Festa blindata dopo la «scomunica»

Cronache IL CASO Ancora polemiche per il no della Curia, il vescovado: «Non è una rottura» Festa blindata dopo la «scomunica» Niente messa alla Miroglio, vigilantes agli ingressi UNA GUERRA SULLE COLLINE ALBA DAL NOSTRO INVIATO «Era ora...». Per i pensionati che passano il sabato pomeriggio sulle panchine di piazza Savona, il «non possumus» con cui il vescovo di Alba ha sconsacrato la festa di Franco Miroglio, è arrivata anche troppo tardi. «Non si va a dir Messa a casa di uno così. Quello è un industriale, e gli industriali pensano solo a se stessi...». Il giorno della polemica, nel centro di Alba, scorre con la sottile soddisfazione che prova la gente comune quando vede un gigante in difficoltà. Poco importa che, solo tre anni fa, quello stesso «industriale egoista» abbia fatto incetta di voti finendo dritto a Montecitorio. «E meno male che diceva di essere leghista», butta lì un ragazzo con il cranio a spazzola, fermando per un attimo lo struscio senza meta in via Vittorio Emanuele. Franco Miroglio, per la gente di Alba, ha il torto di parlare troppo. Più che la chiusura della fabbrica di Cortemilia, più che la velata minaccia di trasferire tutto all'estero, più che le lettere ai dipendenti in cui scrive che l'unica cosa che conta è la sua Azienda, scritta rigorosamente con la A maiuscola, i suoi concittadini sembrano non perdonargli un paio di dichiarazioni a un settimanale locale: «Quando vedo le campagne del Sud mi tornano in mente le mie Langhe...», disse una volta, pungendo l'orgoglio di questa gente che considera le proprie colline le più belle del mondo. «Gli operai del Sud lavorano più di quelli piemontesi», aveva insistito, provocando la sdegnata reazione del sindacato. «I turchi sono uomini come noi», aveva spiegato per illustrare i suoi piani di espansione all'estero, accompagnati da una tabella da cui traspa- riva che quegli «uomini come noi» erano disposti a lavorare per la metà del compenso. Ieri pomeriggio, alla «Sagra dell'anziano» - il nome incredibile con cui la Miroglio celebra ogni anno le premiazioni aziendali non c'era molta voglia di scherzare. Sui colli di Verduno, il locale che ospita la festa è blindato da una squadra di vigilantes in divisa, resi più truci da un basco rosso calcato sul cranio. Lontano dai blocchi, però, qualcuno si lascia andare. «Forse il clero ha finalmente cambiato posizione», dice uno degli invitati, riconosciuto in città dal pass rosso sul parabrezza, lo stesso che in mattinata era stato ritirato a giornalisti e fotografi. «E pensare - continua - che soltanto qualche anno fa la raccomandazione migliore per essere assunti era quella del parroco...». Il clero di Alba non ha voglia di fare polemiche. Sacerdoti e prelati parlano controvoglia, nonostante gli applausi di monsignor Bettazzi, un altro che ha avuto i suoi bravi contrasti con il mondo del lavoro: «Se hanno preso la decisione di non celebrare quella messa - spiega il vescovo di Ivrea - è stato per evitare ogni strumentalizzazione. Non si poteva dare ai dipendenti l'impressione che le discutibili dichiarazioni dell'imprenditore avessero l'approvazione della Chiesa». Nessuno, comunque, fa marcia indietro: «Qualcuno doveva pur dirglielo», confida monsignor Giovanni Battista Gianolio, l'uomo che in assenza del vescovo Sebastiano Dho ha pronunciato il gran rifiuto. Una svolta a sopresa, visto che tra il vicario della diocesi e il re del tessile la collaborazione era di lunga data. Sono molti gli operai della Miroglio, infatti, a essersi formati alla scuola professionale che proprio Gianolio aveva fondato negli anni in cui era cappellano del lavoro. «La nostra non è una rottura - spiega - ma un invito