La cena dei compromessi di Augusto Minzolini

La cena dei compromessi La cena dei compromessi ItCavatiere: «L'intesa è cosa fatta» PENNELLA «Radio Radicale ha valore inestimabile» ROMA. «Finalmente la realtà comincia a venire a galla. Anche se il riflesso di regime e il fiele del giornalismo e della politica italiana è quello di cogliere questa occasione per disinformare su Radio Radicale, la Rai lealmente prevede in almeno 25 miliardi l'anno i meri costi di gestione del servizio inventato, creato e fornito oggi da Radio Radicale per 8 miliardi all'anno. La Rai altresì aggiunge oggi giustamente l'esigenza di disporre di frequenze che sul mercato hanno il valore difficilmente stimabile grazie al caos illegale, in cui il regime ha l'interesse di frantumare e atomizzare la radiofonia italiana. Solo per queste frequenze occorrono alcune decine di miliardi». E' quanto afferma Marco Pannella che aggiunge: «A questo punto occorre ben intendersi su cosa significa Radio Radicale, perché l'azienda Radio Radicale e il Centro di produzione che ne è il proprietario ha sul mercato un valore inestimabile per quanto in più di 20 anni ha prodotto e produce sul piano scientifico, culturale, politico ed anche commerciabile e commerciale. Al contrario del costo del servizio che fornisce e che grazie alla Rai oggi è almeno in parte noto». A sostegno di Pannella il senatore Francesco Bosi, ccd, ha giudicato «scorretta ed inopportuna» l'iniziativa Rai per acquistare le frequenze di Radio Radicale. [r. i.] cosa se riuscisse». E tifa per l'intesa anche il maggiordomo personale di Berlusconi che l'altra sera il Cavaliere ha spedito in livrea in via della Camilluccia. Eh già, tutto doveva essere al suo posto, tutto doveva essere impeccabile nel rispetto di quella tradizione della politica conviviale tanto cara alla liturgia democristiana della prima repubblica. L'unico imprevisto è stata l'invadenza dei cronisti che i commensali hanno cercato invano di seminare. Ma i racconti su quei tentativi finiti male («ho pensato di chiamare la polizia» ha confidato tra il serio e U faceto D'Alema) sono serviti a scaldare l'atmosfera, a renderla amicale. Rotto il ghiaccio, tutto è stato più facile. D'Alema è riuscito anche a superare l'ostilità preconcetta verso quel «rompiscatole» (così lo definisce) di Domenico Nania, uno degli accompagnatori di Fini. Così tutti sono partiti difendendo le proprie posizioni, ma presto si sono convertiti alla grande voglia di compromesso che c'era nell'aria. D'Alema è tornato a ribadire la sua preferenza per il doppio turno nei collegi: «Quello è il sistema elettorale che si abbina meglio al semi-presidenzialismo alla francese». Ma quella premessa gli è servita solo per chiedere una maggiore elasticità al Polo sui poteri del presidente: «Dato che non avete voluto la legge elettorale del sistema francese, ora non potete chiedere i poteri che il presidente ha in quel Paese. Ad esempio, non si può accettare che un Capo dello Stato eletto direttamente possa sciogliere le Camere quando vuole. Sarebbe l'inizio di una deriva plebiscitaria». Ancora più rigidi sono stati i popolari. «Guardate - ha fatto presente Marini - che noi abbiamo' concesso tanto, visto che il semi-presidenzialismo non era neanche nella nostra immaginazione». Discorsi forse superflui: sia Fini, sia Berlusconi sono arrivati alla riunione con una gran voglia di raggiungere un punto di mediazione. «Anch'io - ha spiegato il Cavaliere - non voglio dare al presidente un potere assoluto di sciogliere le Camere: una sorta di scioglimento a piacere contro l'opinione generale. Io voglio salvaguardare prima di tutto le garanzie per l'opposizione». Tira di qua, tira di là, sulla legge elettorale si è ratificato l'accordo su un sistema a doppio turno di coalizione, con l'assegnazione al secondo turno di una «quota di governabilità» per la coalizione vincente. Sullo spinoso problema dei poteri del Capo dello Stato si è convenuto che il presidente non può sciogliere «a freddo» il Parlamento, ma può farlo solo di fronte ad ima crisi di governo o quando si dimostra che la maggioranza non è in grado di funzionare. Per sciogliere le Camere nei casi previsti, il Presidente non ha bisogno della controfirma del premier. Inoltre non presiede il Consiglio dei ministri, ma un nuovo organismo, il Consiglio di gabinetto degli Esteri e della Difesa. Non è ancora stato deciso, però, se sarà solo il Presidente a rappresentare il Paese all'Estero o se potrà farlo anche il premier. Quindi, accordo fatto, ma elastico. D'Alema, infatti, ha spiegato ai suoi interlocutori che il pds presenterà lo stesso un emendamento sul doppio turno nei collegi, il sistema che gli è caro ma che non piace a nessuno («Se non lo facciamo noi lo farà sicuramente qualcun altro»). La stessa cosa farà il Polo sul tema dei poteri del presidente. «Ma sono posizioni di bandiera - ha spiegato Berlusconi - dato che tutti conoscono quali numeri ci sono in commissione». Alla fine, i contraenti del nuo¬ vo patto costituzionale si son lasciati stringendosi la mano e dandosi appuntamento ad oggi per ratificare l'intesa in Bicamerale. L'unico a fare dichiarazioni uscendo è stato Berlusconi. Non ha ascoltato neppure il consiglio del padrone di casa, che lo ha pregato di non fermarsi con i cronisti («Silvio, fila dritto a casa»). Inutile dire che il Cavaliere moriva dal desiderio di annunciare, urbi et orbi, l'intesa: «Ci sono passi avanti perché nessuno ragiona in termini di interessi personali, ma pensa che la nuova Costituzione dovrà durare trent'anni». Lui, Berlusconi, è quello che ha più fretta. Un'intesa sulla Bicamerale significa anche un'intesa sull'emittenza e sulla giustizia. «Fonti autorevoli - azzardava ieri Nicolò Querci, assistente del Cavaliere - ci hanno fatto sapere che sabato D'Alema farà un discorso importante sulla mafia. Dirà che bisogna combatterla in maniera diversa, che non esiste il terzo livello ma esistono solo dei criminali...». Indiscrezione vera? Probabilmente sì, visto che Antonio Di Pietro - ospite d'eccezione del convegno - quasi sicuramente non ci sarà. Augusto Minzolini \0)i

Luoghi citati: Roma