Un abbraccio in carcere

15 Un abbraccio in carcere Primo incontro tra Scattone e il padre ROMA. Per 45 minuti, per la prima volta dopo l'arresto, il padre e il figlio si sono incontrati ieri mattina a Regina Coeli. «Credevo che ci saremmo emozionati. Io questa notte ho lavorato fino alle 5. In questi giorni non ho fatto altro che inseguire pensieri e questioni pratiche. Lui aveva sì la barba un po' lunga. Mi è parso un po' dimagrito. Ma ha detto che sta bene e lo trattano bene. Ci siamo comportati come se ci fossimo rivisti a casa dopo una normale assenza di uno dei due. Anche se coscienti, tutti e due, della diversa situazione. Nessuna domanda, nessun commento da parte mia sulle accuse che gli vengono rivolte» dice Giuseppe Scattone, passandosi una mano stanca sui capelli. E' un ingegnere che da anni vive di traduzioni. Un uomo del Sud, figlio di un pugliese e un'irpina. «Mia madre all'inizio del secolo ha studiato a Napoli, all'Istituto Suor Orsola Benincasa. E da febbraio Giovanni seguiva lì un corso postlaurea, forse ha preso posto nello stesso refettorio dove lei andava a tavola con le sue compagne» sorride. Nella casa all'Eur, dove il figlio minore è nato e dove è morta otto anni fa la moglie, scrive e lavora. I condomini gli fanno scudo, alcuni con le lacrime agli occhi soltanto ad accennare a quanto sta succedendo. Alcuni, quelli dove più spesso viene invitato a cena, si contendono - come per gioco - la palma della preferenza. Consuetudini che non travalicano la riservatezza. «Anche con mio figlio non ho mai fatto intrusioni nella sua vita. Giovanni pure per i fratelli sempre è rimasto il minore. Ci vedevamo la sera. Parlavamo di studi. Ho sempre cercato di conservare quel rap¬ porto a tre che è esistito fra noi finché mia moglie - una persona straordinaria - è rimasta in vita. Mai chiedevo di questo o di quella, ma lo seguivo ugualmente, prendevo nota. Non che fosse chiuso. Era riservato. Ci rispettavamo. Con molto affetto. Sapevo che in tanti lo conoscevano e lo frequentavano, e lo capivo più dalle telefonate che arrivavano e dai ragazzi che mi salutavano per strada che dai suoi racconti. Dava delle cene, magari per dieci persone, quando ero lontano. E gli dicevo: "Ma perché non lo fai quando ci sono io?". Erano battute. A noi piace molto scherzare. Anche prenderci in giro. Sono sempre stato disponibile con i suoi amici: una ragazza qui ha scritto la sua tesi, uno veniva a consultare dei libri, uno si faceva aiutare col tedesco. Ragazzi perbene. Tipi loschi non ne ho mai visti con lui. Quel Ferraro lo conoscevo per telefono. Gentilissimo. Una volta che i suoi genitori vennero a Roma e invitarono Giovanni, lui mi disse: "Gente che piacerebbe anche a te, gente all'antica"». Una vita fra i libri. «Non sono mai andato da un avvocato. Quando s'è trattato di averne uno, adesso, ci hanno pensato gli amici della parrocchia e quel mio figlio che vive in Puglia a sceglierli». Nessuna dimestichezza con armi e poliziotti. «Cosa ne so cosa hanno fatto in quelle ore che hanno perquisito la casa? Se uno mi chiedeva di andare al bagno, cosa facevo, gli andavo dietro?». Una grande liberalità. «Quando Giovanni mi ha detto che voleva fare il ricercatore, alla pari del fratello Francesco, quello che è matematico e vive in America, gli dissi: "Ma non vedi quanti sacrifici gli tocca fare e come invece è diversa la vita dell'altro tuo fratello, Mauro, che neanche è laureato?". Il discorso non gli fece cambiare idea. I soldi non gli interessavano. Pensava alla sua passione, la ricerca. Allora conclusi: "Lunga vita all'ingegner Scattone, che ti dovrà mantenere agli studi fino a 40 anni!"». Nel colloquio a Regina Coeli il timbro di questo intenso e raffinato rapporto non è cambiato. La sua fiducia nel figlio, assoluta, neanche è sfiorata da un'ombra. «Abbiamo parlato di cose personali. Di salute. Degli oggetti che gli possono servire. Dei ragazzi che si sono offerti di portargli la roba. Di Francesco che telefona tutte le sere. Di Mauro che arriverà lunedì e forse andrà al mio posto al prossimo colloquio. Della zia, l'unica sorella della madre, che ogni giorno chiamo ad Ascoli e che tiene i rapporti con quel ramo della famiglia. Dei suoi studi, dell'esame per il dottorato di ricerca che doveva sostenere proprio due giorni dopo. Le cose della famiglia e della quotidianità. Di quella che, per ora, è la nostra realtà». Liliana Madeo li Giovanni Scattone tuttora detenuto

Persone citate: Di Francesco, Di Mauro, Ferraro, Giovanni Scattone, Giuseppe Scattone, Liliana Madeo, Orsola Benincasa, Scattone

Luoghi citati: America, Ascoli, Napoli, Puglia, Roma