Delitto di Marta, prime scarcerazioni di Flavia Amabile

Roma: accusati di favoreggiamento, secondo i giudici non possono più inquinare le prove Roma: accusati di favoreggiamento, secondo i giudici non possono più inquinare le prove Delitto di Marta, prime scarcerazioni Rimessi in libertà i due direttori e la segretaria ROMA. Avviato ormai verso le aule dei tribunali, il giallo della Sapienza. Invece degli arresti annunciati nei giorni scorsi, si è arricchito ieri ài tre provvedimenti di scarcerazione, oltre ad un nuovo, brevissimo interrogatorio per Marianna Marcucci. Sono stati rimessi in libertà il direttore dell'istituto di Filosofia del Diritto Bruno Romano, il direttore della biblioteca Maurizio Basciu, la segretaria Maria Urilli. Si trovavano agli arresti domiciliari con l'accusa di favoreggiamento nei confronti dell'omicida di Marta Russo. Oltre a rivelare di aver visto la mattina del 9 maggio il ricercatore Giovanni Scattone spa- rare e poi riporre la pistola nella Iborsa del suo collega Salvatore Ferrara, la segretaria Gabriella Alletto aveva spiegato di aver raccontato tutto a Basciu e Urilli. I due hanno negato e chiesto un confronto con Gabriella Alletto. Da ieri sono in libertà. In realtà secondo gli inquirenti restano indagati a tutti gli effetti, ma non possono più inquinare le prove e neppure contribuire a intralciare le indagini. Secondo i difensori si tratta, invece, di un primo passo verso una soluzione definitiva della questione. Difficile dire chi abbia ragione, se si tratti di un passo indietro o avanti. Come è difficile dire alcunché in questo strano giallo senza verità, in cui a sapere che cosa realmente c'è dietro quel proiettile che ha colpito il cervello della studentessa Marta Russo, sono in pochi, molto pochi. Non lo sanno gli avvocati dei due ricercatori arrestati, non lo sanno con certezza gli inquirenti, e potrebbero non saperlo nemmeno Giovanni Scattone e Salvatore Ferrara da sabato notte nel carcere di Regina Coeli. In mancanza di una prova certa, come la pistola, accusa e difesa stanno lavorando ormai per il processo. L'accusa, ovvero polizia e magistrati, sa di non avere moltissimo a sostegno della propria tesi. Può contare su due alibi molto deboli e due testimonianze e mezzo, vale a dire quelle di Maria Chiara Lipari e Gabriella Alletto e quella poi ritrattata di Francesco Liparota, l'usciere-bibliotecario che si sarebbe trovato insieme con i due ricercatori nell'aula 6 di Filosofia del Diritto al momento dell'omicidio di Marta Russo. Vi è poi un biglietto, scritto da Liparota ai magistrati, ammettendo di aver paura e di essere minacciato. Se questi sono i punti forti, l'accusa intende renderli anche più forti, chiedendo al giudice per le indagini preliminari Guglielmo Muntoni un incidente probatorio, per acquisire, già come prova da portare in dibattito, le testimonianze. Sta poi raccogliendo tutte le informazioni utili per dimostrare indirettamente ciò che non riesce a dimostrare direttamente. Sta esaminando vestiti e setacciando case di amici e parenti per trovare tracce di polvere da sparo o della pistola. Sta indagando nella vita privata, negli hobbies, nelle passioni dei due ricercatori per costruire quel vestito di killer che dai racconti di amici e parenti appare di una misura troppo diversa da quella dei due ricercatori. A casa di Renato Ferrara dunque sequestrano agende, bloc notes e due libri. Nell'agenda - rivelava un quotidiano due giorni fa - sarebbe descritta la scena dell'omicidio. Ieri la questura ha smentito, affermando che vi sono però decine di frasi e poesie in grado di lasciar pensare di essere in presenza di una personalità molto particolare e saranno analizzate da uno psichiatra. «Particolari» vengono considerati anche i due libri sequestrati: «La scienza di Dio» e «Il piacere dell'odio». Per quel che riguarda l'arma, gli esami della scientifica sui resti del proiettile hanno fatto ipotizzare una pistola calibro 22 «long rifle», vale a dire una pistola in genere utilizzata nei poligoni. Questo ha lasciato pensare che nell'aula 6 fosse quasi un'abitudine prendere di mira un obiettivo e sparare. Ma al momento è una pura ipotesi, che gli inquirenti non sono ancora in grado di confermare. Fin qui, dunque l'accusa. Un po' poco, afferma la difesa, tanto da aver deciso di non preoccupar- si troppo della debolezza dell'alibi dei due ricercatori: dovrà essere l'accusa a dimostrare la necessità che i due ricercatori debbano produrre un alibi. All'immagine di killer costruita dall'accusa, la difesa opporrà il ritratto di ragazzi-modello che tutti gli amici e conoscenti senza eccezioni hanno disegnato addosso ai due ricercatori. Opporrà la vita irreprensibile di due giovani ormai convinti di essere vittime di una macchinazione, come ha lasciato intendere dal carcere Giovanni Scattone che ieri all'avvocato ha detto: «Mi sembra che qui siano tutti d'accordo per rovinarmi». Se è ormai chiara la lotta in corso tra accusa e difesa, è anche evidente il clima di veleni dell'università La Sapienza. Tra i fiori e i bigliettini posati ogni giorno nel luogo dove è stata ferita Marta Russo è apparsa ieri la denuncia di Antonia Mancino sulle avances compiute da «un sacerdote con un nome prestigioso» nei riguardi della figlia Barbara. «L'ho anche denunciato, ma la polizia non mi ha dato ascolto, può darsi che sia successa la stessa cosa a Marta che assomiglia molto a mia figlia», conclude. Flavia Amabile Ma per gli avvocati è il passo verso una soluzione positiva del caso ilRdcuddhscgAA A sinistra la biblioteca dell'Istituto di Filosofia del Diritto A lato il professor Bruno Romano, direttore dell'Istituto

Luoghi citati: Lipari, Roma