Boutros Ghali: perché mi hanno licenziato

Estero INTERVISTA «Volevo un Palazzo di Vetro indipendente. Un Paese guida per il mondo non ha più senso» Boutros Ghali; perché mi hanno licenziato «Ho una visione dell'Orni opposta a quella degli Usa» L'EX SEGRETARIO DELLE NAZIONI UNITE SAINT-VINCENT DAL NOSTRO INVIATO Parla dell'Orni con fair-play, ricorda le «elezioni perse» per il secondo mandato alla Segreteria, e non cerca aggettivi per gli americani che sul suo nome hanno messo il veto. «Nemici? Ma no, ho tanti amici negli States, anche al governo. E poi in politica i nemici non esistono». Boutros Boutros-Ghali adesso è «Excellence», «sua Eccellenza», oppure «President», presidente della «Sid» (Society for International Development), con sede a Roma. Scopo sociale, la promozione «dei cambiamenti che abbiano come effetto l'emergere di un mondo più incentrato sull'uomo». Perché quel veto degli Stati Uniti? «Per una visione diversa». Della politica mondiale o del ruolo degli Usa? «Diciamo del ruolo dell'Orni. Io lo volevo più indipendente, ho lavorato come Segretario anche per questo. Ci ho creduto». Indipendente dagli Stati Uniti? «No, dagli Stati. Nel senso che oggi ci sono più soggetti, più attori della politica internazionale. E non ha più senso... anzi, non dovrebbe più averne, il ruolo di un superStato, di una nazione guida per il mondo intero». Eppure il Presidente americano Bill Clinton si pone alla guida del sistema globale. Lo ha fatto anche al G7, a Denver. «Non credo sia questo il punto. Oggi si parla di globalizzazione, la gente segue questa evoluzione del sistema nel pianeta, ma non è così. 0 meglio, non esiste una sola globalizzazione, ogni settore tende a una pianificazione mondiale. Posso fare dieci o venti o trenta esempi, insomma si può fare un lungo elenco. E' un errore semplificare, così come lo è cre' dèàre in un superStato^ E allora qua! è il vero problema? «Le varie globalizzazioni viaggiano a velocità diverse, la comunicazione, per esempio, è supersonica, la sanità viaggia invece in modo lento e così via. Bisogna dare equilibrio al sistema e soprattutto rendersi conto che non esistono più soltanto gli Stati». Lei parla di nuovi attori, quali sono? «Le multinazionali, le società finanziarie, quelle come la Sid che fa JfiiAffipresiedo, ma anche i Comuni, dico delle grandi città, o ancora le comunità che si stanno formando in tutto il Mondo». Entità non considerate? «Sì, non se ne sente mai parlare in questi termini, non se ne legge sui giornali sovente, per esempioMa qui sta il problema, i rapporti sono cambiati, non è una questione soltanto di governi. Per questo giro tutto il mondo a fare conferenze, a incontrare politici e partiti. Anche negli Stati Uniti, dove sono stato invitato dai democratici. E poi c'è l'Africa». Cioè? «E' il continente più povero e più dimenticato. Lo ricordo ogni volta che si riuniscono i Paesi più industrializzati, a ogni vertice del G7 mando una lettera, documenti». Il Presidente Clinton ha però varato una sorta di «piano Marshall» proprio per gli aiuti all'Africa. «Non lo conosco tecnicamente. Certo sono contento che si riparli di Africa, ma sono parole. Ci sono molti modi per aiutare chi è in difficoltà e non sempre è soltanto una questione di soldi. Ci vogliono tecnologia e formazione, ad esempio. E soprattutto ci vuole la volontà d'intervenire e io finora non l'ho mai vista. Anzi, dopo la caduta del muro di Berlino gli occidentali hanno la percezione che tutto vada per il meglio. La realtà è che i Paesi poveri, come l'Africa, vivevano sulla contrapposizione Est-Ovest, ciò che non dava l'Unione Sovietica davano gli Stati Uniti, per un gioco di potere, per competizione insomma. Adesso l'Africa è semplicemente dimenticata. Il Nord non si interessa più al Sud, ecco di che cosa mi occupo, di far dialogare Nord e Sud del mondo». Lavora per un federalismo globale? «No, direi per una democrazia mondiale che cerchi di far inte¬ grare tra loro i vari attori del nuovo sistema. Al federalismo ho creduto, ma è una "fede" che ho ehminato 25 anni fa, troppo complicato raggiungerlo. Ora credo sia venuto il momento di compiere operazioni transnazionali in questo quadro nuovo». Lei parla di gruppi, di comunità, di élite? «Di gruppi come i francofoni, come gli anglofoni, di entità sovrannazionali che sono tra quei nuovi attori di cui dicevo. La democrazia globale poggia sulle diversità, su una politica delle diversità». Ma non è una strada pericolosa? «Direi l'esatto contrario. Non intendo la supremazia di una lingua o di un popolo che domini e cancelli le altre identità come teorizzava Hitler, intendo la diversità così come si può organizzare nella realtà, un'unione di popoli che vivono in Paesi diversi pur parlando la stessa lingua, pur avendo la stessa matrice culturale». Come i francofoni raggruppati dal FFA, dal Forum francophone des affaires, che conta 49 Paesi? «Certo è un esempio. Ma analoghe iniziative vi sono in Spagna o in Portogallo e, come è ovvio, tra le popolazioni di lingua inglese. E' così evidente che abbiamo di fronte un problema sovrastatale. Questa è la realtà che rischia però di essere annullata dalla globalizzazione». Questi nuovi gruppi internazionali sono dunque il rovescio della medaglia della globalizzazione? «Diciamo che sono i "figli buoni". Un antidoto al mondo uniforme, dominato da un pensiero unico». Enrico Martinet «Oggi ci sono più soggetti della politica mondiale: le multinazionali le società finanziarie, le comunità e anche i Comuni delle grandi città» «La globalizzazione? Non ce n'è una sola. Ogni settore tende a una pianificazione mondiale Semplificare è un grave errore» «Il piano di Clinton per l'Africa? Solo parole. Il Nord non si interessa più al Sud. E io tento di far dialogare il Nord e il Sud» «I Paesi poveri vivevano sul confronto Est-Ovest: ciò che non dava l'Urss lo davano gli Usa. Ora sono dimenticati» Boutros Ghali a Sarajevo e nel suo ufficio al Palazzo di Vetro A destra Clinton

Persone citate: Bill Clinton, Boutros Boutros-ghali, Boutros Ghali, Clinton, Enrico Martinet, Hitler