alla riflessione, un segno per aprire il dialogo. Non è cristiano sostenere che gli interessi di un'azienda sono più importanti degli uomini che ci lavorano». Sulla stessa linea don Celestino Grillo, il parroco del Divin Maestro che avrebbe dovuto celebrare la Messa aziendale. Secondo qualcuno sarebbe stato proprio questo prete, reduce da un lungo periodo di missione in Brasile, a sollevare il caso con la Curia. «Non è vero - dice lui, cortese ma fermo nel rifiutare un commento - Questa non è una questione personale. Non esiste una "mia" posizione, esiste soltanto la posizione della diocesi di Alba. Che naturalmente io condivido...». Il «no» del vescovo ha colpito Miroglio, che in mattinata aveva telefonato in Curia per spiegare le proprie ragioni. Si dice che abbia persino cercato un sacerdote «dissidente», per celebrare comunque la messa proibita. Tutto inutile, ma la delusione non è stata così pesante da convincerlo a porgere l'altra guancia. Anzi: «Mi spiace ha attaccato dal palco, davanti a un microfono che portava all'esterno l'eco delle sue parole -. Ma non sono d'accordo con chi pensa che affermare che difendere l'azienda sia una bestemmia. E i sindacati devono smetterla con le solite manfrine: al Sud ci siamo andati con i nostri soldi, fregandocene di tutte le raccomandazioni, quelle del vescovo e quelle dei sindacalisti. Abbiamo fatto gli gnorri ed è stato questo che ci ha premiato...». Parole pesanti, che certo non aiuteranno a spegnere una polemica che le autorità di Alba hanno cercato in tutti i modi di frenare. «Non sono d'accordo sul 99 per cento di quello che ha detto Miroglio - spiega dal centro il sindaco Enzo Demaria, un popolare che guida la giunta ùlivista -. Ma dobbiamo ammettere che qualche verità c'è: il mondo dell'industria non è più quello di una volta, ma le scelte devono essere graduali. Non possiamo permetterci traumi improvvisi». E da sinistra gli fa eco il presidente del Consiglio regionale Giancarlo Bongioanni (leader di Alleanza per Alba): «La nostra diocesi è sempre stata sensibile e coraggiosa - dice -. Per questo la protesta del vescovo non mi ha sorpreso. Certe posizioni sono di grande arretratezza: Miroglio è un grande industriale, ma l'economia di oggi è una catena dove ognuno è legato agli altri. Togliere U lavoro a qualcuno si glifica danneggiare tutti, anche l'impresa». I sindacati, intanto, hanno preparato una lettera che nei prossi mi giorni arriverà sulla scrivania di Miroglio: «Caro ragioniere scrivono - è evidente che anche il più basso salario nazionale o la benché minima regola di rispetto civile applicata in Italia ci renderebbe comunque meno competitivi dei lavoratori che prestano la loro opera a salari da fame come avviene nei Paesi che lei cita co me esempio. E poi ci spieghi una cosa: come potrebbe im Occidente avvilito e impoverito rimanere il maggior consumatore dei suoi prodotti?». Come dire: è troppo comodo far lavorare i turchi e poi pretendere di vendere ai piemontesi... Guido Tiberga L'industriale avrebbe cercato un prete dissidente per la cerimonia agli anziani «Una volta assumevano . grazie anche alle raccomandazioni dei sacerdoti» L'IMPERO MIROGLIO 15 STABILIMENTI IN ITALIA Alba, Saluzzo, Bra, Pollenzo, Novello, Cortemilia, Castagnito, Guarene, Govone, Castagnole Lanze 3 in Puglia 1 in Abruzzo 1 in Basilicata 10 STABILIMENTI ALL'ESTERO 3 in Germania 3 in Tunisia 1 in Francia 1 in Grecia 1 in Egitto 1 in Marocco 3100 DIPENDENTI IN ITALIA 3000 DIPENDENTI ALL'ESTERO FATTURATO 1330 miliardi (1996) UTILE NETTO 58 miliardi A destra un vigilante con il basco che blocca gli ingressi alla festa della Miroglio. Nella foto grande un'immagine di uno degli stabilimenti del gruppo tessile