Hong Kong addio regina

Estero La parola «Royal» scompare dalle cassette postali e da tutti gli edifici pubblici Hong Kong, addio regina Fra 10 giorni il passaggio alla Cina HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Su alcuni grattacieli sono state installate gigantesche luminarie per scritte celebrative che si accenderanno al momento dell'evento, la sera del 30 giugno, quando a mezzanotte tenninerà il dominio britannico e Hong Kong sarà riunita alla Cina. Dalle cassette postali si sta togliendo la corona e l'attributo «reale» del servizio. H Jockey Club, secolare ed esclusivo, non è più «Rovai», come non lo saranno più il Golf Club, la società per la protezione degli animali, la polizia, decine di altri enti e istituzioni. Rimane «Royal» lo Yacht Club, i cui soci per due volte hanno respinto la proposta di eliminare l'etichetta coloniale, ma pensano di offrire al presidente cinese Jiang Zemin il titolo di contrammiraglio onorario. Resta intitolata alla regina la via principale, Queen's Road, così come conservano nomi britannici tante altre strade, affollate di cinesi fra cui aumentano quelli che non li sanno pronunciare: per gli immigrati in crescita l'inglese non è più importante. Nelle aule di giustizia i giudici dagli occhi a mandorla, tutti di formazione britannica, siederanno ancora con la parrucca bianca, ma dalle pareti verrà tolto l'emblema reale. In alcuni negozi, paccottiglia decorativa con la data del passaggio di poteri, e magliette con scritte irriverenti: «1° luglio-hangover», cioè mal di testa, con gioco su «handover», il passaggio di sovranità; oppure «Uh Paese, 1997 sistemi», in riferimento al detto di Deng Xiaoping «un Paese, due sistemi», secondo cui Pechino lascerà a Hong Kong piena autonomia, salvo difesa e politica estera, per i prossimi 50 anni. Nella caserma Principe di Galles, sgomberata dalle forze britanniche, si è installato il primo contingente di circa duecento soldati dell'Armata popolare di liberazione, venuti a predisporre l'arrivo della guarnigione, che sarà dai cinque ai diecimila uomini. I duecento non sono armati, hanno solo compiti logistici, non si fanno vedere in giro, ma si sono già fatti notare. H loro comandante ha protestato duramente perché al confine la dogana li voleva ispezionare. Ai doganieri è stata diramata una lista di 29 automezzi dell'armata cinese che dovrebbero essere esenti da controlli. E' scoppiata una vivace polemica contro i privilegi che l'armata vorrebbe da subito stabilire per se stessa, come in Cina, in una Hong Kong abituata al principio dell'uguaglianza davanti alla legge. E' un incidente minore, che le pulsioni sotterranee amplificano facendo affiorare la grande questione inespressa: e cioè se a partire dal primo luglio il passato di Hong Kong abbia un futuro. Che cosa avverrà, quando dopo 150 anni tornerà alla Cina, di questa città cosmopolita, ricca, vibrante, col suo pluralismo e istituzioni di libertà, coi suoi scintillanti grattacieli da dove si opera sull'intero globo? Che cosa sarà di questa «perla d'Oriente», «porto fragrante» come dice il suo nome, una volta ricongiunta a una Cina che malgrado le riforme resta autoritaria, con un sistema in cui è dominante l'economia di Stato, con corruzione diffusa e connessioni politiche e personali prevalenti sulla legge? Le risposte si legano a una questione opposta e di importanza ben maggiore, fondamentale: che cosa sarà della Cina a partire dal primo luglio? Già la vicina regione di Canton è per molti versi una clonazione di Hong Kong. La domanda è il ruolo che lo spirito liberista di Hong Kong, la sua cultura e mentalità senza vincoli politici potrà avere nell'evoluzione politica ed economica cinese. La Gran Bretagna ammaina l'ultima bandiera a Est di Suez consegnando alla Cina una colonia la cui storia non è di sfruttatori e sfruttati. Hong