguarda l'identità strettamente politica dell'Ue. Speriamo bene, e soprattutto speriamo che, per cominciare, Clinton non ritiri i suoi soldati dalla Bosnia. Aldo Rizzo :ze^J
Persone citate: Bildt, Carlos Westendorp, Clinton, Eltsin, Erbakan
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