LE FACCE IN TV Come sono invecchiati quei potenti in esilio di Irene Pivetti

F LE FACCE IN TV Come sono invecchiati quei potenti in esilio Irene Pivetti VEVA ragione Andreotti b.(che comunque, a scanso di equivoci, non c'era). Il potere logora chi non ce l'ha. Cinque anni di non-potere sono passati come ere geologiche sulle facce dei camaleonti democristiani, che per decenni - i decenni dei confronti, delle autoblù e dei «non possiamo non ritenere» - erano rimaste sempre uguali a se stesse. Visti da vicino (come direbbe sempre lui, il più democristiano della combriccola) i notabili che Buttiglione ha riunito all'Ergife per una sorta di Grande Freddo democristiano hanno perduto quella luce che un tempo li illuminava, quell'energia vitale che coniugava l'ambizione al senso di una superiore impunità. Il crollo è stato innanzitutto fisico. La perdita del potere li ha colpiti come gli uomini normali quella di una persona amata. Appaiono letteralmente dimezzati, rinsecchiti e svuotati come borse sgonfie. Una rassegna di facce smagrite a congresso, che la tv viviseziona con la crudezza ineluttabile dei suoi primi piani. La sordità estenuata di Flaminio Piccoli, le cui gote incartapecorite assomigliano a certe antiche pergamene che solo a sfiorarle finiscono in briciole. Alle domande dei giornalisti risponde invariabilmente: «Eh?». E poi le dita tremanti di don Antonio Gava, la metà del Gava che fu e che si lasciava baciare le mani grassocce dai suoi clienti sudati e vogliosi di piacere: oggi costoro rischierebbero di tagliarsi le labbra su quelle nocche ossute. E ancora l'occhio stanco e la palpebra pesante di Remo Gaspari, l'ex duca degli Abruzzi, che una volta aveva l'aria sonnacchiosa e felpata del gatto mentre adesso la felinità è scomparsa e rimane solo la sensazione di un intontimento da crisi digestiva. La più segnata di tutti è Irene Pivetti, che ha vissuto in due anni le emozioni che gli altri reduci hanno ammortizzato in una vita. Quindici mesi fa era ancora la terza carica dello Stato, fermata Flaminio Piccoper strada da folle osannanti a caccia d'autografo. Adesso, biancovestita come una suora in borghese ma a gengive sguainate come Sharon Stone, si agita davanti a ogni telecamera accesa o sul punto di esserlo, per nulla imbarazzata dalla compagnia e ripetendo a tutti i microfoni: «Noi faremo, noi diremo», come se la nuova Balena fosse lei. Infine Arnaldo Forlani, che non appariva in pubblico dall'interrogatorio di Milano e lì per lì sembra persino ringiovanito rispetto a quel giorno memorabile, quando Di Pietro gli fece venire la bava alla bocca e le sue labbra biascicanti e biancastre divennero come la canotta di Craxi al congresso so- cialista di Bari: il segnale della fine di un'era. In realtà è invecchiato anche lui, i capelli sempre più bianchi, le rughe più profonde e sottili, lo sguardo assorto che a volte sembra soprattutto assopito. Sono tornati ma non hanno cambiato idea, né linguaggio. Forlani impiega venti parole «personalità anche autorevoli che ai diversi livelli istituzionali pur avendo piena consapevolezza della verità hanno lasciato accreditare...» quandone sareht be bastata una, Scalfaro: accusato di non aver difeso la tesi, smentita da fior di sentenze, che i finanziamenti alla de non erano mazzette ma contributi volontari. No, non era il ritorno della de stucchevole ritornello da politologi - quello che si leggeva sulle facce ammainate dei notabili del Partitone che fu. La de non tornerà, semplicemente perché non se n'è mai andata: i presidenti della Repubblica, del Senato e del Consiglio sono de, come almeno la metà degli apparati dello Stato. Compresa la tv, che infatti chiosava i (brevi) servizi dedicati a Forlani con le immagini di un godutissimo Prodi in poltrona con Clinton e con la foto ufficiale di una stretta di mano fra Mancino e Scalfaro. Freschi e paffuti come rose appena sbocciate. Massimo Gramellini lini Irene Pivetti Flaminio Piccoli

Luoghi citati: Bari, Milano