Kong è divenuta grande grazie all'opera di centinaia di migliaia di rifugiati, fuggiti dalla madrepatria nel '49 a cercar scampo nel dominio coloniale; gente che con sacrifici e spirito di iniziativa ha ricostruito immense fortune in un ambiente che ha garantito stato di diritto, bu¬ rocrazia efficiente e incorruttibile, sana gestione della cosa pubblica, e i cui valori sono stati assorbiti pur nel culto delle proprie tradizioni. Per i trent'anni di convulsioni della Cina maoista Hong Kong è stata rifugio per tanti, speranza per innumeri. Negli ultimi vent'anni è stato il maggior fattore di sviluppo della madrepatria, in un intreccio di rapporti economici grazie ai quali ha raggiunto livelli di ricchezza superiori al Paese dominante. Mentre in Europa si lotta con deficit di bilancio, Hong Kong ha avuto nel '96 un surplus di oltre due miliardi di dollari, che per quest'anno saliranno a cinque, permettendo forti sgravi fiscali. Le riserve sono di 60 miliardi di dollari, al settimo posto nel mondo. Il reddito pro-capite è di 25 mila dollari, secondo in Asia al Giappone, superiore a molti Paesi europei. Un quarto della popolazione giovanile è laureato nelle Università locali o nelle rnigliori di Stati Uniti e Inghilterra. Negli ultimi dieci anni, lo sviluppo è stato mediamente del 6,5 per cento, due volte e mezzo quello dei Paesi Ocse. La durata media della vita è tra le più alte, 76 anni per gli uomini e 81 e mezzo per le donne. Con 6 mihoni di abitanti, Hong Kong ha da sola un prodotto lordo pari a un terzo di quello cinese; è all'ottavo posto nel commercio internazionale, il suo porto è al primo posto per i traffici, il suo aeroporto al terzo, e salirà l'anno prossimo al secondo con quello nuovo, e in cui sono stati investiti venti miliardi di dollari; la Borsa è al quinto posto, seconda in Asia dopo Tokyo. Qui si ha la più alta concentrazione di Rolls Royce: 16 mila, oltre l'I per cento dell'intera produzione di tutti i tempi. E si ha anche la più alta densità di abitanti, 5780 per chilometro quadrato. E' una delle città più sicure, con basso tasso di criminalità. Tra le infrastrutture più ardite di trasporto pubblico, una colossale scala mobile all'aperto che dal mare sale alle colline per 800 metri tra grattacieli e vicoli, trasportando 200 mila persone al giorno. Gli inglesi, ormai esperti in partenze, se ne vanno con decoro e dignità, lasciando a Hong Kong una eredità storica che contraddice tutti gli stereotipi sul colonialismo. Lo sviluppo è stato impetuoso soprattutto da fine Anni 70, con l'inizio delle riforme a Pechino, grazie al possente polmone cinese alle spalle. Ma ciò è accaduto proprio perché Hong Kong era britannica. Pechino ne esalta oggi il ritorno, come chiusura della ferita coloniale, riscatto supremo dall'umiliazione subita dalla Cina un secolo e mezzo fa. Ma la Hong Kong colonia con le sue visioni intemazionali, il suo spirito d'impresa, il suo ordinamento, i suoi meccanismi finanziari, ha avuto ruolo primario nella crescita della Cina. Per questo il passaggio di sovranità, fissato fm dal 1984, suscita l'interrogativo se il passato di Hong Kong avrà un futuro, e se il futuro della Cina sarà il passato di Hong Kong, nel senso di turbinosa modernizzazione, sviluppo, pluralismo, diritti civili, Ubera circolazione non solo di merci e capitali, ma di idee e informazioni. Sul piano economico l'integrazione è in atto da tempo, e se ne vedrà la dimensione. L'incognita è il nuovo quadro politico: per le sue influenze non solo sull'ex colonia, ma sulla Cina. Fernando Mozzetti La colonia attende la transizione con calma, turbata soltanto da qualche frizione con i 200 soldati di Pechino già arrivati Hong Kong vista da un elicottero britannico e (a destra) il presidente cinese Jiang Zemin

Persone citate: Deng Xiaoping, Fernando Mozzetti, Jiang Zemin