L'accusato a Livorno L'ex moglie mi pareva un tipo irreprensibile di Chiara Carenini

L'accusato a Livorno L'accusato a Livorno L'ex moglie: mi pareva un tipo irreprensibile LIVORNO Una foto di sevizie NOSTRO SERVIZIO Caserma Ruspoli, comando della brigata Folgore, venerdì 20 maggio. Sono le 11 del mattino quando il capo di Stato Maggiore della brigata Gianfranco Bertolini scandisce lentamente per telefono queste parole: «Il maresciallo Antonio Meligeni è stato richiamato in Italia per un opportuno chiarimento». I nervi sono tesi, le parole escono male. Perché quelle foto, quelle del check point «Demonio» sono le immagini che bruciano di più, quelle che fanno più male. Antonio Meligeni, classe 1964, caporalmaggiore in Somalia, di stanza al 187° battaglione paracadutisti Folgore, mortaista. Impegnato nella missione Ibis. Secondo quello «Stefano» che ha portato le foto al settimanale Panorama, Meligeni è il militare che impugna la fotoelettrica per illuminare un'immagine di grande violenza. Fino a ventiquattr'ore fa, Meligeni era a Tirana, Albania, per una missione di pace difficile, politicamente importante e delicata. La missione «Alba», per Meligeni, è terminata dopo venti giorni. Sospeso dalle sue funzioni dal comando generale, richiamato a Livorno, caserma Pisacane, a pochi metri dal comando brigata. Sono le 17, ancora davanti alla caserma Ruspoh: il capitano Franco Matonti che tiene i contatti con l'esterno dice: «Perché aspettate qui Meligeni? Non fa parte delle nostre prerogative convocare un militare impegnato in una missione». A Rosignano Solvay, il paese della fabbrica, le spiagge sbiancate dalla soda, ricordano il paracadutista «come gentile. Ma - aggiungono con un poco di sarcasmo - si dice sempre così». E l'ex moglie, separata ormai da sei mesi, la casa di via della Costituzione 17 in vendita, continua la sua vita da poliziotto della stradale a Cecina. «Fino a che è stato con me, Antonio era irreprensibile. Ma non sono più sua moglie e lui non è più mio marito». Caserma Ruspoh', ore 19.1 giovani para rientrano dalla liberaTuscita. Occhi bassi, qualche gomitata, i sorrisi pieni di sarcasmo per chi ha ancora il coraggio di gonfiare il torace sotto le magliette verde militare. Meligeni, se lo ricorda? «No, era di stanza da un'altra parte con la Ibis». Meligeni: «Ma sta in Albania, altra storia, quella, altra cosa. Eppoi figuratevi se lo portano qui, magari va a casa sua». «Casa sua» è il 187° reggimento Folgore, alla caserma Vannucci, il lungomare, appena usciti dal caos di una Livorno già in vacanza. I para della truppa spariscono uno dopo l'altro dietro al cancello elettrificato della caserma che si chiude con ritardo a nascondere la calma e la quiete apparente del giardino di Villa Orlando, sede del comando. L'imbarazzo dei giorni scorsi è sparito e ha lasciato il campo alla tensione, ai nervi scoperti. Esce con la Croma dell'esercito il colonnello Bertolini, gli occhi abbassati a leggere un fascicolo, e si fa bloccare il traffico di viale Marconi dal piantone per non restare troppo tempo esposto a quel nugolo di fotografi. Caserma Ruspoli, ore 19,30. Arriva la notizia che Meligeni è arrivato a Pisa con un elicottero militare proveniente da Roma, dove è atterrato nel primo pomeriggio con un aereo militare proveniente da Tirana. Chiara Carenini Una foto di sevizie