D'Alema: sì al carcere duro per i mafiosi di Francesco La Licata

e qui Ma Caselli: nel mondo politico c'è a volte la tendenza a rimuovere la questione criminale D'Alenici: sì al carcere duro per i mafiosi A Palermo il pds tenta la pace con i magistrati PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La «battaglia del terzo livello», secolare dubbio-tormentone sull'esistenza di una supercupola politico-mafiosa che pianifica l'attività consociativa di Istituzioni e Cosa nostra, non si gioca sul piano degli slogans. Per questo motivo, forse, né Massimo D'Alema - segretario del partito di maggioranza e presidente di una Commissione bicamerale in piena trattativa politico-istituzionale -, né Giancarlo Caselli - capo di una Procura della Repubblica ormai simbolo della resistenza alla piovra - cedono alla suggestione di banalizzare una problematica che va ben al di là di un sì o un no, appunto, al «terzo livello». No, lo scontro fra i rappresentanti dei due schieramenti, vicini e lontanti nello stesso tempo - la sinistra di governo e i magistrati delle Procure di frontiera - va avanti su temi più complessi e politicamente raffinati. Per «chiarire» i termini della dialettica, il pds ha scelto la piazza di Palermo, sede sociale di Cosa nostra, e uno dei suoi luoghi più rappresentativi: il teatro Politeama. L'occasione: un convegno sulle «Nuove frontiere della lotta alla mafia» che - al di là di qualunque valutazione di merito - segna un punto a favore di chi l'ha voluto. A Palermo, si sa, i gesti contano e ieri si è verificato, in ogni caso, un evento: i ministri della Giustizia e dell'Interno, della Pubblica istruzione e dell'Industria, il presidente della Camera, il presidente della Commissione antimafia, il presidente della Fiat, che Pietro Folena definisce «la prima azienda del Paese», il segretario del primo partito, del primo sindacato, intellettuali e giornalisti, magistrati, tutti sono «scesi» nel «territorio conteso» a lanciare segnali che, in tutta onestà, la mafia difficilmente potrà interpretare in senso positivo per il proprio futuro. Se si volesse dare una sintesi alla giornata (mterminabile) di ieri, si dovrebbe concludere che interesse di D'Alema era quello di «ricucire» un rapporto coi magistrati, specialmente quelli impegnati nella lotta al crimine. E' riuscita l'operazione? Forse no, nel senso che nessuno è riuscito a convincere la propria controparte. Ma un risultato forse è stato ugualmente raggiunto: quello di chiarire le rispettive posizioni ed aspettative, senza che il dibattito si inaridisse nella rissa, o come suole ricordare Giancarlo Caselli, in una critica «senza rispetto». E' toccato a Pietro Folena, nella mattinata, anticipare il film che si andava a proiettare. E dopo un discorso lungo, sul lungo elenco di «cose fatte» dice: «Siamo stati ingiustamente additati all'indice due anni fa, all'epoca della nuova legge sulla custodia cautelare. In questi mesi è avvenuto lo stesso, prima sulla Bicamerale - ignari del rafforzamento previsto dell'indipendenza del pm rispetto alla Costituzione del '48 - e poi sulla riforma dell'art. 513, norma indispensabile in un Paese civile. La strada, lo abbiamo già detto, è qulla del doppio binario nella lotta alla mafia, per non incidere soprattutto nella procedura penale, sul complesso del sistema». E' questo il terreno dello scontro: le riforme istituzionali e le riforme definite «garantiste». Una divergenza appena attenuata dalle rassicuranti certezze di Luciano Violante sulla volontà di non abbassare la guardia e di non intaccare l'autonomia della magistratura. Non è casuale che Roberto Scarpinato, sostituto di Caselli e pm al processo Andreotti, si sia parecchio agitato sulla sedia commentando ad alta voce che «non basta affermare che non si devono avere sospetti». Rafforzamento dell'autonomia dei magistrati? «Forse allora ha ragione Elena Paciotti quando, con una battuta, dice "No grazie" ed invita a non far nulla per aumentare l'autonomia dei giudici». Sarà D'Alema, poi, a rispondere in modo diretto a Giancarlo Caselli, protagonista di un appassionato discorso sul «gioco grande» cioè sugli interessi non sempre leciti che governano le logiche delle politiche e sull'«anomalia della storia italiana condizionata dall'anomalo peso che l'intreccio criminale ha avuto sulla democrazia». «Nel mondo politico - ha detto il procuratore - c'è a volte la tendenza a rimuovere la questione criminale». La conclusione è sottilmente polemica. Caselli, infatti, commentando gli interventi dell'intera giornata di lavori, definisce i discorsi ascoltati «una importante inversione di tendenza». Non è così per Massimo D'Alema, che ha cercato di far comprendere come la sua posizione, pur vicina alle esigenze dei magistrati, sia diversa per dover tener conto della «necessità di dialogare con gli altri, con tutti gli altri». Ma «essere vicini non vuol dire pensarla allo stesso modo». D'Alema, quindi, affronta apertamente l'argomento che sta alla base di molte critiche inespresse. «Io sono garantista - dice - e chiedo scusa, lo sono non perché voglio mettermi d'accordo con Berlusconi. No. E' perché lo sono davvero». Il riferimento è diretto alla riforma dell'art. 513 ed anche D'Alema, come Folena, mitiga l'impatto con un ricorso alla possibilità del doppio binario, cioè a norme «differenziate» per i reati di mafia. Queste parole, D'Alema, le pronuncia con determinazione, per nulla intimidito dalla contestazione di un giovane che grida: «Vattene a casa di Letta, state rifondando la de». Il clima generale, al Politeama, alla fine tende all'ottimismo, non fosse altro che per l'inferiorità numerica delle voci dubbiose. Il ministro Napolitano avverte: «Nessun abbassamento della guardia, nessuna sottovalutazione». Anche Flick, come D'Alema, dà assicurazioni sul mantenimento del carcere duro per i mafiosi ed auspica l'approvazione della proposta di legge sulle videoconferenze. E Cesare Romiti disegna il «Mezzogiorno» come «una grande opportunità di sviluppo per tutta l'Italia». Francesco La Licata Napolitano: nessuno abbasserà la guardia Flick: presto le deposizioni in videoconferenza

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